30.10.2019- Solo un brutto sogno

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Ricordo ancora quando tua madre mi chiamò e mi disse tra le lacrime che eri stata coinvolta in un incidente stradale.
Il mio cuore iniziò a battere velocissimo ma non per i motivi per cui era solito fare in tua presenza. Un senso di nausea, di ansia e di tristezza mi avvolsero completamente, caddi piangendo e mi accasciai contro la porta della mia camera. Con i singhiozzi che ancora mi facevano tremare il petto, indossai freneticamente tuta e scarpe. Ero sul punto di uscire di casa quando realizzai che ormai di pullman non ne sarebbero più passati fino all'indomani. L'ospedale era troppo lontano da casa mia per raggiungerlo a piedi e non potei che piangere ancora più forte. Sentii i passi dei miei genitori avvicinarsi e subito le braccia di mia madre mi accolsero. Entrambi, allarmati, mi chiesero cosa fosse successo.
"J. è in ospedale, una macchina...", non riuscii neanche a completare la frasi tante erano le lacrime. L'unico modo per raggiungere l'ospedale era chiedere a mio padre di darmi un passaggio ma considerando che ancora non accettava la nostra storia, di speranza ne avevo poca. "Papà, ti prego puoi portami lì?", la sua mascella serrata e lo sguardo freddo non promettevano nulla di buono.
"Lo farò a patto che dopo stanotte non la vedrai più, ci siamo capiti?", le sue parole incrinarono ancora di più il mio cuore già accartocciato. Il bisogno di vederti prevalse sulla parte razionale e per questo mormorai una serie di "si" sconnessi mentre le carezze di mia madre cercavano di infondermi sollievo.
Il viaggio sembrò durare un'eternità ed in più il silenzio tombale che aleggiava in macchina mi pesò come un masso sulla schiena. "Mandami un messaggio quando hai finito e ti vengo a prendere", con questa frase mi lasciò fuori l'ospedale. All'improvviso vidi la figura di tuo padre venirmi incontro con un sorriso stanco. "Grazie per essere venuta", appena mi si avvicinò mi abbracciò e in quell'attimo percepì un calore famigliare che da tempo non sentivo più con mio padre.
Quando ti vidi stesa sul lettino con mille fili che ti tenevano attaccata a delle macchine, il mio cuore venne trafitto in pieno da una freccia. Un mostro con più alcol che sangue nelle vene ti aveva presa in pieno scaraventandoti contro l'asfalto come fossi una bambola di pezza.
Il medico ci permise di entrare a scaglioni e dopo i tuoi genitori fu il mio turno. Anche con le labbra secche, le guance livide e la fronte fasciata per me restavi la creatura più bella che avessi mai visto.
Nonostante non potessi né rispondermi né muoverti, mi sedei vicino a te, ti afferrai il palmo della mano e iniziai a straparlare come mio solito: alternavo "ti amo" e "non puoi lasciarmi" a cose del tutto frivole e stupide. Volevo sapessi che non eri da sola e che dovunque la tua mente fosse in quel momento, non l'avrei lasciata in balia del vuoto. Non volevo addormentarmi sapendo che dopo quegli attimi non avrei potuto più vederti; piangere e provare forti emozioni in così poco tempo però mi avevano distrutto tanto che alla fine mi addormentai in una posizione innaturale con le dita intrecciate alle tue. Chiusi gli occhi con la speranza che il mattino dopo tutto si sarebbe rivelato solo un brutto sogno.

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