8- La mattina - Joshua

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Non serve che apro gli occhi. So esattamente dove mi trovo. L'unico problema è che non so come ci sono arrivato.

L'ultima cosa che ricordo sono le battutine di Marco su Lele e Gin e l'attimo dopo la caraffa di Mojito davanti ai miei occhi. Sapevo che non dovevo bere, ma era come se improvvisamente si fosse acceso un interruttore dentro di me e non sono servite le raccomandazioni di Federico a fermarmi perché non riuscivo più a controllarmi. Non ero più io.

Sono steso a pancia sotto, un braccio a penzoloni giù dal letto e la testa rivolta verso la finestra. Lele invece sarà sicuramente a pancia in su, probabilmente con in mano il telefono mentre con l'altra libera mi sta accarezzando i capelli.

Dovrebbe essere strano e forse lo è. Ma noi siamo sempre stati così e queste sue attenzioni, agli inizi della nostra amicizia, più volte mi hanno confuso dandomi speranza, ma più crescevamo e più vedevo il suo interesse per le ragazze sebbene mantenesse sempre con me quell'insolito contatto. E ancora oggi non è cambiato nulla nonostante tra di noi ci sia stato quel bacio pazzesco che ancora troppo spesso mi torna in mente.

Quando volto il viso e apro gli occhi lo trovo esattamente come credevo. Come sempre blocca lo schermo e poi rivolge la sua attenzione su di me.

"Buongiorno". Mi dice.

"'Giorno". Rispondo, la bocca impastata di melma.

"Come stai?".

Lo guardo alzando le sopracciglia, come vuoi che stia?

"Dovresti ringraziarmi che ti ho infilato due dita in gola sta notte per farti vomitare, altrimenti in acqua agli allenamenti avresti rischiato di affogare". Mi dice.

Merda. Mi ero completamente scordato che li avevo questa mattina. E non so nemmeno come abbia fatto a ricordarsene lui.

"Se sto di merda adesso, non oso immaginare com'ero messo sta notte". Poi approfittando della sbronza mi faccio più vicino a lui, circondandogli con il braccio il fianco. Lo sento irrigidirsi, è solo per una frazione di secondo perché poi torna a rilassarsi come sempre. Ma a me basta per capire tante cose.

"Federico?". Butto lì per vedere la sua faccia.

"A casa, credo". Ed è lì. Tra quelle piccole increspature della sua fronte che noto la stizza.

Sorrido tristemente. E vedo chiaramente le sue carte. Ma tra la sua mano noto anche tanti perché ai quali non sa dare risposte e vorrei fregarmene, vorrei buttarmi, ma so che se lo facessi, quello che si farebbe male sarei io.

"E come sono finito qui?". Chiedo, beandomi ancora però delle sue carezze.

"Avresti preferito svegliarti con lui?".

Mi chiedo quanti danni potrei causare se solo provassi a rispondere di sì per scherzare, ma preferisco salvaguardarmi e per non sbagliare evito direttamente la domanda.

"Tu come hai dormito?". Ed esattamente come ho fatto io solo pochi minuti prima, ora è lui a stringersi di più a me. Riuscendo a tormentarmi ancora di più.

"Bene".

Bugiardo. Vorrei dirgli, perché so perfettamente che quando dormiamo assieme sta più che bene. Quante notti dopo che è morta sua mamma è venuto a rifugiarsi nel mio letto perché era l'unico posto in cui riusciva a respirare? E so che ancora oggi è così. Perché certe sensazioni non cambieranno mai, nonostante tutti i tentativi che si provano per soffocarle.

"Dovrei alzarmi". Dico, ma la verità è che non voglio.

"Hai ancora tempo".

Restiamo in silenzio, in balia dei nostri desideri.

Io e lui sotto le coperte in una mattina d'inverno.

E quanto vorrei alzare il viso e incontrare ancora una volta le sue labbra. Anche solo per un bacio a fior di labbra. Poter rivivere quella bomba di stelle che è esplosa tra di noi e che non ci aspettavamo accadesse.

