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Da quella fatidica mattina e in seguito non si parlò d'altro: balli, persone benestanti, reddito, bellezze, divertimento e buone maniere. Io non amavo molto ballare, non credevo si potesse trovare del divertimento a frequentare gente aristocratica che spesso disprezzava il popolo, e non capivo l'entusiasmo della gente, o come facessero a non accorgersi del disprezzo velato, dietro la sudditanza di ogni evento pagato da loro. Era sulla bocca di tutti, fermentando fantasiose prospettive per l'evento, soprattutto la mia amica Rosalyn. Era sognatrice come sua madre. Ma il concetto non riguardò solo loro. Tutti vennero presi dalla giostra di euforia e mi chiesi, con gran dubbio, cosa avesse di così speciale quell’invito. Spinta dalla curiosità, decisi di leggere anch'io.

20 maggio 1938

Gentile signora Wilson,
Il dieci giugno la famiglia Lloyd, invita lei e la sua famiglia a partecipare alla festa di benvenuto del signor Carter Lloyd Daniel, nipote dell'industriale Lord Charles Lloyd, presso la tenuta estiva Light Mason, di recente divenuta di sua proprietà.
Garantiamo la vostra partecipazione.

Cordiali saluti.
Charles Lloyd.

Rilessi le parole, ma l'esuberanza non mi travolse. Attesi un secondo in più ma niente, sentendomi sciocca per essere caduta nel tranello di quell’invito che sperava essere interessante.
“Tutto quel trambusto per valorizzare la ricchezza di una famiglia”, pensai. Che presuntuosi e spocchiosi, mettere in risalto le differenze sociali. Non che la cosa mi toccasse, ma la trovavo un'idiozia. I Lloyd erano una considerevole dinastia abbiente e molto potente, soprattutto dediti servitori della Corona, e anche proprietari del terreno che calpestavo e dell'aria che respiravo. Tolsi gli occhi dalla lettera, abbandonandola dalle mie attenzioni. Eravamo sedute a tavola per pranzare, e tra una forchettata e l'altra, senza guardare zia Daisy, commentai:
«Secondo me, non dovremo andarci» lanciai malamente la lettera sul tavolo e la allontanai da me con riluttanza.
«Non avrebbe senso mischiarci con loro.»
«Dai su, Isy, rilassati un po'. È solo una festa. Una festa dove anche tu puoi divertirti, cara» mi accarezzò il viso. «E poi è da tanto che non ci andiamo. Da quando...» Si bloccò, e nei suoi occhi acquosi riemerse il ricordo di zio Harry. I dotti lacrimali cominciarono a farle sgorgare lacrime e quest'ultime a rigarle il viso. Sfogò con me un po' del suo dolore, come molto spesso accadeva. La guardai in silenzio come sempre e confortandola la convinsi a smettere.
«Zia, basta» trattenni anch'io il dispiacere. Lasciai le posate mal riposte vicino al piatto. Forse avevo esagerato.
«Se vuoi che andiamo, va bene, ci andremo. Però adesso asciugati questi occhi» le porsi un fazzoletto di stoffa e mi alzai ad abbracciarla. Era ancora seduta sulla sua sedia.
«Su, dai» la incoraggiai con un sorriso e le massaggiai le spalle. Lei annuì solamente. Chiudemmo lì il discorso, tornando a mangiare. Il nome di mio zio le suscitava sempre quelle emozioni. Non era facile parlarne.

Il pomeriggio volò velocemente a lavoro. Verso le sette di sera, staccando prima dall'ora di chiusura, decisi di uscire e portarmi un bel libro da leggere. Mi addentrai nel parco, scegliendo di rilassarmi su una panchina sotto un salice piangente, con il profumo di ortensie e la luce del tramonto. Il sole generò diverse totalità, dall'azzurro con toni blu cobalto del cielo, al corallo intenso del sole. Adoravo quel momento. A volte sembrava magico. Cominciai a leggere un nuovo capitolo del libro che avevo già iniziato e letto migliaia di volte: Jane Eyre di Charlotte Bronte. Amavo moltissimo il suo personaggio e la decisione e la passione che la scrittrice usava nella sua storia travagliata. Rimasi immersa nella vicenda per circa due ore. Il parco nel frattempo si popolò di persone, accompagnate dal brusio delle voci. Giunto l'imbrunire decisi di tornare a casa. Mi alzai dalla panchina e, mentre sistemavo le pieghe della gonna con garbo, notai due visi nuovi parlare con i signori Allen.
Era facile riconoscere un forestiero in quel paesino di anime contate e, concentrando la mia attenzione su di loro, gli osservai. Erano un signore di mezz'età: alto, capelli brizzolati con brillantina e di corporatura uniformata. Era affiancato a un ragazzo alto e bruno che gli restava vicino. Passeggiavano vicini, rimanendo molto composti nel loro portamento rigido, vestiti in maniera impeccabile ed elegante. Completo gessato scuro, cappelli sul capo e scarpe tirate a lucido. L'uomo più maturo usava un bastone d'accompagnamento nero, con una testa di cavallo in oro sulla cima, dava l'impressione di essere un ornamento da sfoggiare in bella mostra anziché un oggetto effettivo. Smisi di guardarli per tornare ai miei obiettivi e non tardare. La serata era ancora lunga, mancava poco all'arrivo dell’estate, e avrei potuto fare uno strappo alla regola per la ritirata. Zia Daisy aveva l'ossessione per le mie uscite e per l'ora del ritiro. Divertita nel pensare alle sue apprensioni, decisi di dirigermi verso la  casa di Rosalyn. Attraversai il vialetto con fare spedito, e solo allora mi accorsi che sarebbe stato inevitabile non imbattermi nei signori Allen e i loro compagni. Salutai cordialmente ma con poco interesse, pensando che la mia distrazione bastasse per non alimentare il solito chiacchiericcio della signora Allen. Lei era una delle nostre migliori clienti, ma le piaceva avere conversazioni molto lunghe. Tutti ricambiarono la cortesia con educazione, ma la signora Allen non si fermò al mio stentato accenno.
«Buonasera, Is.»
«Buonasera, Diana.»
«Ti avevo notata già in precedenza, ma eri impegnata» indicò il libro che stringevo tra le mani.
«Mi scusi. Farò più attenzione la prossima volta. Buona serata» mi congedai rapidamente. La signora Allen, però, non afferrò le mie intenzioni. Si allontanò da suo marito per parlarmi in disparte, come avevo previsto. Mi poggiò una mano sulle spalle e mi prese con le buone.
«Isabel, cara, mi sono appena ricordata una cosa. Potresti dire a Daisy di mettermi da parte un po' del suo nuovo sapone per il bucato? È ottimo. E poi anche la crema per le mie povere mani? Sono fragili» le indicò, togliendosi un guanto di pizzo beige. La guardai prima scettica e poi indignata. Era possibile non poter avere del riposo?
«Mi scusi, Diana, non posso mica ricordarmi tutto questo? Non ho una memoria infallibile da annotarmi ogni cosa.»
«Non stai andando a casa tua?» Si accigliò, incredula della mia risposta.
«Ho il pomeriggio libero, posso andare dove voglio» polemizzai. Il mio tono stizzito mise a tacere la signora Allen. La vidi caricarsi, pronta a riempirmi di rimproveri, che in seguito sarebbero giunti a mia zia. Lei non sopportava le lamentele sul mio conto. Di riflesso mi pentii del gesto e versai l’irritazione, con grande teatralità, in uno scherzo. Scoppiai a ridere con una simpatia spudorata. Le misi una mano sul braccio e la rasserenai.
«Stavo scherzando, Diana. Certo che glielo riferirò a zia Daisy, ma speravo di incontrarla lunedì mattina. Sa quanto a zia piace molto la sua presenza per chiacchierare» Diana, cascata alla mia finta cortesia, scoppiò a ridere con me.
«Che furbetta. Stavo per crederci» mi diede due schiaffetti leggeri sul viso, per poi risistemarsi il guanto. Chiusi gli occhi e mi morsi la lingua. Ignorai il mio fastidio e finsi di apparire sorridente. Stava funzionando.
«Spero di non averla offesa.»
«Mi piacciono le leggerezze. Tranquilla. Ma ricordati quello che ti ho detto. Adesso ti lascio stare. Sembrava che avessi da fare» finalmente lo aveva capito.
«Sì, in effetti. Devo vedere Rosalyn.»
«Che dolce ragazza che è Rosalyn. Mi piace molto. Dovresti prendere esempio da lei. Salutala da parte mia. Mi raccomando.»
Sorrisi in modo stretto, tollerando la sua battuta. Non capivo perché tutti adorassero Rosalyn. Ignorai la sua sottintesa e innocente offesa e mi congedai.
«Saremo tutti come Rosalyn un giorno di questi. Buona serata» le garantii priva di entusiasmo, già intenta ad allontanarmi. La signora Allen rise. Era consapevole dei miei fasulli tentativi di tacere di fronte a un'offesa. Mi lasciò andare per riunirsi a suo marito e io lanciai un'occhiata a tutti loro. Mentre il signor Allen e il signore adulto ben vestito avevano smesso di chiacchiere per attendere che la signora terminasse con me;  il giovane uomo mi guardò, come se stesse osservando qualcosa di curioso o strano. Forse il dialogo poteva esser apparso non troppo educato, per una signorina che doveva possedere del contegno nell'esprimere pareri fuori luogo, ma ero abituata alle occhiate indecifrabili. Mi rigirai e cercai di non badarci. Proseguii verso l'uscita del parco per giungere fino a casa di Rosalyn, che trovai già pronta. Aveva acconciato i capelli con delle onde che le contornavano il viso, legando alcune ciocche con un fermaglio. A stento le sfioravano le spalle. Aveva abbondato anche con il rossetto, sfoggiando un abito azzurro. Insieme ci dirigemmo verso casa mia. Appena zia la vide, mi chiese perché  non ero ancora pronta. In pochi minuti anch'io mi ricomposi. Nei tempi brevi per la scelta, indossai un abito rosso in cotone lucido a manica corta, con una scollatura a barca, molto semplice e casto. Lo cucì mia zia e lei possedeva gusti austeri e retrò. In seguito pettinai i capelli, abbozzai un leggero trucco sul viso e indossai un tacco comodo. Uscimmo da casa sentendo le preoccupazione di mia zia.
«Mi raccomando. State attente e non rientrate tardi.»
Io e Rosalyn replicammo sempre, con monosillabi esasperati. Le sue parole erano solo cantilene, come se stessimo commettendo qualcosa di pericoloso. Al contrario di quello che pensasse, le nostre uscite erano molto semplici. Sostavamo solitamente al caffè della piazza, in compagnia della nostra combriccola, nata durante l'infanzia. C'erano David il proprietario, Jade sua moglie, Robert, il ragazzo che Rosalyn amava,  anche lui ricambiava ma erano ancora troppo timidi per confessarselo, e infine Thomas, il fratello di Robert. Rimanevamo lì per tutta la sera, occupando il tempo con lunghe chiacchierate.


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