Capitolo 13

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Suonano alla porta. Gli oggetti in casa sono completamente sconvolti. Non riesco a muovermi dalla scrivania, mi sento immobilizzato qui.
Con molta fatica riesco a spostarmi, e dopo aver mosso leggermente la sedia, si lancia con forza verso il letto, facendomi sbattere.
Mi alzo. Il corridoio sembra infinito. Ecco la porta. Mi posiziono sullo zerbino, aspettando.
Il trillo non smette, continua, sempre più forte, insistente.
"TI PREGO BASTA!" urlo, verso il citofono, e per un attimo sembra che abbia esaudito il mio desiderio, ma poi rinizia, peggio di prima.
Con molta fatica allungo la mano verso la cornetta del citofono.
"Chi è?" dico con una voce più pacata di quanto volessi.
"Sono io Ceso, sono qui, aprimi. Sono tornato in vita, solo per te." il cuore mi batte in gola, gli occhi minacciano qualche lacrima, facendomeli bruciare. È qui, è arrivato. Per me.
Sorrido e apro. Finalmente.

Mi sveglio di soprassalto, con le lacrime agli occhi. Sto sudando.
Ormai, sono passati 6 giorni, proprio oggi.
Ormai, sono 6 giorni che faccio questo identico incubo. Ancora, ed ancora.
Dovrei essermi abituato, invece ogni volta non faccio altro che piangere.
Sono le 4. Mi alzo, tanto non mi addormenterò più.
Prendo i miei soliti vestiti e vado a farmi una doccia fredda, per scacciare via i pensieri. L'acqua arriva, ma non mi dà l'effetto desiderato, anzi. Mi dà l'opposto, facendomi ragionare su il solito sogno.
Ogni volta mi da il senso che sia "intrappolato" e che non possa andare ad aprirgli.
È come se il sesto senso mi dicesse che non posso fare nulla per salvarlo.
Continuo a piangere, ormai faccio solo questo da 6 giorni. Domani finirà tutto e potrò sapere che non potrò fare più nulla, che tanto non è colpa mia, ma del suo organismo e dei medici. È di quel coglione che l'ha investito.

Dopo aver passato 2 ore nel vuoto, finalmente mi reco ancora una volta in ospedale, come ho fatto per tutti questi giorni.
Arrivo, noto che stanno ancora tutti dormendo, perciò lascio lo zaino sul tavolino senza fare rumore, ed esco di nuovo, andando a farmi un caffè.
È tutto così calmo alle 7 di mattina qui, forse è il luogo più tranquillo di sempre.
La macchinetta non fa troppe storie e mi da il primo caffè della giornata, ovviamente amaro.
Butto tutto e torno in stanza, vedendo che la madre di Dario si è alzata.
"Oh, buongiorno Cesare." dice, con la voce ancora un po' impastata dal sonno.
Sorrido e ricambio il saluto.
Dario non è migliorato in questi giorni, ma neanche peggiorato, è rimasto esattamente uguale al solito.
"Domani è il giorno." annuncia malinconicamente Antonella.
"Già, purtroppo ci dobbiamo solo abituare all'idea." dichiaro esauto dalla situazione.
Come routine, alle 11 arriva il medico, che puntualmente ci caccia fuori e lo visita, per poi dirci che la situazione è stabile, esattamente come sempre, e ci dice che anche se non peggiora, non vuol dire che siamo messi bene, dovrebbe già aver fatto grandi progressi.
Dopo, ci portano il cibo, direttamente in stanza ed arriva il pomeriggio. Ovvero l'inferno.
Non sai mai che fare il pomeriggio chiuso in ospedale.
Passo un po' di tempo al telefono, vado a farmi il quinto caffè del giorno, e prendo il libro che sto leggendo da ieri.
Arrivano le 19, ci fanno cenare e ci avvisano che solo 1 può rimanere con lui.
"Vai tu Antonella, hai bisogno di una doccia, e so quanto ti manca il letto."
Annuisce, ho ragione e lo so.
"Oggi però è l'ultima notte. Sei sicuro di voler rimanere?" mi chiede molto delicatamente.
Annuisco anch'io, riuscendo a convincerla che posso stare, e che non ho problemi.
Ci lascia da soli, e la noia continua in me.
I suoi battiti cardiaci sono l'unico rumore nella stanza, sentendo la frequenza di battito ogni minuto.
Mi risalta agli occhi il suo quadernino in pelle, quello che porta sempre con lui.
Mi alzo dalla sedia e vado a prenderlo, lo apro.
È più consumato del previsto e le pagine sono sgualcite, segno che lo usa troppo.
Ci sono appuntate tutte le sue idee dei podcast, le frasi che posta su Twitter, e qualche intitolazione dei capitoli del suo libro. Quello che doveva uscire a settembre.
Amareggiato da tutto, lascio l'agenda al suo posto ed apro la poltroncina, facendola diventare un letto.
È molto scomoda, sarà più difficile del previsto dormire.
Figuriamoci.
Come se io avessi intenzione di dormire dopo 6 giorni di insonnia.

PUBBLICATO IL 15/03/20

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