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Rosalyn restò per gran parte della mattinata. Se ne andò con il rientro di mia zia dal lavoro. Dedicandole il tempo necessario, le mostrai le due lettere che lei lesse in silenzio.
«Rosalyn si sposerà presto» annunciai.
«Almeno qualcuno si sposa in questo luogo» mi attaccò sardonica. Non la badai. Non volevo controbattere. Avevo nel cuore ancora la felicità per Rosalyn, da non voler guastarmi l'umore.
«Rosalyn mi ha proposto di essere la sua damigella d'onore e far fare il vestito da sua suocera.»
«Ottimo. È una buona notizia. Dovresti stare meno al centro dell'attenzione, ma il pensiero di Rosalyn è molto affettivo. Adesso capisco perché questa mattina Elise e Alisya sono giunte. Oltre a vedere per i particolari da applicare sul vestito da sposa, hanno visto altre stoffe, ma non immaginavo il motivo.»
«Sì, neanch'io» dissi, con un espressione utopista. Io e Rosalyn avevamo la stessa età. Lei era nata a febbraio, io alla fine dell'anno. Pensarla come una donna prossima al matrimonio mi fece rabbrividire. Io non ero fatta per i matrimoni. Oltre ad averne già dato dimostrazione, molti diffidavano su di me. Io stessa ne dubitavo. Non mi sentivo affatto una donna matura per essere una moglie, non avevo mai preso nessun uomo in considerazione da essere definito come la  persona giusta. Non cercavo solo l'amore, ma un individuo aperto di idee che conquistasse la mia fiducia. Dopo averla persa con le persone che avevo amato in passato, la definivo un'ardua sfida. Ero sempre scettica sull'argomento, quasi spaventata. Perché nessuno mi comprendeva?
Mia zia, notando il mio stato eclissato, mi richiamò.
«Isabel!» Esclamò, facendomi sobbalzare. «Allora sei d'accordo? Sembra che tu abbia la testa tra le nuvole!»
«Sì, sì. Sono d'accordo per...» cominciai a ipotizzare, lasciando la frase a metà. Non avevo ascoltato nulla di ciò che aveva detto. Per fortuna lei, leggermente scocciata, riprese a spiegarsi.
«Andremo la prossima settimana a scegliere il vestito. Ci organizzeremo per un pomeriggio. Anche con Rosalyn ed Elise, così abbiamo del tempo per metterci d'accordo.»
«Sì, certo» l'accontentai.
Lei deviò il mio poco interesse e seccata mi porse della posta. La tirò fuori dal taschino del suo vestito. Incerta della provenienza la esaminai. Appena riconobbi il nominativo, sorrisi. Si trattava del mio caro amico, Hans Helberg, il figlio degli amici della sorella di mio zio di Dresda, diventato ormai un militare dell'esercito tedesco. Nonostante si parlasse molto della Germania e della pericolosa dittatura del Führer, Adolf Hitler, le nostre corrispondenze e la nostra amicizia erano ben oltre gli odi mondiali. Ero sempre stata consapevole che Hans facesse parte del Terzo Reich, ma speravo di considerarlo diverso su quanto avessi conosciuto di lui. Nelle nostre missive sembrava lo stesso uomo che avevo conosciuto in passato. Dimostrava umorismo e non accentuava mai con frasi aggressive e dispotiche, come ci si impostava d'abitudine nel descrivere un militare nazista. Credevo nella sua intelligenza e auspicavo che non fosse coinvolto nelle pesanti storie ormai tristemente note.
«È Hans» le spiegai, anche se già aveva letto il mittente.
Mia zia mi guardò con sospetto. «Devi dirmi qualcosa?»  indicò la lettera.
Perché trovava sempre delle negatività? Smentii immediatamente.
«No. Ci scriviamo solo per aggiornarci su come vanno le nostre vite. Lo sai.»
«Non è la prima lettera.»
«L'ipotesi di pensare e avere una vita sociale amichevole non è considerato ancora deplorevole e poco decoroso per una donna. Ma adesso scusami, devo andare a leggere» mi congedai da lei prima che potesse replicare.
La sentii sospirare stanca. Salii le scale per chiudermi in camera. Mi accomodai sul letto con fare comodo, accavallando le gambe e aprii la missiva. Ovviamente era scritta di suo pugno, in inglese.

Berlino, 17 luglio 1938

Cara mia Bella, come va?

Non mi sorprese il suo modo di chiamarmi. Hans mi affidava sempre più spesso quel diminutivo nelle missive, inerente al mio nome.
Ripresi a leggere.

In questo momento sono tornato a Berlino, in quanto, ai tempi dell'ultima lettera mi trovavo a Dresda per congedo.
La mia vita scorre in maniera abbastanza veloce, ma con grande soddisfazione. Berlino è cambiata e adesso, finalmente, si respira un’aria diversa, migliore.
Presto avanzerò di grado e diventerò un Capitano. Mi hanno classificato come molto efficace e mi sto impegnando al massimo per eccellere. Avrò una mia squadra di uomini e mi sento molto gratificato.
Sono diversi mesi che non ci sentiamo e mi manca una tua corrispondenza. Vorrei sapere di te e della tua vita, con la prospettiva di rivederci presto.
Sono consapevole di poter avere delle difficoltà per via della distanza e di voci non vere su ciò che si dice del mio Paese, ma ti chiederei, Isabel, di raggiungermi e vedere almeno una volta la mia capitale. È bellissima e so che anche tu la troverai splendida. Semmai, con la tua prossima lettera, accettassi la mia proposta, sarei lieto e pronto di venirti a prendere, per trascorrere nuovamente quelle giornate spensierate, come quelle che abbiamo già passato in precedenza. Sai, a volte mi mancano quei momenti. Mi auguro di vederti presto. Salutami tua zia Daisy.

Un bacio.
Il tuo amico, Hans.

Finì di leggere, sorpresa. La sua proposta era allettante, dato l'asservimento ammonito che stavo vivendo. Mi piaceva viaggiare e ancor di più rivedere un amico. Sapere che aveva avuto dei progressi nella sua vita mi fece piacere, ritornando con la mente a tre anni indietro. In effetti quelle tre settimane in Germania, a Dresda, furono davvero belle in sua compagnia, assieme alla sua famiglia.
Hans, il ragazzo dai capelli biondo oro, con gli occhi dal colore che ricordava molto il mare tropicale e dai tratti maschili marcati, era sempre disponibile nei miei confronti, assecondando ogni mia richiesta. Ricordavo le giornate trascorse tra la musica classica dei grandi musicisti, come suo padre, e le sfide che ci proponemmo di incorrere. Lui fu il primo a mettermi davanti al manubrio di un auto, senza sapere alcuna nozione. Ovviamente tutto in segreto dai nostri parenti. Possedeva solo un particolare che spesso mi lasciava interdetta: cambiava umore da un momento all'altro. All'epoca frequentava già l'addestramento dell'esercito del Reich, e credevo che il suo atteggiamento derivasse dalle regole disciplinari militari.
Vagavo ancora con la mente perdendomi nel passato, quando udii la voce di mia zia richiamarmi per pranzare. Scesi per aiutarla ad apparecchiare e, con la pietanza sul tavolo, conversammo sul contenuto della lettera di Hans. Con tranquillità gliela feci leggere. Appena terminò vidi in lei della preoccupazione, intuendo che si riferisse all'idea di seguire la proposta di Hans.
«Non mi dirai che ci vorresti andare?» Alzò la lettera a mezz'aria per lasciare cadere, in seguito, sul tavolo. Non mostrò un'aria amichevole.
«Perché no? Sarà un'opportunità per vedere Berlino. Ha detto che è bella» la tormentai. Mi sarei divertita a stuzzicarla. Zia Daisy, invece, non capì le mie intenzioni. Assunse un'aria di rimprovero.
«Fino all'ultimo impazzirò con te. Credo che tu non abbia fatto i conti con me, signorina. Tu da sola non ci vai.»
«Allora vieni insieme a me. Ci divertiremo, sai?»
«Da quello che dicono, c'è tutto tranne che divertimento a Berlino. Ci sono troppe cose che possono essere pericolose per noi, specialmente se ci vai da sola.»
«Hans ha detto che verrebbe a prendermi, se accettassi.»
«Tu da sola con lui non ci vai. Lo abbiamo conosciuto per poco tempo, non è abbastanza per potersi fidare.»
«Quanto sei esagerata. Non può mica mangiarmi?»
«Sei sempre una giovane donna, da sola e con un uomo.»
«Sei all'antica. Come tutti» sbottai.
Lei si alterò. «Ai miei tempi io e tuo zio non potevamo neanche prenderci per mano, quindi arresta la tua emancipazione, signorina. Non verrai mai ben vista per la tua lingua biforcuta. Hai preso proprio da tuo padre. Uno spirito libero.»
Non sapevo come era stato papà da ragazzo, ma in ogni caso lo difesi. Non era stato l’unico.
«Da quello che so, mia madre, ovvero tua sorella, non è stata da meno» sorrisi a bocca chiusa con provocazione, incrociando le braccia al petto.
Zia si disturbò per la mia insolenza. «Isabel, tenta di placare la tua arroganza, tesoro di zia, perché non credo che dire sempre la tua possa portarti a fare molta strada. Diventi antipatica senza che te ne accorga.»
«Stavo solo scherzando, come sei permalosa.»
Zia Daisy mi guardò torva, spegnendo così il nostro dialogo tornando a pranzare.

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