Per anni ho sperato che capitolasse ai miei piedi. Per anni ho sperato invano che mi chiedesse un appuntamento. Per anni ho immaginato una nostra vita assieme. Perché ogni più piccolo gesto che lui faceva per me io lo vedevo come un'impresa titanica. Ma anche se so che qualcosa in lui è cambiato, niente mai sarà paragonabile a quello che io tengo nascosto sotto chiave.

E sebbene vorrei fargli vedere ogni singola pagina di diario che ho scritto su di lui nella mia testa, non posso, perché dentro la sua ora c'è solo una gran bel casino. Lo vedo chiaramente. E io non ho nessuna intenzione di perdere il mio migliore amico.

Siamo ancora stesi abbracciati quando la porta si apre e un piccolo furetto si lancia sopra di noi ridendo.

"Piccolo!". Sento Lele chiamarlo a mezza voce perché gli ha bloccato il respiro saltandogli sopra.

"Ciaooo!". Urla lui fregandosene se ci ha quasi ammazzati.

Gli passo la mano tra i capelli castani corti e soffici come piume di un pulcino e poi inizio a fargli il solletico. E la sua risata cristallina e innocente riempie di allegria la stessa stanza dove, solo pochi attimi prima, aleggiava un'amore represso.

Stiamo ancora ridendo quando noto due figure sulla porta. Lascio la presa su Ricky e poi alzandomi un poco saluto i genitori del mio amico. "Buongiorno!".

"Ciao ragazzi!". Salutano loro col sorriso sulle labbra. "Chi dei due ha dato il meglio di sé sta notte?". Chiede poi il padre.

Mi getto di colpo sul materasso, portandomi dietro il piccolo di casa per nascondermi.

Li sento ridere. "Ti preparo una colazione leggera allora!". Mi sento dira da sua madre.

"No!". Dico a voce alta alzandomi di nuovo. "Ho allenamento!". Mi giustifico.

Lei mi sorride, "quindi il solito!". E poi spariscono entrambi portandosi Riccardo in cucina con loro.

"Come puoi non volerle almeno un po' bene?". Chiedo al ragazzo che è tornato ad abbracciarmi.

"Non lo so".

"Cioè", inizio a dire passandogli il braccio sulle spalle, "si ricorda cosa mangio a seconda di quello che ho in programma!".

Lui alza gli occhi verso di me e imbroncia le labbra. "Grazie per farmi sentire ancora più una merda".

Sorrido e poi lo sposto. Se non mi alzo non arriverò mai in orario.

"Vado a farmi una doccia!". Gli dico prendendo l'accappatoio appeso dietro la porta.

"Vengo".

Mi volto a guardarlo un po' interdetto.

"Cazzo pensi?". Mi lancia dietro il cuscino.

E boh. Per un attimo sembrava proprio che lo avesse inteso in quel senso, ma forse sono solo io che mi sto fottendo anche il cervello dopo il cuore.

Faccio una doccia e mentre aspetto che se la faccia anche lui svuoto il suo borsone del calcio e lo riempio con quello che serve a me per l'allenamento. Prendo dal suo armadio un cambio, frugo in cerca del mio costume di scorta che lascio sempre qui e poi recupero un asciugamano e le sue ciabatte. Occhialini e cuffia fortunatamente li lascio sempre nell'armadietto della piscina.

Quando anche lui è vestito scendiamo e tutti assieme facciamo colazione.

E sebbene io piombi in casa loro molto meno rispetto a lui nella mia, so di essere sempre il benvenuto, ma questa mattina per la prima volta mi ritrovo a chiedermi: e se fossimo fidanzati? Cambierebbe qualcosa?

Sogni campati per aria.

Che provvedo a cancellare non appena entro nella vasca fredda.

Ehi na na naDove le storie prendono vita. Scoprilo ora