Tornammo a casa tardi ed essendo stanca mi addormentai presto. La notte passò veloce e il giorno si fece trovare dietro alle porte. Mi svegliai di buon mattino e uscii per il mio momento di tranquillità in bici. Andai al parco e, prendendo posto sulla panchina sotto il salice piangente, mi rilassai leggendo. Era una giornata calda. Per fortuna, ogni tanto, tirava una leggera brezza che dava sollievo. D'un tratto, colta alla sprovvista, sentii qualcuno salutarmi alle spalle.
«Buongiorno, Isabel» lo fece in modo audace, come se ci conoscessimo da tanto.
«Buongiorno» gli risposi incerta. Era Daniel.
«Che bella giornata, vero?» Chiese cordialmente.
«Sì» confermai, tornando con gli occhi sul libro. Credevo che il nostro dialogo si fosse concluso, ma mi sbagliavo. Mi ero dimenticata della sua insistenza.
«Cosa leggi? Posso?» Mi interruppe di nuovo, proponendomi di sedersi. Mi spostai, facendogli posto e lui si accomodò. Con movimenti leciti e spontanei si tolse il capello e lo appoggiò accanto a sé, dopodiché, con una mano, si ravvivò i capelli. Mentre si metteva a proprio agio, gli mostrai il libro. Daniel protese una mano sollevata, in attesa di prenderlo. Nel cederglielo non provai fastidio e quando l'aprì lesse ancora la mia dedica/minaccia.
«Bella frase» scherzò, riponendo il libro tra le mie mani senza sfiorarle.
«Grazie...» stavo per congedarmi, quando gli puntualizzai un dettaglio. Non poteva scampare:
«Ma devo aggiornare la nota, puntualizzando che non si toccano le cose altrui senza permesso» diedi l'impressione di accusarlo. Daniel, intuendo il riferimento sorrise in modo amaro, ma ben presto distolse l'attenzione su di sé è la optò per il libro. Si mise seduto più comodamente e accavallò la caviglia sul ginocchio, stendendo un braccio sullo schienale della panchina, verso di me.
«Comunque non trovo il romanzo apprezzabile.»
Al suo commento mi risentii. Non gli avrei permesso di criticare i miei ideali.
«Forse perché ci sono moralità e sensibilità che gli uomini non possono comprendere. Senza offesa.»
«Non tutti gli uomini sono impercettibili. Sono solo preferenze» strinse le spalle, prendendo la mia considerazione con leggerezza. Non sembrò ne offeso e tanto meno scalfito dal mio modo poco cordiale e, certo di volere ancora la mia attenzione, mi rivolse un’altra domanda: «Ci vieni spesso qui, da sola?»
«Vado dove sento il bisogno di vivere. Non c’è un posto predefinito.»
«Sei molto esigente con te stessa» annotò.
«Chi non lo è in fondo? Penso solo a ciò che mi fa stare bene. Nessuno baderà a te se non hai dell’amor proprio» conclusi il discorso.
Daniel annuì, interessato del mio parere. Sgranò suoi occhi neri nell’accogliere le mie parole e sollevò un sorriso compiaciuto alla logica del mio ragionamento. In quel momento sembrai cogliere una luce diversa nel suo modo di mostrarsi. Sembrava più umile e disponibile, paragonato ai soliti standard dei Rampolli Ricconi di città, e forse avrei dovuto frenare i pregiudizi e dargli l'occasione di presentarsi, senza avversità nei suoi riguardi. Chiunque può sempre distinguersi dalla massa.
