Quattro

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  Aprì gli occhi.
Era ancora tutto buio.
Ancora in quel posto d’Inferno.

Quindi non era vero che Lachesi e Atropo erano venute a prenderla.
Aveva solo sognato di essere stata salvata.

Era stata una stupida a credere che finalmente fosse salva.
Che adesso non avrebbe più dovuto temere quei maledetti Keres.
Che non avrebbe più dovuto sopportare il dolore dei morsi.

Quanto tempo era passato?
Perché le sue sorelle non erano venute a recuperarla?
Non riusciva a crederci.
Sapeva solo che le sembrava di essere stata catapultata dentro a un incubo dal quale non riusciva a svegliarsi.
Sentiva ancora il suo respiro.

Lui era lì.
Ed era lei che voleva.

Né sentiva i passi, seppur così silenziosi, sembravano rimbombassero in quel silenzio assoluto.
Persino il suo respiro, era un perfetto segnalatore della sua posizione.

Lei non poteva fare nulla a parte cercare di scappare da lui.
Era inutile però.
Lei si stava indebolendo sempre di più e lui lo sapeva.
Erano nella sua tana.
Nella tana del lupo.

Sapeva dov’era.
Né fiutava la paura.
Giocava con lei come il gatto giocava con il topo.
Nessuna pietà.
Nessuna compassione.
Nessuna speranza per lei di uscirne viva.
Lui era così vicino.

Pensò alle sue sorelle.
Perché non venivano a salvarla?
Che si fossero dimenticate di lei?
Si sentiva sempre più stanca.
Aveva bisogno di un po’ di riposo.
Quella paura la sfiniva.

Lei continuò ad allontanarsi da lui.
Cercando di scappargli per quanto ancora l’avrebbero sorretta le forze.
Eppure le sembrava che non fosse mai troppo lontana da lui.
Le sembrava di sentire il suo respiro sul collo e la cosa la spaventava, era raggelata dalla paura e non aveva la forza di continuare a scappare.

Perché continuare a lottare quando sapeva che non aveva senso?
Che era inutile?
Lui l’avrebbe scovata di nuovo.
L’avrebbe presa comunque.
Avrebbe preso tempo e dopo?

In ogni caso era spacciata.
Lui non le dava tregua.
Si divertiva troppo per lasciarla in pace.
E lei non né poteva più di essere il suo divertimento.
Il suo giocattolo.

Nonostante tutto però continuò a scappare.
Il solo pensiero del dolore che le avrebbe causato cadere tra le sue mani la fece continuare.

Toccò qualcosa.
Capì che era una tenda.
La scostò e finalmente lo vide, grazie alla luce seppur lieve che penetrò nella stanza così buia.
Era bellissimo proprio come aveva pensato.

Aveva gli occhi neri come la pece.
Come il buio che non faceva altro che vedere da un po’.
I capelli erano castani scuro.
Il viso era perfetto e bellissimo come quello di qualunque dio.
Era davvero bellissimo e per un attimo incantata dalla sua bellezza rimase immobile a fissarlo, mentre lui si avvicinava.

Gli occhi risaltavano per via della pelle traslucido, quegli occhi sembravano inghiottire qualsiasi cosa.

Fissò i suoi zigomi alti, il mento, le labbra pronunciate.
Guardò il collo da cui si vedevano le vene.
E poi vide le ampie spalle.

Lui si abbassò per essere alla sua altezza.
Si guardarono entrambi.
Finalmente quell’uomo aveva un volto.
Anche se lei non si sarebbe mai aspettato che fosse così il volto del suo carceriere.

Il suo cuore batteva forte e non avrebbe dovuto perché non batteva più per la paura.
Lui in quel momento le avvolse una mano attorno al braccio.

Da quanto tempo era lì?
A lei sembrava fosse passata un'eternità, sembrava non esserci tempo lì.

L’unica cosa che le sembrava scandire il tempo era il suo battito.
E le sue energie.

In quel momento lui la tirò, allontanandola dalla tenda.
Le faceva male tutto.
Aveva il respiro affannato.

Nonostante però si fosse ripromessa di lasciar perdere e di non combattere si ritrovò a cercare di scappare dalla sua presa ferrea.
I suoi occhi si puntarono verso di lei.
Lei lo colpì forte.

<Lasciami> urlò con tutta la voce che possedeva.
Lui ringhiò lasciandola e mettendola sul letto.

Lei cercò di scappare, ma fu tutto inutile.
Era stanca non riusciva nemmeno a mettersi in piedi.
Persino tenere gli occhi aperti ormai costituiva troppa fatica.
In quel momento si sdraiò accanto a lei.
E l’attirò tra le sue braccia.

Lei sentì il suo corpo duro contro il suo.
Lui le accarezzò il viso e scese giù, lungo il collo e fino al seno palpandola.

Cercò di ritrarsi da quel contatto e lo colpì.
Fu un colpo lieve.

<Non toccarmi> disse lei in un sussurro.
Non aveva più la forza di contrastare quell’uomo.

Alla fine la stanchezza ebbe la meglio e le palpebre si chiusero.
La mano di lui si era allontanata come se in un certo senso il suo volere contasse qualcosa per lui.

In realtà sapeva che non era così.
A lui piaceva vederla soffrire.
Quindi non avrebbe provato alcuna soddisfazione nel farle qualcosa quando lei era incosciente.
Avrebbe aspettato che lei fosse di nuovo sveglia.
Né era certa.

Molto probabilmente se non fosse uscita da lì al più presto, sarebbe diventata pazza.
Già pensava di esserlo in parte visto che trovava il suo assilitore attraente. Che le stesse prendendo la sindrome di Stoccolma? Non lo sapeva.

L'unica cosa che in quel momento però sapeva, era che doveva smettere di sperare che le sue sorelle venissero a salvarla e fare qualcosa, altrimenti sarebbe potuta rimanere intrappolata lì per sempre e considerato che si trovava lì da un pò sicuramente anche le loro stavano scontando qualche tipo di punizione.

Appena si fosse sentita un pò meglio avrebbe messo KO quel dannato keres e poi sarebbe scappata decise, però adesso aveva bisogno di riposare.

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3 - Le Guardiane- ClotoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora