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Scappare dal quel luogo fu una necessità. Avevo molti occhi puntati addosso e non erano affatto amichevoli. Sentii frasi di esclamazioni di dispiacere e alcune di rabbia nei miei confronti. Si creò confusione e mi maledissi per il mio temperamento. Con passo deciso, pieno d'ira, raggiunsi casa mia. Mi rinchiusi per non udire e vedere nessuno. Mi sentivo agitata, colpevole di qualcosa che non desideravo e sapevo che avrei pagato delle conseguenze. Passeggiai con aria nervosa avanti e dietro per il  salotto e pochi minuti dopo vidi la porta aprirsi. Mia zia entrò furibonda.
«Mi dici cosa ti prende? Perché lo hai rifiutato?»
Arrabbiata per la sua meccanizzazione alle mie spalle, le risposi a tono.
«Ti pare che sia lecito quello che mi stai chiedendo? Io non voglio essere la moglie di quel tipo. A malapena parla!»
«Imparerai a conoscerlo. È timido.»
«Ma come ti salta in mente di farmi fare una cosa del genere, senza il mio consenso?»
«Tu non avresti mai accettato. Ho dato solo il mio permesso perché Liam è davvero interessato. È un bravo ragazzo con una famiglia benestante, avrai una vita agiata, cosa non ti garba in tutto questo?»
«Non lo amo. Non trovo nulla in lui. Non voglio sposarmi adesso.»
«E cosa vuoi, Is? Hai un età da matrimonio, ormai. Ti rendi conto che con le tue ambizioni senza freno ci porteranno a essere guardate male? Il reverendo e sua moglie si sono offesi. Vera si è offesa. Mi hanno recriminato per il tuo atteggiamento, considerando che sia stata io a crescerti. Tutti si sono lamentati di te. Adesso non verranno più da noi e tu verrai trattata peggio del colera.»
«Non mi interessa. Io penso ciò che è giusto per la mia vita.»
«La tua vita è qui e devi dare peso a tutto questo.»
«La mia vita è andarmene. Voglio trovare papà. Io non voglio più vivere qui» confidai, finalmente senza scrupoli.
Lei si freddò. Mi guardò in maniera estranea. Sgranò gli occhi per poi tacere. Sembrava che provasse timore, ma nello stesso tempo la vidi elaborare una risposta per zittirmi.
«Tuo padre non ti vuole» sillabò. Sperava di intimidirmi. Lei non aveva mai sopportato papà e non avrebbe mai accettato l'idea. Le sue parole mi ferirono, ma non cedetti.
«Il tuo pensiero non conta. Non sono andate così le cose. Tua sorella non mi amava.»
«Tua madre ti ha sempre amato.» la difese.
«E dov'è adesso? Eh?» Allargai le braccia per guardarmi attorno. A causa del dolore che provavo per l'abbandono mi salirono le lacrime agli occhi. Punsero e fecero bruciare le narici. Odiavo piangere davanti agli altri e mostrare la mia debolezza. Speravo di trattenermi a sufficienza.
«Io non la vedo con me. Tu sei con me e papà è stato solo una conseguenza.»
Alla mia reazione di cedimento lei si addolcì, ma alla mia velenosa puntualizzazione, tornò a torchiarmi. «Lei non può tornare e tuo padre non ti ha mai voluta. Se sei qui c'è un motivo.»
«Deduco che allora ti sono di peso.»
«Non ho detto questo.»
«È quello che hai fatto dandomi al primo capitato!»
«Tu hai bisogno di disciplina, ragazza mia.»
«E che disciplina potrebbe darmi Liam, eh?»
«Tu non ti rendi conto di quello che fai, Isabel. Tutti, ogni giorno, si lamentano di te. Sopporto. Soffoco i pareri e ti giustifico, ma oggi hai fatto un danno. Di quelli madornali. Per un po' nessuno verrà da noi a spendere e ci tratteranno come se avessimo commesso un omicidio o un adulterio.»
«A te interessa solo del denaro e del lavoro. Non della mia vita.» replicai.
Alla quella frase perse le staffe. Si avvicinò a me con fare violento. Restò a pochi centimetri dal mio viso. La guardai negli occhi senza battere ciglio.
«Non sai cosa abbiamo passato io e tuo zio per colpa dei tuoi genitori. Abbiamo tenuto testa, subendo l'errore di due sciocchi, assorbendo colpe che non avevamo. Abbiamo accettato di essere colpevoli mettendoci contro i nostri famigliari, solo per campare e tirare avanti. Nessuno, dopo l'adulterio di tua madre, è venuto a spendere un solo centesimo da noi, per il semplice fatto di essere marchiate come delle puttane, Isabel. Il volgare linguaggio che sono costretta a usare è quello che mi hanno rivolto senza avere colpe. Marchiate da una leggerezza. Anche tu sei marchiata. Sei sua figlia. Credo che tu lo sappia. Quindi pesa ciò che dici» le sue parole erano forti, ma non dimostrai timore.
Reagii. «Io non ho tradito nessuno. Non sono sposata. Non ho un fidanzato. Ho solamente rifiutato quello che non voglio per la mia vita.»
«E cosa vuoi per la tua vita? Cosa ti aspetti?»
«Io non mi aspetto nulla.»
«Nulla? Ho visto degli atteggiamenti in te che non mi piacciono e voglio evitare che tu faccia la fine di tua madre.»
Rimasi a fissarla. Non compresi.
«Atteggiamenti che non ti piacciono? Io non ho fatto nulla!»
«Isabel, puoi ingannare il cuore, non gli occhi.»
«Cosa significa?» Mi alterai.
«Significa che vedo come Daniel ti guarda e tu guardi lui.»
Alla sua frase sbiancai. Ero stata messa con le spalle al muro, cedendo con la difesa. Non pensavo che si fosse esternato così tanto. Svincolando dalla sua accusa, tentai di controbattere.
«Quello che dici è surreale. Siamo solo amici. Lui deve sposarsi e io voglio andarmene a Parigi.»
Lei si stupì della mia determinazione. Sembrò ricredersi. «Confido che sia così. Perché non attenderò a prendere provvedimenti.»
«Sì, a darmi in moglie al primo che capita» sbuffai, sardonica.
«Farei anche questo e vedermi costretta ad allontanarti.»
La sua dichiarazione di guerra mi spiazzò. Non lo avrei mai giurato. Consideravo zia Daisy una madre, una persona su cui contare e non capivo l'emergenza e la disperazione di quell'atto: essere cacciata. Tirando sul con il naso e trattenendo il pianto, mi indurii. Non avrei aspettato il suo permesso, se fossero stati quelli i suoi pensieri. Non volevo vivere sul filo del rasoio per non finire in strada. Così presi una decisione su due piedi. Mi girai di scatto per dirigermi verso le scale.
«Me ne andrò da qui. Faccio le valige.» completai gelida, senza voltarmi.
Se il suo attacco fosse quello di spaventarmi, non ci sarebbe riuscita affatto. Era già nelle mie aspettative.
Entrai in camera e chiusi la porta, sbattendola. Liberai le lacrime e, piangendo a singhiozzi, tirai fuori dall'armadio la valigia. Con gli occhi appannati di lacrime misi con foga la mia roba nella borsa, ruppi il salvadanaio e misi dentro anche il denaro.  Una volta preso tutto, asciugandomi di tanto in tanto il viso, indossai un cardigan per coprirmi dalla fresco della notte e, scendendo le scale spedita, senza provare nessun rimorso, uscii da casa sistemando la valigia dietro il sellino della bici. La serrai con due lacci per non farla cadere. Nel frattempo mia zia, allibita dalla mia scelta, tentò di fermarmi. Mi pregò di non lasciarla. Non capivo la sua contraddizione, ma non la compatii. Dal volume elevato delle nostre voci, alcuni vicini ci spiarono da dietro le tende per assistere alla scena, ma non intervennero. Mi scrollai mia zia di dosso e la lasciai in lacrime.
Pedalai con passo difilato e mi incamminai lungo le strade buie, illuminate solo dai due lampioni presenti in zona. Evitai le vie principali e presi la strada che congiungeva con Swanage. Lì sarei salita su un traghetto per andare in Francia. Avrei lasciato definitivamente quella terra per non metterci più piede. Ero talmente accecata dalla rabbia da non provare sentimenti. Tutti i ricordi legati e le persone a cui volevo bene mi erano indifferenti. Nulla. Nulla mi avrebbe fermata.
Sorpassai la fine del paese per restare sulla strada provinciale, lungo la costiera. Nel pieno buio il mare sembrava una chiazza nera enorme, si distingueva dalla terra ferma solo grazie al rumore delle onde che si arenavano. Anche il cielo era scuro. Le stelle che si illuminavano a intermittenza e la luna crescente non mi aiutavano a distinguere le forme. Nonostante gli occhi arrossati, cercai di concentrarmi sulla la guida. Ogni tanto raccoglievo l'aria per liberarmi di un peso. Si evidenziarono ancora dei singhiozzi a far sussultare il mio corpo, ma speravo che smettessero. Avevo incorporato tanto dolore e io odiavo provare sofferenza. L'avevo percepita diverse volte in passato e  messo tutto il mio impegno per abolirlo. Non volevo ricaderci.
Ero immersa nei miei pensieri, quando avvertii un auto in transito. Mi girai quando notai gli abbagliati accesi, così decisi di  accostarmi il più possibile sul bordo della strada per lasciarla passare. La macchina si avvicinò, ma non mi sorpassò. Non ricevendo alcuna attenzione da parte mia, provò con un colpo di clacson. Nervosa già di mio, gli feci segno con la mano di passare. Il veicolo insistette ancora, si affianco e sentii un suo finestrino abbassarsi. Irritata dall'insistenza mi girai a guardare. Appena riconobbi Daniel desiderai sparire.
“Non lui”, pensai.
Non avevo voglia di vederlo. Lo ignorai per tornare a guardare la strada, ma lui mi richiamò. «Is, Is, ti prego fermati.»
«No!» tuonai, senza dargli attenzioni.
«Dove stai andando? Fermati. Stai commettendo un errore!»
«Stare qui è un errore» sbottai, facendomi sfuggire il pianto. Maledizione! Altre lacrime rigarono il viso esternando la mia debolezza. Le asciugai con il polso coperto dal cardigan. Con indignazione indurii la voce. «Lasciami stare. Vattene.»
Al mio rifiuto ingranò con la velocità. Mi sorpassò, sbarrandomi la strada . Prima di sbattere contro la carrozzeria, piantai i piedi a terra. Appena si accertò che mi ero fermata scese, venendomi vicino.
«Che cosa credi di fare? Scappare è una soluzione?» Mi rimproverò.
«Non sto scappando. Sto facendo quello che voglio. Togliti di mezzo.» risposi male, rimettendo i piedi sui pedali.
Daniel si oppose, poggiando le mani sul manubrio. Mi bloccò e mi costrinse a guardarlo. Appena i miei occhi si fermarono su i suoi, provai un tuffo al cuore. Mia zia aveva ragione. Io non provavo solo del semplice affetto per Daniel. Raggiravo me stessa per evitarlo, ma io lo amavo. La sensazione che non avrei mai voluto provare si era instaurata dentro me, entrando nel mio cuore in punta di piedi, e lui era la persona più sbagliata del mondo. Negai quella possibilità, distogliendo lo sguardo. Daniel, mettendo inavvertitamente una mano sul mio volto, mi costrinse a guardarlo ancora. Il suo tocco fu come un sollievo che mi sciolse. Lui assorbì il mio stato. Asciugò con il pollice le lacrime che scorrevano sulla mia guancia, mentre altre scendevano ancora, involontarie. Cercai di fermarle, alzando gli occhi al cielo. Mi sentivo nuda di fronte alla sua persona. Per compassione fece un gesto che non mi sarei mai aspettata di ricevere. Avvicinò il suo viso al mio e  mi abbracciò. Avvertii il suo calore addosso e il suo respiro sfiorarmi la pelle. Provai brividi, ma non ricambiai l’affetto. Mise una mano dietro alla nuca e l'altra dietro alle spalle. Distrutta emotivamente dai sentimenti, mi stimolò ancora a piangere. Prendendo contegno, cercai di distanziarmi. Non desideravo il suo compatimento, ma non me lo permise. Presi diversi respiri prima di ritrovare la calma, mentre Daniel attendeva un mio  gesto.
«Non voglio vederti così, Is» sussurrò con la bocca tra i miei capelli. Con voce tremante, nascosta nell'incavatura del suo collo, mi imposi di rispondergli, ma prima di farlo mi rasserenai. Il suo profumo mi aiutò. «Io non piango mai.»
Lo avvertii sorridere e sollevare le spalle. «Sì. Lo so. Nessuno ha detto questo.»
Nell'assecondarmi mi fece sorridere appena. Lui era capace di tutto. Al mio cenno, Daniel, sembrò emettere un respiro di sollievo.
«Adesso vieni. Ti accompagno a casa.»
«Io non ci torno a casa.» mi impuntai.
«Is, tua zia sarà in pena.» disse a mo' di predica.
«Non m'importa.»
«E dove credi di andare?»
«A Parigi. Me ne vado da qui, finalmente. Gliel'ho detto.»
Daniel mugugnò. «Mh. Mi dispiace, non posso lasciartelo fare.»
Tentai di separarmi, ma lui non me lo permise. Il solito cocciuto.
«Lasciami stare, Daniel. Io ho i miei progetti di vita e tu i tuoi.»
«Io non ho nessun progetto di vita. Non opporti, Isabel. Tu tornerai a casa tua. Per piacere. Se non vuoi farlo per tua zia, allora fallo per me. Ti prego.» si separò da me mettendo entrambe le mani sul mio volto. I suoi occhi tentarono di entrare nei miei, Mi ammaliarono e infine annuii. Mi lasciò, in attesa che scendessi dalla bici, io invece mi preparai a pedalare. Mi fermò, invitandomi a salire sulla sua auto, ma declinai. «Daniel, posso pedalare.»
«Non sei nelle condizioni. È stato già avventato arrivare fin qui.»
«Ho dato già molto spettacolo, non vorrei continuare con lo show.» indicai la sua Aston Martin. Aveva la carrozzeria laccata nero lucido, con la capote beige.
Lui capì. «Non succederà nulla. Te lo garantisco. Tua zia capirà. Per piacere.» mi porse la mano e attese che l'accettassi.
Incerta, valutai ogni ipotesi. Più di quanto già si vociferasse, non poteva succedere. Almeno avrebbero avuto un motivo valido, non ingiusto. Gli diedi la mano e mi invitò ad aprire la portiera del passeggero. Dopo aver chiuso lo sportello, sistemò la valigia su i sedili posteriori e la bici nel portabagagli. Io, al contrario, avvertii tensione nell'attenderlo. Anche la sua auto odorava di lui. Non ci ero mai entrata prima, sentivo di violare una parte di sé. Mi guardai intorno, notando gli interni di pelle morbida color  panna, rifiniti con delle cuciture colore marrone bruciato. Già dall'aspetto era chiaro che era un auto costosa. Appena tornò dentro, accese il motore e, facendo alcune manovre, riprese la direzione giusta.

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