Look at me

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Quella serata era diventata un disastro.
Ron era arrivato proprio nel momento in cui Frank e Jane avevano iniziato a litigare e alla fine Frank se ne era uscito con una frase sgarbata nei confronti di Jane, e tutti - compreso il moro stesso - erano rimasti scandalizzati.
I due giorni successivi saltò scuola, anche perché aveva preso la febbre durante la notte.
Poi un numerò lo chiamò.
Pensò fosse ancora Ronald che gli chiedeva di tornare a scuola; Frank non aveva detto di stare male, quindi pensava che fosse ancora arrabbiato per l'accaduto. Jane invece, beh, lei se l'era presa e sarebbe toccato a Frank scusarsi.
«Pronto?»
«Vediamoci all'unico parco che conosci alle sei e mezzo.»
Mentre Frank, incredulo, stava per aprir bocca e rispondere, la chiamata terminò.
«Dio!» Imprecò frustrato, avendocela con tutti gli strani eventi che gli stavano rovinando la settimana.
«Dove diamine sei...» Chiese a se stesso cercando il numero tra le chiamate recenti, ma questo stranamente non c'era.
E risultava che l'ultima chiamata fosse stata quella di sua madre del giorno prima.
«Okay, okay. Tutto normale, sì»
«Frank» Bussò la madre del moro, nonostante la porta della stanza fosse socchiusa. «Con chi parli, tesoro?»
«Con nessuno...» Frank lanciò sul letto il telefono e si mise le mani fra i capelli, facendo preoccupare involontariamente la madre.
«Che succede?» Gli chiese lei, sedendosi accanto a suo figlio.
«Nulla, è che sono un po' stressato per via della scuola, sai»
«Hai gli esami quest'anno...»
«Non proprio, mamma» Ridacchiò Frank chiedendosi mentalmente quante volte le avesse già spiegato come funzionava il terzo anno di liceo.
«Quindi qual è il problema? Un ragazzo?»
«M-Mamma...»
«Oh andiamo Frank, a me puoi dirlo!» Insistette lei con un sorriso, facendo sollevare Frank.
«No. Soltanto i miei amici... sono strani»
«Beh, anche tu lo sei, vero? Anche loro possono avere dei giorni no.»
«Hai ragione ma... il fatto è che non capisco. Prima mi fanno credere una cosa e poi scopro che mi hanno usato.»
«Usato? E ne sei certo, di quello che dici?»
«Forse sì forse no.»
«Allora torna a scuola e chiarisci con i tuoi amici.»
«D'accordo... lo farò»
«Ti tengo d'occhio, Frankie»
Frank abbozzò un sorriso e abbassò la testa non appena la madre uscì dalla stanza; prese a giocare con il soffice piumone bianco del suo letto e poi si sdraiò a pancia in su a pensare a cosa avrebbe fatto.
Ma sua madre aveva ragione. Sarebbe dovuto tornare a scuola e avrebbe dovuto affrontare Jane, chiarire i loro dubbi.
Sapeva che Jane cambiava spesso ragazzo, ma non gli sembrava tipa da usare un amico per conquistare qualcuno.
Non ne aveva bisogno, perché era bellissima.
E forse quello che pensava avrebbe dovuto dirlo anche a lei.
Ma nel frattempo, prima di tornare a scuola, aveva un altro problema. Doveva andarci oppure no, a quell'incontro?

Alla fine, si ritrovò nel luogo scelto dalla persona misteriosa e all'orario esatto.
«Non pensavo venissi.»
Frank si girò di scatto, ma non c'era nessuno dietro di lui, bensì accanto a lui. E se ne era accorto soltanto quando questo aprì bocca. Wow, veloce, pensò.
«Sei Gerard Way, vero? Il ragazzo del pub»
«Sono io» Disse, abbassando il cappuccio e facendo sì che il suo corto ciuffo biondo cenere spiccasse alla luce del lampione.
«Perché hai voluto incontrarmi?»
«Perché devo confessarti una cosa.»
Frank sollevò le sopracciglia, «Il ragazzo misterioso vuole confessare qualcosa a me? E per quale arcano motivo, se nemmeno ci conosciamo?»
«Ci conosciamo.» Ribattè subito lui digrignando i denti, quasi come se ci tenesse.
«Ah...» Il moro trattenne una risatina, ma il sorriso lo tradì comunque.
«Ti viene da ridere?
Se non ti importa posso andarmene, non perdo il mio tempo»
«Senti bello, io non ti ho chiesto assolutamente nulla, quindi o me lo dici o» Fece spallucce aprendo le braccia, «Come vuoi che ti prenda sul serio se io non mi ricordo di te?»
«Hai ragione» Ammise amareggiato Gerard, serrando la mascella.
«Ma non mi prenderesti sul serio nemmeno se ti spiegassi la situazione, perciò devo dimostrartelo. Seguimi» Propose, o impose, alzandosi.
«No, no. Non mi muovo da qui» Disse Frank appoggiandosi comodamente allo schienale della panchina.
Non poteva fidarsi di quel ragazzo. Diceva di conoscerlo e insisteva, ma lui non ricordava.
«Dio santo.»
A quel punto Gerard si mise davanti al moro e si piegò sulle ginocchia, appoggiando una mano al suo ginocchio per sporgersi in avanti.
Frank deglutì per la vicinanza, e la sua testa si inclinò all'indietro finché non si permise involontariamente di guardare il cielo già buio.
«Cosa fai?» Domandò, cercando di tenere un tono di voce regolare e sembrare calmo.
«Guardami»
«Come?»
«Guardami.» Ripetè Gerard alzando la voce.
Frank allora fece saettare lo sguardo nei suoi occhi, preoccupato, ma resse a quella specie di conflitto. Come se stesse evitando di farsi incatenare da quegli occhi strani.
«Cosa stai facendo?» Domandò quindi Gerard dopo due minuti buoni.
«Io?» Rispose il moro scoppiando a ridere in modo sarcastico. «Tu, che stai cercando di fare»
«Niente» Rispose incerto il ragazzo dai capelli biondo cenere, rimettendosi in piedi.
«Ma scusa... che senso ha tutta questa storia? Mi vuoi dire chi sei?»
«Se solo riuscissi ad importelo...»
«Come??»
«Okay.» Gerard si abbassò deciso rimettendosi nella posizione di poco prima e prese il viso di Frank tra le mani, avvicinandolo al proprio. «Rilassati, lasciami entrare»
«Ma che...» La bocca di Frank rimase mezza aperta, i suoi occhi prima di fissarsi in quelli di Gerard guardarono le sue labbra, i particolari del suo viso.
Dopo provò una sensazione strana, come se si stesse perdendo o concentrando su qualcosa di astratto. Come se si stesse ipnotizzando.
Con lo sguardo del ragazzo misterioso.
La strana sensazione durò qualche secondo, dopodiché Frank cominciò a respirare più velocemente, come se in quel breve lasso di tempo avesse trattenuto il respiro.
Sul volto di Gerard scorse un sorriso, forse un po' incerto.
«Gerard?... Dove siamo?»
Okay, si ricorda di me. Pensò il ragazzo misterioso.
«Che ti importa? Dimmi cosa ricordi»
«Che... che vuol dire che m'importa?» Sbottò il moro, irritato dal ragazzo davanti a sè.
«Scusami. Siamo al parco, non è ovvio?»
Frank si guardò intorno, dopo annuì.
Non ricordava parte della giornata ed era una sensazione bruttissima, come se avesse perso la memoria, ma una cosa la ricordava benissimo. Gerard non era un umano normale.
Quindi aveva un po' di paura.
Che l'avesse trascinato fin lì?
Ma che senso aveva portarlo nel parco poco distante da casa sua, e che senso aveva parlare con lui a quella poca distanza senza curarsi delle persone se il suo scopo era quello di fargli male?
Non ci sarebbe riuscito così.
Quindi Frank pensò che non volesse ucciderlo, a differenza dell'altro ragazzo strano dell'incendio.
«Non vuoi farmi male.» Non era una domanda, ma un'affermazione. Più frequentava quel ragazzo più acquistava sicurezza.
Quindi si permetteva di comportarsi in modo più presuntuoso.
Ma questo, dietro, nascondeva ben altro.
L'insicurezza totale. La paura di fare la mossa sbagliata.
«No»
A quella risposta, il cuore di Frank saltò e poi si fermò per un momento - lui non era davvero certo di cosa avesse in mente Gerard, quindi sentirglielo dire lo aveva sollevato.
«Bene. Ma perché siamo qui? Perché sono qui?»
«Ti sei dimenticato di me per un paio di settimane, ma la tua amica ha rovinato i miei piani e stavate persino litigando, quindi ho pensato di non rovinarti la vita. Credevo che ti sarebbe dispiaciuto più perdere la sua amicizia che non avere a che fare con uno come me»
«Beh... sì, giusto» Gli occhi di Frank si fecero lucidi per un motivo non preciso, così guardò a terra e sospirò.
«Qualcosa non va?»
«Mi dirai cosa sei?»
«Ormai... suppongo di sì.»
«Oh» Frank si girò a guardare il ragazzo che si sedette accanto a lui, passandosi poi una mano sopra agli occhi per togliersi via quella sensazione fastidiosa delle lacrime che cercano di pendere giù dalle ciglia.
Non sapeva il motivo per cui stesse per mettersi a piangere come una femminuccia, ma non avrebbe pianto davanti a Gerard proprio per non dimostrare di essere una femminuccia.
«Quindi, Gerard Way, chi sei?»
«Non sono nessuno. Ho solo dei poteri che poche persone in questo mondo hanno.
Mi definiscono vampiro, mostro. Dicono che sono strambo, che non sono umano.
La cosa che non sanno è che, nonostante questo, io riesco a provare dei sentimenti come tutte le altre persone.
Anzi, io li capisco anche, i miei sentimenti.» Disse velocemente e senza riprendere fiato nemmeno una volta, guardando bene Frank negli occhi mentre pronunciava le ultime parole.
Frank era colpito da tutto ciò, quasi scioccato, però il modo in cui lui lo guardava era stranamente confortante e piacevole.
Gli sembrava di essere accarezzato da Gerard, nel modo in cui la sua voce vellutata gli finiva sul viso, come se il vento potesse disperdere una voce, come se una voce potesse avere una consistenza.
«Ho solo un'ultima domanda...
Perchè non sei stato egoista? Perchè non hai lasciato che le cose tra me e Jane si sistemassero da sole?»
«Non si ha mai la certezza di nulla. Non so perché ti ho aiutato di nuovo.»
«Ma tu hai detto che capisci i tuoi sentimenti persino più degli altri» Ribattè Frank in un certo tono di sfida.
«Sì, beh. Mi sarebbe dispiaciuto per te.»

𝒊𝒍 𝑵𝒐𝒔𝒕𝒓𝒐 𝑷𝒐𝒔𝒕𝒐 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora