Ventuno

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   Si chiese cosa ci fosse che non andava

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   Si chiese cosa ci fosse che non andava.
Gli era sembrato che stesse scappando da lui.
Non che non si fosse accorto dei sobbalzi del suo cuore.

Che avesse ancora paura di lui?
Non lo sapeva.
Non riusciva mai a capirla veramente per quanto ci provasse lei rimaneva sempre un mistero.

E lui continuava a desiderarla.
A pensare alla morbidezza delle sue labbra.
Dei suoi capelli.
Della sua pelle.

Aveva visto come le donne umane lo fissavano, sapeva riconoscere quello sguardo anche dopo tutto quel tempo.
Lei però non lo guardava a quel modo quindi non riusciva a capire se fosse paura o desiderio.
Si sentiva attratta da lui come lui di lei?

Davvero non riusciva a capire i suoi atteggiamenti.
Ancora peggio non riusciva a sopportare gli sguardi furtivi che gli uomini le rivolgevano quando credevano che lui non li stesse guardando.

Ovviamente lei era bellissima e li meritava quegli sguardi, ma a lui non piaceva sentirsi a quel modo.
Ogni volta doveva trattenere un ringhio o la tentazione di aggredire il tizio in questione, quando soffermava troppo il suo sguardo su di lei.

Si sentiva davvero un idiota.
Purtroppo non sapeva che cosa provava per Cloto.
Forse riconoscenza perché lo aveva liberato, gli aveva scelto un nome, perché si preoccupava per lui e si prendeva cura di lui, come quel giorno che aveva cambiato strada solo perché a lui aveva cominciato a scoppiare la testa per via di tutto quel rumore.

Non c’era più abituato a stare in mezzo alle persone.
E non era abituato a provare qualcosa del genere per una donna.
Non riusciva a ricordare una sola volta in cui aveva provato una cosa simile per una donna.
Mai.

In tutta la sua esistenza aveva provato desiderio per una donna, passione, ma mai una cosa del genere.
Mai aveva sentito il bisogno di salvare una donna, di prendersi cura di lei, di assicurarsi che non soffrisse più.
Era strano, non sapeva che nome dare a quell’emozione.

Scosse il capo deciso a far finta di nulla.
Appena lei fosse stata al sicuro, lui sarebbe andato da Ares e si sarebbe vendicato di lui e poi sarebbe arrivato il turno di Zeus.
I due uomini che avevano contribuito a rendere la sua vita un Inferno per tutti quei secoli.

Suo padre l’avrebbe pagata per averlo venduto come se fosse un oggetto e Zeus l’avrebbe pagata per averlo trattato come un animale.
Entrambi avrebbero espiato le loro colpe.

Chiamò la reception affinché portassero da mangiare.
Doveva cenare.
Ormai aveva capito i suoi orari.
Mangiava molto spesso e presto avrebbe sentito i morsi della fame.

<Vorrei che portaste qualcosa da mangiare qui se è possibile> affermò lui.
L’uomo all’altro capo del telefono annuì.

<Avete preferenze?> chiese.
Lui scosse il capo.

<No, va bene tutto> disse semplicemente.

<Okay signore, tra poco arriverà la sua cena> affermò e lui annuì.

Ripose la cornetta al suo posto e si alzò non sapendo che fare.
Andò alla finestra e guardò di sotto.
Avrebbe dovuto fare un piccolo spuntino prima di partire decise.

Si diresse verso la porta l’aprì e se la chiuse alle spalle andando via.
Era meglio che fosse in forze, anche perché non sapeva cosa li aspettasse arrivati lì.
Dovevano essere preparati a tutto.

Usò la sua velocità per muoversi.
Nessuno lo vedeva e lui scansava tutte le persone che gli venivano quasi addosso.

Si fermò in un vicolo buio e aspettò che qualcuno passasse di lì per morderlo e berne il sangue.
Aveva davvero bisogno di nutrirsi e se n’era reso conto vedendo quanto corresse piano.
Sapeva correre molto più veloce di così, solo non aveva abbastanza energie per farlo.

In fin dei conti Zeus lo aveva lasciato per tutti quei secoli denutrito.
Quante volte aveva sentito i morsi della fame?
E nessuno sapeva quanto aveva odiato dover dipendere da qualcuno.
Doversi sentire davvero un animale bisognoso del suo padrone che gli porti da mangiare.

Scosse il capo cercando di non pensarci, di non ricordare.
Non avrebbe mai perdonato quell’umiliazione a nessuno.
Né a suo padre, né al re degli dei.
Entrambi avrebbero pagato per tutti i torti che gli avevano inferto.

A volte desiderava davvero dimenticare.
Dimenticare tutto quello che aveva dovuto fare per acquietare i morsi della fame.
Tutte le volte che aveva dovuto abbassarsi a fare come lui gli chiedeva per avere del cibo.

Era solo in quel modo che poteva controllarlo e ci era riuscito, finché non si era sentito troppo umiliato.
Finché non aveva capito che sarebbe stato meglio morire che continuare così.

In quel momento dimenticò il motivo per cui si trovava lì e il passato gli si disegnò davanti agli occhi.
Il buio si riversò su di lui.
La fame lo tormentava bruciandolo.
Ogni parte di lui faceva male.
Era straziante.

La sete infervorava ma lui stava cercando di controllarla.
Zeus.
La sua risata.
Di nuovo in quella schifosa cella.
Di nuovo prigioniero.
In quel momento però qualcosa lo risvegliò.

Gli occhi si aprirono e vide un umano davanti a sé che lo guardava ridendo.
<Ehi ragazzi l’avete visto a questo?> disse lui rivolto ai suoi due amici dietro di sé.

Sfoderò un coltello e glielo puntò alla gola.
<Questo è il nostro territorio sparisci> affermò.

Quell’uomo puzzava di alcol e di qualche altra sostanza che gli fece venire il volta stomaco.

In passato si era sempre nutrito da belle donne, questa volta però avrebbe fatto un eccezione.
Avrebbe punito l’impudenza di quell’idiota.
Senza che lui avesse il tempo di capire cosa gli era capitato lo afferrò e lo morse.

Il vicolo era troppo buio quindi i suoi amici non si accorsero che anche per loro era arrivata la fine finché non videro la morte.

<Mandate un saluto ad Ade da parte mia> affermò lui semplicemente lasciando cadere il corpo dell’ultimo ragazzetto e andando via da lì.
Si sentiva strano.
Diverso.

Qualunque cosa quell’uomo avesse nel sangue gli aveva fatto un cattivo effetto anche perché agli altri due aveva squarciato la gola senza pietà.

Qualunque cosa quell’uomo avesse nel sangue gli aveva fatto un cattivo effetto anche perché agli altri due aveva squarciato la gola senza pietà

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3 - Le Guardiane- ClotoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora