Capitolo 34;

425 26 0
                                    

Passai tutto il weekend a lavorare e a ripetermi che quando I avessi incontrato Louis, tutta quell'ansia che mi stava soffocando sarebbe svanita.
Avevo provato a chiamarlo ancora ma aveva sempre una scusa pronta e ogni volta la conversazione si era limitata all'indispensabile. L'unica nota positiva era che mercoledì ci saremmo visti.
Mi aveva dato appuntamento per pranzo in un ristorante vicino a Central Park.
Arrivai a martedì con la tensione alle stelle. Louis non si era più fatto sentire e io speravo con tutto me stesso che non avesse deciso di rimandare l'appuntamento.
Teso come una corda di violino, non riuscii nemmeno a mangiare e trascorsi tutta la pausa pranzo sotto i tiepidi raggi del sole di settembre in un piccolo parco nelle vicinanze del negozio.
Perso nei miei pensieri arrivai in ritardo di cinque minuti al lavoro, ma sapevo che Arnold non se ne sarebbe nemmeno accorto dato che restava tutto il giorno chiuso nel suo stanzino sottovuoto.
Tuttavia quando arrivai, trovai la porta aperta e dall'ufficio del mio capo mi arrivarono delle voci.
«Sapevo che avrebbe capito. La ringrazio, signor Cleaner», esclamò allegra una voce che avrei riconosciuto tra mille.
Era Louis!
Con il cuore martellante mi avvicinai felice e commosso.
«Grazie a lei per avermi avvisato! Chissà che rischio ho corso assumendo il signor Styles! Metterò subito il locale in quarantena come lei mi ha saggiamente suggerito!», gli rispose Arnold, lasciandomi perplesso.
«Non dimentichiamoci quanto sia infido il contagio al giorno d'oggi», rincarò la dose Louis, guadagnandosi tutta l'attenzione dell'uomo.
Finalmente li vidi uscire dall'ufficio ma appena Arnold mi vide, urlò come un ossesso.
«Fuori di qui o la denuncio!», mi aggredì agitato e armato di spray disinfettante.
Era ovvio che Louis mi aveva fatto licenziare.
«Signor Cleaner, posso spiegare».
«Non c'è niente da spiegare! Il suo ex datore di lavoro, il signor Tomlinson, mi ha già spiegato tutto! Non posso nemmeno pensare al pericolo che ho corso assumendola dopo quello che mi ha raccontato su di lei».
«Ma io non ho fatto niente!», cercai di difendermi.
«Niente?! Lei lo chiama "niente" inserire ragni di specie esotica nel letto della gente mentre dorme? O drogare il suo capo con un composto di stupefacenti fatto in casa? O rovesciare addosso alla gente acido muriatico?», esplose l'uomo in preda a un attacco di panico.
«Numero uno: il ragno in questione era finto».
«Era cinese!», m''interruppe Arnold guardandomi come se fossi un animale da abbattere.
«Si, c'era scritto sulla pancia del ragno. Made in China», mi sussurrò Louis, divertito.
Dovetti fare uno sforzo sovrumano per non agguantargli il collo e stringere forte.
Molto forte.
«Numero due: era Valium e non droga fatta in casa».
«Peggio ancora! Sono note le controindicazioni del Valium. Può portare anche al coma! È un miracolo se il signor Tomlinson è ancora vivo!».
«Il Valium è pericoloso se assunto in dosi massicce! Io ho solo tritato una pastiglia», continuai davanti allo sguardo inorridito di Arnold.
«Poteva ucciderlo!».
«Oh, stia tranquillo che tra un po' lo farò», sibilai furente.
«Uscite!», urlò stremato e spruzzando disinfettante per tutto l'ambiente. Una volta fuori, Louis scoppiò a ridere.
«Vaffanculo!», sbottai.
«Mi sei mancato anche tu, amore», mi sorrise dandomi un lieve bacio sulle labbra.
«Purtroppo ora ho un appuntamento ma spero di vederti domani. Ricordati che ti aspetto per le dodici», mi salutò correndo verso la macchina parcheggiata dietro a un vicolo.
Una parte di me voleva supplicarlo di restare e di passare insieme tutto il pomeriggio improvvisamente libero, ma un'altra parte lo voleva a mille anni luce di distanza per non ucciderlo.
Il giorno dopo arrivai al ristorante fasciato in uno dei nuovi completi che mi aveva regalato Louis.
Mi ero preparato meticolosamente ma in realtà avevo intenzione di insultarlo per come si era comportato con il mio datore di lavoro.
Tenevo alla mia reputazione.
Inoltre per tutto il giorno avevo provato a chiamarlo ma non mi aveva mai risposto facendo solo crescere la mia rabbia.
Senza contare che avevo passato tutta la notte a chiedermi perché non avesse approfittato di quel giorno per stare insieme.
Era una sofferenza saperlo a pochi chilometri di distanza e non poterlo toccare, baciare e vedere.
Quando arrivai al locale tirai un sospiro di sollievo per la scelta della mia mise, per fortuna adatta a quel ristorante di classe.
Ero pronto a non lasciarmi intimidire, ma appena vidi la figura elegante di Johanna dovetti desistere.
Il bastardo si era fatto accompagnare dalla madre per difendersi dalle mie ire!
«Buongiorno!», esclamai fingendomi contento.
«Harry! Come stai?», mi sorrise la donna, mentre un cameriere mi faceva accomodare.
«Ti trovo in splendida forma»
«Veramente stavo meglio prima di essere licenziato», sibilai teso inviando un'occhiataccia a Louis.
«Pensavo avresti aperto la tua attività. Ho già ricevuto due telefonate di persone presenti al ricevimento che mi hanno chiesto come rintracciarti. Hanno letto il tuo nome sul sito web del giornale ma non hanno trovato nessun indirizzo o numero di telefono di riferimento». Quella notizia mi fece balzare il cuore fuori dal petto per l'emozione.
«Sto avendo delle difficoltà a trovare una sede adeguata», confessai imbarazzato.
«Louis me l'ha detto. Per questo sono qui», mi disse prendendo una cartellina dalla borsa. «Qui dentro trovi i dati su uno spazio inutilizzato, mi chiedevo se potesse andare bene».
Aprii la cartellina e lessi brevemente la scheda dell'immobile.
La metratura era ampia e il prezzo era lievemente più alto di quanto avessi in mente, ma non era una cifra impossibile.
C'erano anche due foto. Era sicuramente un immobile con finiture di pregio.
«Non parla della caparra richiesta».
«No, basterà fare una speciale assicurazione che costa all'incirca mille dollari per i primi tre anni. Con questo il proprietario si tutela, ma sarà utile anche per l'affittuario in caso di grosse problematiche strutturali».
«E dove si trova questo posto?»
«Lì. Penultimo piano». Johanna indicò l'elegante edificio dall'altra parte della strada che si affacciava direttamente su Central Park.
«Questo immobile è suo, vero?», compresi all'istante.
«Si».
«La ringrazio, ma non posso accettare». «Invece lo farai altrimenti mio figlio non uscirà mai da questo stato in cui è precipitato». «Ma...».
«Harry, ascoltami. Io ti capisco e conosco le tue motivazioni. Una volta ero come te, sai? Contro la volontà di mio padre mi laureai in legge a pieni voti, ma nonostante questo lui non mi volle al suo fianco nello studio. Secondo lui le donne dovevano preoccuparsi della casa, non lavorare. Diceva che era umiliante per il marito. Tuttavia non mi diedi per vinta e cercai lavoro altrove. Lavorai per tre anni in un piccolissimo studio legale finché, alla festa di compleanno di mio padre, non conobbi Frank. Rimasi subito incinta e lasciai il mio lavoro per diventare come mia madre: una casalinga che affogava le insoddisfazioni nell'alcol. Quando mio padre mancò, Louis aveva solo due anni, ma io non volli mai mettere piede nel suo vecchio studio. Tuttavia non ho mai avuto il coraggio di venderlo. L'ho lasciato ad ammuffire finendo per dimenticarmene. Nemmeno Frank sa che non ho mai venduto l'immobile», mi raccontò.
«Poi però ti ho conosciuto e in te ho rivisto un po' di me stessa. Anche tu lotti ogni giorno contro tutto e tutti per il tuo sogno e io desidero solo darti una mano. Per quel che mi riguarda te lo lascerei anche in comodato d'uso, ma so che lo rifiuteresti e ti sentiresti umiliato, così, dopo aver discusso a lungo con Louis, abbiamo deciso di proportelo in affitto e io spero con tutto il cuore che tu voglia accettare».
Ero sempre stato contrario all'idea di accettare l'aiuto di qualcuno o, peggio ancora, di sentirmi in debito, ma desideravo davvero avere la mia possibilità, soprattutto ora che tutto l'universo si stava muovendo per spingermi a realizzarlo.
Una volta Louis mi aveva detto: "Prima o poi dovrai scegliere se continuare con il tuo ostinato orgoglio o imparare a scendere a dei compromessi" e forse era davvero arrivato il momento di crescere e cambiare mentalità.
«Grazie», mormorai commosso stringendo al petto la cartellina, mentre il mio sguardo si arrampicava fino al penultimo piano del palazzo di fronte.
Presto avrei trovato il mio posto nel mondo! Avevo quasi le lacrime agli occhi per l'emozione.
«Come ti ha già detto mia madre, ci sono già due clienti in attesa, volendo, ma prima voglio mostrarti una cosa», intervenne Louis.
«Louis, il pranzo!», lo rimproverò la madre. «Non ce la faccio più ad aspettare. E tutta la mattina che sto dietro a questa cosa, ma ti prometto che torniamo subito!», si scusò il figlio trascinandomi fuori dal ristorante, verso l'edificio della mia futura agenzia.
Appena dentro ci venne ad accogliere un portiere anziano dalla faccia simpatica. «Buongiorno! Lei dev'essere il signor Styles! Ecco le chiavi del suo ufficio», mi disse allegro porgendomi un mazzo di chiavi.
Ero così inebetito che non riuscii nemmeno a spiccicare parola.
Mi lasciai condurre verso l'ascensore e solo quando le labbra di Louis si posarono esigenti sulle mie riacquistai i sensi.
Quanto mi erano mancati quei baci!
Sul pianerottolo c'erano solo due porte, ma su una risplendeva una targa in ottone, ancora con la protezione, che nascondeva appena la scritta.
Louis tolse l'involucro semitrasparente e per poco non svenni.
La targa dorata risplendeva mettendo in risalto la scritta "Styles & Tomlinson Events", seguita da una scritta piu piccola, "Events Planning Services".
«Allora, ti piace?»
«lo non so cosa dire», mormorai scioccato senza nemmeno accorgermi che sulla targa non c'era solo il mio nome.
«Allora apri la porta. A te l'onore!». Con mani tremanti infilai la chiave nella serratura.
Aprii e mi ritrovai in un ampio ingresso di fronte al bancone della reception.
Più avanti il corridoio si stringeva. Da una parte era stato chiuso con ampie vetrate satinate, mentre in fondo c'erano due porte di legno lavorato.
Louis aprì una delle due e io mi trovai in un'ampia stanza con una vista mozzafiato su Central Park.
Al centro c'era una scrivania dal design particolare, dal sapore vintage e da un lato uno spazio più informale, con poltrone e divani intorno a un tavolino in vetro.
«Benvenuto nel tuo ufficio», esclamò al settimo cielo, facendomi sedere sulla sedia dietro alla scrivania.
«Sono senza parole», mormorai estasiato mentre accarezzavo il legno intarsiato del tavolo.
«È davvero al di là di qualsiasi mio sogno».
«Sinceramente questa scrivania è orrenda ma non avevo soldi per una più bella».
«Perché? Quanti milioni costava?», lo presi in giro.
«Ho un conto di cinquemila dollari dopo il nostro primo incarico e ne ho già spesi una buona parte per l'insegna in ottone».
Rimasi a fissarlo confuso.
«E ora firma qui», mi ordinò prendendo una penna dal taschino della giacca e aprendo una delle due cartelline sul tavolo.
Ancora mezzo frastornato, cercai di concentrarmi su ciò che avevo davanti.
Era una richiesta di licenza per l'attività e Louis si era già occupato di compilarla interamente con i nostri rispettivi dati personali.
Mancava solo la mia firma.
«Tu?»
«Non io. Noi, Harry. Tu e io saremo invicibili insieme!».
«Louis, sei sicuro? Tu non hai mai lavorato prima. Non voglio che tu lo faccia per me».
«Non lo faccio per te. Non solo almeno. Certo, l'idea di stare al tuo fianco mi ha spinto a darmi da fare, ma la verità è che questo lavoro serve a me. Ne ho bisogno. Non ho mai sentito questa esigenza se non dopo aver preso quell'assegno di cinquemila dollari dalle mani di mia madre. Non avevo mai creduto di poter essere felice per pochi dollari, ma il loro significato ha fatto assumere a quei soldi un altro valore... Finalmente ho cominciato a capire i tuoi discorsi e hai ragione: non c'è niente di più bello della soddisfazione di farcela da soli, di essere indipendenti, di lavorare sodo per ottenere dei risultati! Harry, ti prego, accettami nella tua vita e fammi diventare tuo socio. Ti giuro che m'impegnerò al massimo e ti renderò felice».
«Sei sicuro che sia questo che vuoi?», gli domandai, deciso a togliermi ogni dubbio, mentre la mia mano fremeva per firmare quel foglio.
«Si».
«Anche se questo significa lasciare gli Hamptons?»
«Si, e a questo proposito vorrei la tua opinione», mi disse aprendo davanti a me la seconda cartellina.
All'interno c'erano le foto di un piccolo bilocale molto grazioso e arredato in modo semplice, a poche miglia da lì.
Il prezzo dell'affitto era un po' alto, però.
«Ti piace? Le foto le ho fatte ieri quando la proprietaria mi ha mostrato l'immobile. Non sarà il massimo ma è comodo e arredato piuttosto bene a differenza di molti altri che ho visitato in questi due giorni».
«L'affitto è un po' caro».
«Lo so, infatti ho detto alla signora che stiamo per sposarci e altre cazzate che l'hanno intenerita a tal punto che ha abbassato il prezzo. A conti fatti, possiamo permettercelo».
«lo non intendo sposarmi nell'immediato», chiarii.
«Nemmeno io, ma era l'unico modo per convincerla. Tuttavia vuole conoscerti. Finora ho rimediato, ma fra tre ore vuole vederci per firmare il contratto. Dato che io ho quasi finito i miei soldi, mi chiedevo se potevi pagare tu l'anticipo».
Scoppiai a ridere divertito. Louis che chiedeva un prestito a me?
«Sono appena sessanta metri quadrati. Sei sicuro di farcela?»
«No», ammise sincero.
«Ma voglio tentare perché desidero stare con te e non sopporto più l'idea di svegliarmi da solo... di vivere senza di te al mio fianco».
«È un passo importante».
«Lo so e credo di essere abbastanza cresciuto da poter cominciare a vivere la mia vita con la persona che amo».
«E tua madre? Non sei preoccupato di lasciarla da sola?»
«Un po' sì, ma le telefonerò spesso e andrò a trovarla ogni tanto. Non posso continuare a vivere in funzione dei problemi che ha con mio padre. Me l'hai detto anche tu, una volta».
«Se è questo che vuoi...».
«Si, è questo che voglio più di ogni altra cosa al mondo. Ti amo, Harry, e voglio provare a buttarmi, per una volta nella mia vita, e superare le mie paure», ribadì avvicinandosi a me per abbracciarmi e baciarmi.
Ci baciammo a lungo e alla fine firmai la licenza sotto lo sguardo trepidante di Louis. Rimanemmo a lungo avvinghiati a cercare quell'intimità che si era persa in quei dieci giorni di lontananza.
«Forse dovremmo tornare da tua madre», proposi dopo un po'.
«Già».
Quando tornammo al ristorante sprizzavamo gioia da tutti i pori.
«Vedo che il tuo malumore è sparito», notò la signora Johanna guardando suo figlio. «Completamente, ma ho prima una notizia da darti che forse non ti renderà così contenta... Vedi, io e Harry abbiamo deciso di andare a vivere insieme».
«Non sono sorpresa. Mi dispiace un po', ma mi fa anche piacere».
«Sono solo preoccupato che tu e papà...».
«Non pensare a noi. Io e tuo padre ci arrangeremo. È giusto che tu viva la tua vita, anche se spero che non ti dimenticherai di me».
«Impossibile. Lo sai quanto ti voglio bene».
«Lo so, tesoro... Ma ditemi, dove andrete a vivere?», cercò di cambiare discorso, prima di sciogliersi per la commozione.
Mentre i camerieri ci servivano il pranzo, Louis le spiegò la sua idea e le raccontò dell'appartamento che aveva trovato.
Intanto io, emozionato e felice, mi tuffai vorace sul cibo, dopo dieci giorni di quasi digiuno.
«Harry, caro, ti prego. Un po' di contegno», si agitò la donna, a disagio.
«Louis, sei davvero sicuro di ciò che fai?», gli
domandò continuando a fissarmi inorridita.
«Oh, sì, mamma. Non sai quanto», le rispose, guardandomi con espressione adorante.

-

Stiamo giungendo al termine!
Il prossimo capitolo è l'epilogo, e dato che mi sento brava ve lo posto a brevissimo.

xoxo
Liz

Ogni tuo desiderio è un ordine, bastardo » L.S.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora