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«Non ti ha detto nient'altro? Soltanto che è rinchiuso nel reparto di massima sicurezza?» insistette Jungkook, sgranando gli occhi per la curiosità. «Te l'ho già detto, Kook, Namjoon non sa nulla. È soltanto una guardia, non si occupa spesso di quel reparto e se il direttore vuole che le notizie non trapelino, tutto rimarrà segreto.» si giustificò per l'ennesima volta Seokjin, che gli era seduto di fronte. Quella sera al tavolo erano in sei, perché il più grande, che ultimamente aveva cominciato a sedersi lì, aveva portato due suoi amici, che parlavano tra di loro senza ascoltare la conversazione.

«Ma sono quattro giorni che è arrivato, no? Perché ancora non si è visto? Anche Yoongi è stato chiuso lì, eppure fin dall'inizio ha avuto la possibilità di venire in mensa, in cortile, di lavorare e di fare tutto quello che facciamo noi!» esclamò Jungkook, che proprio non riusciva a capire la situazione, ed era bruciato da una fortissima curiosità. «Evidentemente è molto pericoloso.» spiegò Seokjin «E, da quello che so, i criminali più ribelli vengono tenuti in cella per tutto il giorno. Gli viene portato il cibo dalle guardie stesse e devono essere accompagnati a fare la doccia, e sono costantemente sorvegliati anche lì».

«E per andare in bagno?»

«Ah boh, questo non lo so, pisceranno in un secchio».

Yoongi, che all'inizio era vagamente interessato all'argomento, si ritrovò a divagare, sapendo che il continuo della conversazione avrebbe comportato un notevole abbassamento di dignità.

«E se sbagliano? Tipo, se ne fanno uscire un po' fuori?»

«Chi sarebbe così rincoglionito da sbagliare mira? Dai, è un secchio!»

«Non si sa mai! E poi, magari è un secchio minuscolo!»

«Tipo il tuo cervello?»

«Io direi che si avvicina di più al diametro del tuo cazzo».

In quel momento Yoongi ebbe la certezza di poter pensare ai fatti suoi, senza badare alla piega di alto livello culturale che stava prendendo la situazione al tavolo.
Per tutto il pomeriggio non aveva pensato ad altro che a quello che era successo ai bagni e nella sala del lavoro; l'immagine di Jimin che lo teneva ancorato al muro con il ginocchio, scavandogli le pupille con quello sguardo penetrante, lo aveva tormentato fino all'ora di cena, e non accennava a sparire dalla sua mente.

Non aveva minimamente osato alzare gli occhi verso di lui, in parte per l'imbarazzo - che non avrebbe mai ammesso - e in parte perché non voleva per nessun motivo al mondo dargli la soddisfazione di avere il suo interesse. Ci aveva rimuginato molto, ed era finito per ipotizzare che Jimin lo avesse preso di mira: sembrava quasi che godesse nel farlo sentire a disagio, sottomesso, impotente di fronte a lui sotto ogni punto di vista.
E Yoongi non riusciva a capacitarsi del fatto che l'unico motivo per cui quel ragazzo lo trattava così era che non gli dava abbastanza attenzione. Ridicolo.

In quel momento, con tutta probabilità, Jimin lo stava fissando insistentemente, aspettando un segnale da parte sua. Peccato che lui non si sarebbe voltato, perché era proprio questo il suo scopo: fargli capire che non aveva il controllo su tutti, né tantomeno su di lui.

«Yoongi, tu che ne pensi? Secondo te lo faranno uscire dalla cella?» gli chiese Jungkook, interrompendo i suoi pensieri. «Non ne ho la più pallida idea...» rispose Yoongi assente, tenendo lo sguardo fisso sul suo piatto non del tutto svuotato.
«Secondo me è tipo uno di quegli energumeni di due metri, tutto pieno di tatuaggi e roba simile.» continuò Jungkook con entusiasmo. Era cambiato notevolmente da quando l'aveva incontrato per la prima volta: aveva perso quel timore che lo caratterizzava, lasciando spazio ad una spensieratezza tipica della sua età, e Yoongi sapeva che in gran parte era merito suo.

PRISON | Yoonmin Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora