Trentanove

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Lei si svegliò e si ritrovò su un letto.
Non ricordava come ci fosse arrivata.

Aprì gli occhi e vide che Kevin stava dormendo vicino a lei.
Non si toccavano, ma lei si accorse che lui era mezzo nudo.
Lo sguardo allora gli andò subito su sé stessa.
Sul suo corpo.
Che avessero…

Quel pensiero svanì appena vide che lei era ancora vestita.
Le sembrava di aver fatto un bel sogno.
Lui la teneva in braccio e la stringeva a sé.
Era stato proprio un bel sogno.
Così rassicurante.
Sentiva il suo battito, il suo cuore proprio sotto il suo orecchio.
Il suo calore e il suo odore che l’avvolgevano.
Le sue braccia che la tenevano stretta.
Le era piaciuto parecchio.

E in quel momento si chiese se fosse stato più di un sogno.
In fin dei conti sicuramente l’aveva portata lì in braccio.
Lei non ricordava che lui l’avesse svegliata.

Né ricordava di aver visto quella stanza o di esserci arrivata con i suoi stessi piedi.
Si rese conto che lui le aveva tolto le scarpe.
Un gesto davvero carino.
Ormai era sicura che fosse stato lui a portarla di peso.

Si mise seduta e lo guardò.
Dormiva tranquillamente poco lontano da lei.
Se avesse allungato la mano e avesse toccato il suo viso lui se ne sarebbe accorto?
Si sarebbe svegliato?
Avrebbe sentito il suo tocco?
Non lo sapeva, ma si rese conto che erano pensieri che era meglio ignorare.

Anche se lui le aveva promesso di non toccarla, aveva preferito farlo piuttosto che svegliarla.

Sorrise.
Si alzò e si diresse in bagno.
Si chiuse lì e si fece una doccia.
Si avvolse nell’asciugamano e si rese conto che lui continuava a dormire.
Si guardò intorno per trovare la busta con i vestiti.

Si mise a girare per la stanza per trovarla e alla fine la vide perché ci inciampò e stava per cadere a causa di quella stupida busta.

Le sfuggì un grido sommesso e quando pensò che si sarebbe ritrovata a terra si ritrovò invece fra le braccia di Kevin.

Lo fissò un attimo confusa e smarrita anche perché era successo tutto troppo velocemente per poterci capire qualcosa.

Lui era così vicino che il cuore rischiava di esploderle nel petto.
Eppure era una sensazione così bella averlo in quel modo.
Così vicino.

Rimasero per un lungo minuto in quel modo, anche se lei avrebbe voluto che quel momento non finisse mai, ma si sa niente è come vorremmo e niente e per sempre.
E lei lo sapeva perfettamente anche perché era perfettamente consapevole che molto presto entrambi si sarebbero separati.
Ognuno andando per la propria strada, anche perché per quanto lei avrebbe voluto stare con lui non poteva imporgli la sua presenza.

Lui non le aveva chiesto di restare.
Però non aveva nemmeno detto che volesse lo lasciasse.
Era tutto talmente complicato che lei non sapeva nemmeno cosa pensare.
Eppure quando lui l’era così vicino l’unica cosa che voleva e che fosse così per sempre.
Che lui le stesse così vicino sempre.

Era inutile farsi illusioni, non sarebbe successo.
Lui adesso aveva la sua libertà, libertà di fare quello che voleva.
Di stare con chi voleva.
E di sicuro non era lei che voleva.
E non era con lei che voleva stare.

Eppure quando la guardava a quel modo, con quei suoi occhi neri profondi, quando le era così vicino, quando il suo sguardo le comunicava quello che lei non sapeva dire a parole, ma che la toccava nel profondo, lei avrebbe detto che era con lei che voleva stare.
Che era lei che voleva.

Ma s’illudeva.
Perché ormai sapeva che in quegli occhi stava guardando solo il riflesso di quello che lei avrebbe voluto vedere e non quello che c’era veramente.
I loro visi erano così vicini e lei si rese conto che il suo respiro era affannoso.

Sapeva quale era la cosa giusta da fare.
Ed era quella di lasciarlo andare.
E doveva farlo già da ora.

<Grazie> disse lei semplicemente.
Le mancò il respiro così lo disse a bassa voce.
Fu un suono quasi impercettibile, ma lei era sicura che lui l’avesse sentita.

Lo vide deglutire e lei si rese conto che la sua mano era poggiata sulla sua schiena e che stava toccando la sua pelle e ciò voleva dire che lei aveva perso il suo asciugamano quando stava cadendo.

<Prego> rispose lui con tono roco.
Un tono che non le sfuggì.

Lei continuava a chiedersi se era solo desiderio che lui provava per lei.
Se così fosse però non si sarebbe preoccupato di prendersi cura di lei.
Di procurarle tutto ciò che le serviva.
O che le piaceva.
Non gli sarebbe importato di sapere che cosa le piaceva o meno.
Questo però non voleva dire nulla poiché non dimostrava necessariamente che lui l’amasse.
Stava diventando pazza.

Lei si scostò da lui e lui si voltò.
Lei si abbassò per cercare qualcosa da mettere addosso.
Mise la prima cosa che le capitò tra le mani mentre lui era andato in bagno e si era chiuso lì dentro.
Aveva sentito persino il click della serratura.

Scrollò le spalle e si guardò attorno.
C’era uno specchio e si lisciò i capelli che aveva lasciato sciolti, li districò con le mani e li trovò pieni di nodi anche perché non avendo una spazzola o un pettine.
Li legò con l’elastico e decise che si sarebbe comprata presto una spazzola.
Non le piaceva che i capelli rimanessero in quelle condizioni.

Sospirò pensando che c’erano cose più importanti alle quali avrebbe dovuto pensare, ma era così stanca di lasciarsi tormentare dai problemi.
In quel momento uno dei suoi problemi più gravi uscì dal bagno.
Si guardarono entrambi.

<Vado a mangiare, ti aspetto di sotto> disse lei e si voltò andando via dopo essersi messa le scarpe e aver preso la borsa.

Gli lasciò le chiavi della macchina.
Lui non disse nulla e lei uscì fuori, chiudendosi la porta alle spalle.

Così scesa di sotto si diresse al bar e mangiò dopo di che bevve e pagò il conto.

Si sentiva così sfinita e non fisicamente, ma psicologica.
Cioè da un certo punto di vista anche fisicamente, non era abituata a tutto questo, ma stava cominciando ad abiturarsi.
Era psicologicamente il problema maggiore.
Il tormento di ciò che era successo alla sua vita.
Degli scossoni imprevisti.

Forse avrebbe dovuto accettare la proposta di Zeus e vendicarsi del tradimento delle sue sorelle.
Del loro voltargli le spalle quando né aveva più bisogno in fin dei conti era per colpa loro che lei era andata a finire a quel modo.
Per proteggerle.
E invece al momento più opportuno l’avevano abbandonata.
Eppure lei non riusciva a provare odio per loro.
E non voleva nemmeno vendicarsi.

Sospirò.
E si sentì ancora più sfinita.
In quel momento si scontrò contro qualcuno.
Stava per cadere ma ci fu un braccio a sorreggerla afferrandola dalla vita.
Lei alzò lo sguardo guardando un paio di occhi verdi a due centimetri di distanza dai suoi.

<Grazie> disse lei semplicemente e si rimise in piedi.

Lo sconosciuto le sorrise in modo gentile.
<Tutto apposto?> le chiese e lei annuì.

<Mi dispiace per l’inconveniente avrei dovuto guardare dove andavo> ammise l’uomo.

Lei scosse il capo.
<Si figuri, metà della colpa è mia> disse lei con un sorriso allo sconosciuto che si era dimostrato piuttosto gentile con lei.

3 - Le Guardiane- ClotoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora