È l'ultima ora dell'ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale. Lui come sempre è seduto al suo posto due file più avanti la mia dall'altra parte dell'aula, accanto a Zeno. Sono ormai cinque anni che lui si siede sempre davanti a me e solo in questi giorni ho capito perché puntualmente sceglieva così. Aver la possibilità di guardarlo rende difficile qualsiasi altra cosa, figurarsi riuscire a seguire una giornata intera di lezioni. Lo osservo mentre si sporge verso il suo compagno di banco per sussurrargli qualcosa, lo vedo mentre si passa la mano sulla nuca, mentre scrive e mentre tamburella la matita sulle pagine del libro. Lo vedo incrociare i piedi e poi le gambe. Lo vedo allungarsi per stiracchiare i muscoli intorpiditi e lo guardo mentre si stende sul banco concedendosi una pausa di pochi secondi. Mentre apre una bottiglietta d'acqua e poi ne beve un sorso e poi mentre sfila dalla tasca dei jeans il cellulare per digitare un messaggio veloce.
Sorrido quando sento la vibrazione del mio attivarsi. "Smettila di guardarmi!" , leggo.
E mi chiedo come possa saperlo anche se non faccio altro dalla prima ora. È impossibile ignorarlo, soprattutto dopo tutto quello che è riuscito a farmi provare tre sere fa a casa sua. Non l'abbiamo più rifatto, non ne abbiamo più avuto l'occasione e questo mi sta torturando come non mi era mai successo. Per anni ho ascoltato le voci che giravano su di lui e su che tipo di amante fosse, ma mai mi ero soffermato a pensare sul serio a come sarebbe potuto essere stare con lui, con un altro ragazzo che conosce il corpo maschile, rispetto a una ragazza che il più delle volte è così concentrata su sé stessa da dimenticarsi di me.
E il solo ripensare a quello che mi ha fatto risveglia nel mio corpo parti che sarebbe meglio restassero addormentate, almeno per il momento. Scuoto la testa, cercando di annullare ogni pensiero che aveva iniziato a formarsi e puntando invece gli occhi sull'orologio posto sopra la cattedra. Solo altri quindici minuti e poi finalmente liberi.
Quando suona la campanella tiro un respiro e mi complimento con me stesso per essere riuscito a sopravvivere alla tortura di poterlo guardare senza nemmeno sfiorarlo. Prendo le mie cose e poi lasciando lo zaino sul banco mi avvicino a lui che è ancora seduto.
"Vai a casa?". Gli chiedo.
Lui alza lo sguardo verso di me e l'unica cosa che mi passa per la testa mentre guardo i suoi occhi verdi è il leggero appannamento che li ricopriva l'altra sera.
"Lele!". Mi chiama e poi mi tira un pugno sulla gamba.
"Cazzo". Esclamo massaggiandomi dove mi ha colpito. "Perché?".
Lui mi guarda con quella sua espressione che dice Lo sai e a me non rimane che alzare gli occhi al cielo. Lo so, vorrei dirgli. So che gliel'ho chiesto io e che se continuo così mi caccerò in casini nei quali non sono pronto a entrare, per cui mi maledico da solo per essere così debole e senza aspettare la risposta alla domanda che gli avevo posto, giro i tacchi e torno a prendere lo zaino prima d'uscire dalla classe. Un po' incazzato e un po' amareggiato.
Non è colpa sua e non ce l'ho nemmeno con lui. Il problema sono io e lo sappiamo entrambi.
"Lele!". Lo sento chiamarmi sopra il brusio degli altri studenti. Ma lo ignoro e tiro dritto, sperando d'uscire senza essere rincorso.
"Michele". Alza la voce chiamandomi col mio nome intero, cosa che fa solo quando lo faccio incazzare. Ma so che non lo è e chiamandomi così spera solo di farmi fermare.
Ma sbaglia.
Continuo a camminare, superando altri studenti e accelerando il passo quando mi viene permesso.
"Smettila". Mi dice mentre mi afferra per un polso, frenando la mia fuga.
"Lasciami andare".
"No".
Alcuni ragazzi si voltano a guardarci, ma notando che siamo noi due continuano per la loro strada. Ci conoscono tutti. Il campione di nuoto e il suo amico calciatore che stava con la più popolare della scuola. Non siamo estranei per nessuno per cui vederci assieme non è di certo una novità o un pettegolezzo che può far notizia, sempre ammesso che nessuno venga mai a conoscenza di cosa siamo sul serio noi.
"L'hai detto tu stesso solo pochi attimi fa".
"Non mettermi in bocca parole che non ho detto solo perché sei frustrato". Mi risponde a tono.
Rilasso i muscoli sotto la sua presa e solo allora mi lascia andare. "Mi hai fatto male". Dico ruotando il polso.
"Non fare la pittima".
Sbuffo. Ha ragione come sempre su tutto e ammetterlo è fastidioso. "È difficile". Confesso.
"E credi che per me sia facile?". Mi dice sottovoce cercando di non attirare attenzioni.
Abbasso lo sguardo e allo stesso tempo inizio a sgonfiarmi di tutta quella rabbia che aveva iniziato a fermentare dentro di me. "Mi dispiace".
"Andiamo". Mi dice solamente, accettando la mia sfuriata del cazzo. Mi cinge le spalle con un braccio e solo dopo pochi passi ci raggiungono anche gli altri tre e Gian facendomi l'occhiolino, mi circonda un fianco facendo passare il braccio sotto lo zaino. Lo vedo alzare le spalle alla mia domanda silenziosa sul che cazzo sta facendo. "Per dare meno nell'occhio!". Mi dice poi. E stringo le labbra per impedirmi di farle tremare nel notare la sua genuina preoccupazione.
Ho degli amici tanto speciali quanto cazzoni e li adoro per questo.
"Ci vediamo alla festa?". Chiedo a tutti.
"Sì, ci siamo tutti credo!".
Vedo che si guardano l'uno con l'altro e ognuno di loro fa un cenno d'assenso con la testa. Quindi domani sera saremmo nuovamente assieme per l'ennesima festa alcolica a festeggiare la vigilia di Natale.
"Quindi che fai?". Mi volto verso Jo, aspettando la sua risposta questa volta.
"Ho gli allenamenti". Mi dice storcendo la bocca. Ma quello che non sa è che speravo fosse impegnato perché avevo bisogno di tempo per andare a comprare il suo regalo.
"Allora ci vediamo direttamente domani anche noi".
"Mi sa di sì".
Sorrido e dopo avergli stretto una mano, lo saluto. Lo vedo salire sul suo scooter. Zeno seduto dietro di lui.
"Continua a portarlo a casa". Mi dice Marco.
Lo guardo aggrottando la fronte. "E allora?".
"Non ti infastidisce?".
Lo guardo allibito. "Stiamo parlando di Zeno. Nostro amico dalla scuola materna cazzo!".
"E quindi? Io sarei geloso!". Ribatte alzando le spalle.
"Lo sai vero che io torno con Gian e te ogni giorno?". Gli chiedo evidenziando l'ovvio. "Quindi non dovrebbe essere geloso anche lui?".
Lo vedo pensare e prima che possa dire altro si mette in mezzo Gian. "Ma lascia perdere sto coglione!". Mi dice e poi si mettono a ridere assieme, come se Marco non fosse appena stato insultato. Non li capirò mai.
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Ehi na na na
Storie d'amoreÈ bastato un bacio e qualche sogno a creare il caos dentro la testa di Michele o almeno è quello che crede lui. Al contrario suo, Joshua, ha sempre saputo quali sono i suoi veri sentimenti, solo che ha scelto di tenerli nascosti per preservare l'am...