CAPITOLO 20

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Mi ritrovai seduta distrattamente sui due gradini che separavano la porta d'ingresso dal vialetto posto davanti l'abitazione, con ancora le braccia conserte e quella sensazione fra le gambe come se avessi il ciclo. Per fortuna porto sempre con me un paio di assorbenti per ogni evenienza. La chiamata precedente non durò molto, probabilmente neanche un minuto. Il suo "ok" così freddo e carico d'odio non smise di rimbombare nella mia mente nemmeno per un secondo, portandomi a sentire nuovamente quelle dannate lacrime scorrere libere lungo le mie guance già rigate dalle precedenti. Sapevo perfettamente di essermi comportata da perfetta stronza e, di certo, non mi sarei aspettata di ricevere una festa da parte sua, ma quella sua freddezza, quasi indifferenza, mi stava portando facilmente a superare il limite della follia. Non l'avrei sopportato. Mi alzai di scatto quando notai una Mercedes nera parcheggiare proprio davanti casa di Marco, dalla quale fece capolino la ragazza dei miei pensieri dopo aver velocemente spento il motore. Per l'ennesima volta il suo sguardo freddo incontrò il mio, ma fui in grado di notare qualcosa di differente; sofferenza. Quegli occhi così tremendamente perfetti erano contornati da un alone di rossore quasi impercettibile, ma che non potei fare a meno di notare. Aveva pianto? Impossibile. Entrò nuovamente in macchina, aspettando pazientemente che salissi al posto del passeggero. Era venuta in macchina. Evidentemente non voleva avere niente a che fare con me e la potevo capire, mi odiavo da sola. In tutto ciò pensai che quella era la prima volta che vedevo la sua auto; non sapevo nemmeno ne avesse una. Non appena chiusi lo sportello, non perse tempo ad immettersi nella nostra corsia, dirigendosi in tutta fretta a casa mia. Aveva lo sguardo fisso sulla strada, le mani strette intorno al volante, la mascella serrata. Non parlò, non disse nulla. Giocai nervosamente con le mie dita, guardando di tanto in tanto fuori dal finestrino e non potendo fare a meno di farmi scappare un sorriso nel vedere i gruppetti di bambini felici che giocavano spensierati sul marciapiede. A volte vorrei tornare a quell'età, quando tutto sembrava così avvincente e nulla ci angosciava a tal punto da sentire una lama nel petto pressare sempre più in profondità. Un suono costante e ripetitivo si fece spazio nell'orribile silenzio del veicolo e capii quasi subito che si trattava di una chiamata. Alessia, senza mai distrarsi dalla guida, poggiò il cellulare all'interno di un incavo dell'auto e premette un pulsante posto sul cruscotto, vicino a quelli dell'aria condizionata, per poi rispondere tranquillamente.

"Tesoro, come stai?"

La voce di una donna, probabilmente di mezz'età, riecheggiò preoccupata. Ipotizzai si trattasse della madre, donna che non avevo mai avuto il piacere di conoscere. Del resto non c'è alcun motivo per far sì che accada. La ragazza alla guida scrollò di poco le spalle, emettendo un lento sospiro, per poi finalmente degnare sua madre di una risposta.

"Bene."

Disse solo freddamente. Pensai che il suo atteggiamento freddo e distaccato fosse rivolto per qualche motivo solo a me, ma a quanto pare non era così. Rimasi ad osservare il suo volto per un tempo quasi interminabile, spostando la visuale quando sentii nuovamente la voce della donna dall'altro capo del telefono.

"Sei sicura? L'attacco che hai avuto prima non sembrava per niente leggero."

Sgranai gli occhi nel sentire quelle parole. Attacco? Quale attacco? Il cuore iniziò a martellare nel mio petto, sperando di ricevere al più presto delle risposte esaustive, mentre i miei occhi pieni di preoccupazione si legarono alla sua figura, senza mai separarsi. Prese un respiro profondo, continuando a stringere con forza lo sterzo, mentre il suo volto si accigliò con poco preavviso.

"Ho detto che sto bene."

Quasi sbraitò.

"Ok, ok."

Si arrese la signora, attendendo qualche secondo prima di proseguire con un' ultima domanda.

"Hai lasciato il passaporto da noi. È scaduto da un mese. Devo rinnovarlo?"

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