Chiusi il libro per riporlo su un lato della panchina e, assumendo un’aria risoluta, mi voltai verso di lui. In un primo momento, abituata a non temere nessuno, fu un atto naturale, ma appena incontrai i suoi occhi che si insinuarono nei miei, avvertii un peso sul petto. Non capivo perché riuscisse ad annichilirmi e, indagando più a fondo, mi spinsi a rubargli occhiate furtive. Indossava una camicia a maniche corte bianca e un pantalone blu navy. Le bretelle erano dello stesso colore del pantalone. Notai la stessa intenzione da parte sua, mi esaminava da cima a fondo con i raggi X. La sua intensa dedizione nel osservarmi manifestò in me un senso di disagevolezza nel mio corpo. L’incapacità di destreggiarmi non era mai apparsa di fronte a nessuno, ma la sua esplicita capacità di leggermi ed entrare nella mia mente, mi abbatteva ogni volta. Il cuore cominciò ad accelerare i battiti e lo stomaco chiudersi in una morsa. Spaventata, distolsi immediatamente gli occhi dai suoi, ma Daniel non mutò il suo curioso interesse. Non sapevo se lo facesse apposta, non sembrava neanche affatto dispiaciuto. Sapeva giocare. Voltai gli occhi verso il lago. Delle macchie specchianti riflettevano il sole. Deconcentrai i pensieri e chiusi gli occhi. Non potevo essere assorbita dalla sua aurea, piuttosto lo avrei voluto annichilire come lui faceva con me. Li riaprii tornando più carica nel stabilire chi comandava. Al contrario, lui mi osservò, in attesa di spiegazioni sul mio anomalo atteggiamento. Non sapevo se avessimo cominciato una guerra in segreto, ma stavo combattendo una battaglia atipica ed emozionale, mai affrontata nella mia vita e avrei dovuto difendermi. Raccolsi del coraggio a pronunciarmi, retrocedendo alla benevolenza concessa. Decisi di assoldare un dettaglio del suo invito ed essere incisiva.
«È stata una bella festa quella di ieri sera, solo che ho trovato inconsueto il perché tu abbia scelto di invitare anche tutti noi.»
Daniel sembrò impreparato dalla mia puntualizzazione.
«Era per conoscervi meglio. Perché, ho fatto qualcosa di sbagliato?»
«L'ho trovato inusuale. Sono nette le nostre differenze sociali» evidenziai con il mento verso di lui. «e non comprendo l’esigenza di una scelta irregolare.»
«Una classe sociale differente è in grado di impedirmi di avere la conoscenza di chi abita qui?»
«O chi soggiorna nelle terre in vostro possesso, sarebbe più opportuno sottolineare. Non è così?» Definii spietata.
Daniel sembrò offeso. «È così che la pensi?»
«Sì. È un mio parere. In questo momento sto parlando a tu per tu con il padrone della terra dove possiedo la mia casa. In realtà dovrebbe essere un onore, ma onestamente la cosa non mi lusinga affatto.»
«Per quanto possa risultati inverosimile, non amo evidenziare il contesto. Inoltre, credevo che ieri sera avessi mutato parere su di me» espose l’ultima frase con celata provocazione. La sua domanda mi intrappolò. Pensai al nostro ballo e a quello che mi suscitò. Maledizione! Era sempre uno scombussolamento. In qualunque lato volessi mandare la sua insistenza, lui era sempre lì a sovrastarmi. Annuii solo con la testa e mi silenziai. Alcuni secondi passarono con inerzia, per poi venire attirata dalla sua voce.
«Ieri ho visto il tuo ragazzo notevolmente agitato. Spero sia tutto a posto» si informò con ardua apprensione.
«Ti sbagli, Robert non è il mio ragazzo» negai con la testa. Mi venne da ridere.
«Ah!» Esclamò sorpreso, quasi sollevato. «Pensavo lo fosse. Dal modo in cui ti ha portata via da me, non mi sembrava tanto naturale se non fosse per quel tipo di appartenenza» dichiarò sdegnato, senza provare difficoltà nel confessarsi. Io, al contrario, rimasi visibilmente stordita. Anche il cuore si fermò.
«Portata via da te?» Chiesi delucidazioni. Solo il quel momento Daniel si rese conto della gravità delle parole. Sgranò gli occhi alla mia domanda, ma riparò egregiamente allo sbaglio.
«Intendo dire che ha presentato un aspetto poco sereno, mentre stavamo interloquendo, e mi è sembrato che rappresentassi qualcosa per lui» la scusa reggeva.
«No, hai frainteso. Siamo amici fin da bambini. Abbiamo solo molta confidenza, ma forse non potrei dire lo stesso di te e della tua ragazza. È molto bella, complimenti» deviai il mio privato per entrare nel suo. Infatti Daniel non si aspettava un cambio di direzione, ma capì a chi mi riferivo.
«No, ti sbagli. Non è la mia ragazza» negò lievemente con il capo. Al suo responso, per qualche motivo ambiguo, mi sentii confortata.
«Scusami. Pensavo lo fosse.»
Daniel sembrò fiero del mio interessamento. I suoi occhi neri si fecero più vivaci e sicuri. Brutto segno per me.
«No, tranquilla. Hai solo ricambiato l'offerta» intese il mio gioco. A quel punto fui scoperta.
«Sì. Credo che sia equo che se tu chieda qualcosa di me, io lo chieda a te» ammisi determinata.
«Ovvio» la sua risposta sembrava una battuta sarcastica. Gli lanciai un'occhiataccia.
«Cosa significa questo ovvio?»
«Lo trovo logico» si difese.
«Bene, allora. Siamo d'accordo» confermai. Gli stimolai un sorriso che mi coinvolse ad allentare la presa. «Ti piace questo posto?» Proposi ancora, evitando discorsi personali.
«Sì. L'ho apprezzato fin dall'inizio, dal momento in cui sono tornato e ho preso interesse per alcune particolarità che prima non avevo notato» sintetizzò, facendo nascere un flebile sorriso sul volto. Notai che voleva fermare il discorso. Non insistetti.
«Sì, hai ragione. Il paese è piccolo, ma il mare è stupendo. Io l'adoro, specie in questa stagione. Non è affatto male.»
Daniel colse un segnale. «Non è affatto male? Perché a te non piace?» Chiese con dubbio.
Mi soffermai a scrutarlo. Per disappunto mi accigliai. «Come mai questa domanda?»
«Tu le fai a me e io ricambio con te. Ricordi?» Scherzò con insolenza.
«In realtà sei tu che hai dato inizio a tutto questo.»
«Ma tu hai proseguito.»
Scocciata e punta sulla verità, alzai gli occhi al cielo.
«Quindi, qual è il ma?» Incise, afferrando inaspettatamente il mio intimo desiderio. Il suo non battere ciglio sulla questione mi destabilizzò, cogliendo la mia debolezza. «Ricorda c'è sempre un ma vicino a un non è affatto male» aggiunse saccente. Purtroppo mi mise con le spalle al muro, facendomi provare timore. Non avevo mai confidato a nessuno la possibilità di lasciare quel luogo e lui, con poche e semplici parole, lo aveva percepito. Era davvero bravo e scaltro nel governare e catturare a sé i desideri degli altri. Gli donai un punto a favore per fidarmi di lui.
«Hai ragione» presi un respiro «Mi piacerebbe andare via da qui. Anzi, presto voglio andarmene da mio padre» completai con fermezza.
«Ah! E dov’è?» Alterò il tono di voce, sbalordito.
«A Parigi. La sua casa forse sarà anche la mia» confessai con tristezza.
«Come mai non sei sicura?» Inarcò un sopracciglio, cercando di entrare nella mia testa. Nel farlo cercò l'attenzione dei miei occhi, ma non lo accontentai. In quell'istante mi sentivo vulnerabile. Ricordare la distanza dei miei genitori è sempre stato il mio tallone d'Achille.
«È da molto che non torna, ma se non c’è stato modo di tornare indietro è giusto che sia a raggiungerlo. Non ho potuto farlo prima per via della morte di mio zio. Mia zia aveva bisogno di un sostegno ed era da incoscienti lasciarla in quello stato, ma non mi sono mai sentita parte di questa terra» indicai il luogo circostante «e vorrei, per una volta, sentirmi a casa. Per consolarmi parlo il francese in casa, soprattutto se c’è qualcosa che non mi garba, ed è esilarante vedere qualcuno che non sa quello che dici e farlo innervosire. Io la chiamo liberazione e con mia zia ho successo» scoppiai in una risata.
Daniel mi accompagnò. Risentire la sua mi fece piacere. Era molto naturale. Aveva un suono delizioso, profondo, soave e perfino seducente.
«E perché lo fai?»
«Perché non mi piace la tranquillità. Mia zia non mi sopporta per questo, ma è giusto concedersi momenti gioiosi. Tu, per esempio, non hai mai sentito l’esigenza di fare qualcosa controcorrente, liberatoria, che ti faccia stare bene, al di fuori di ciò che pensano gli altri? Una cosa che sia solo tua?»
«A volte, ma non sempre, si può fare ciò che si vuole per il gusto di farlo. Ci sono delle etichette da seguire.»
«Non sempre le regole vanno d'accordo con il caso» alzai gli occhi al cielo scocciata. Anche lui seguiva il sistema.
«Sì, ma non parlo il francese per alterare qualcuno.»
«Conosci il francese?» Chiesi, sorpresa.
«Sì, ho studiato a Parigi per due anni.»
«Bene. Allora sei uno dei pochi. Anzi l'unico. Ritieniti fortunato.»
«Ottimo. Allora consideriamolo un nuovo inizio.»
Restai perplessa per il plurale. Lui al contrario si mostrò convinto. Abbandonammo gli screzi iniziali e rimanemmo in silenzio. Il cinguettio degli uccellini era piacevole e rilassante, ma l'imbarazzo si riaffacciò. Evitai i suoi occhi ipnotici per iniziare a giocare fintamente con le mani, ma vidi Daniel di sottecchi che continuava a osservarmi, in cerca di un nuovo pretesto per prendere parola.
«Posso fare un’osservazione?»
Puntai l'attenzione sul suo viso «Dimmi.»
«Sto cercando di capire, ma lo trovo un po' difficile» si avvicinò di più, per vedere meglio il mio volto. Un'ondata del suo profumo invase le mie narici. Sprovveduta, lo accolsi quieta, respirando in maniera avida. Al suo affiancare avvertii come una calamita, invitandomi inavvertitamente alla sua vicinanza. Una sensazione di fuoco prese a incendiare il mio corpo. Bruciò inesorabile ogni molecola, provocandomi dei desideri sconosciuti. Senza volerlo, concentrai la mia attenzione sulle sue labbra. Non c'era una vera logica, ma trovai il desiderio necessario e attraente. Erano rosee, carnose e mi venne voglia di sfiorarle. Un'idea assurda si annidò nella mente. Arrossii per i pensieri, arrabbiandomi con me stessa e con lui di cedere a delle debolezze. Mi irrigidii, tornando con lo sguardo svogliato ai suoi occhi. Forse erano meno pericolosi di quello che pensassi. A differenza mia, in lui c’era molto autocontrollo. Avrei dovuto imitarlo per non essere sopraffatta. Aver abbassato per un solo istante la guardia mi aveva danneggiata. Intanto lui proseguì.
«In effetti non solo ieri, ma anche adesso.»
«Ma cosa?» Mi stizzii.
«Di che colore sono i tuoi occhi? Cambiano spesso.»
Ascoltando la sciocca natura del suo dilemma, sbuffai una leggera risata. Evaporarono anche le mie strane idee.
«Sì, lo so. Sono strani.»
«Sono rari. I cangianti sono unici per questo. Hanno una personalità speciale» mi corresse, accentuando la sua gentilezza. Avvampai ancora, ma provai a dissimulare il mio disagio.
«Sono solo occhi» feci spallucce, evitando i suoi. Avrei voluto replicare al suo commento e specificare che anche i suoi erano singolari, mi distruggevano, ma continuai con le spiegazioni «Li ho ereditati dalla famiglia di mio padre. Quindi tra mia nonna, lui e me, ne siamo già in tre» abbondai con l'ironia per riprendere il controllo di me stessa. Come previsto Daniel rise della mia spontaneità, ma stemperò presto il divertimento e passò ancora sul personale.
«So che forse potrò sembrare indiscreto e poco educato, ma quanti anni hai?»
«Compio vent'anni a dicembre. Il tredici.»
«Ah, sei un po' piccola rispetto a me» espose il suo giudizio come una lamentela, chiarendo senza problemi il paragone. Mi accigliai.
«Perché, vent'anni sono pochi per parlare con te?»
Daniel esplose in una lecita risata. Era genuina, dal suono spontaneo.
«No. Assolutamente. Solo che tecnicamente ne hai diciannove e mezzo, non venti. Io ne ho venticinque, compiuti lo scorso diciotto aprile, e alla tua età avevo appena cominciato l'università.»
«Tendi a precisare tutto, eh?» Risposi scocciata alla sua puntualizzazione.
«Un po'» abbozzò un sorriso.
«E cosa hai studiato?»
«In realtà studio alla facoltà di Medicina alla Royal College, a Londra. Chirurgia generale, ma sono in prossimità di laurearmi.»
«Perché hai scelto di diventare medico? Non è differente da quello che fa la tua famiglia?» Chiesi incerta, conoscendo la sua provenienza. Dal discorso Daniel sembrò scocciato.
«Ho un'altra vocazione.»
«E cosa ti ha spinto a fare questa scelta?»
Daniel sgranò gli occhi per lo stupore. Mi sorpresi della sua reazione, credendo che, forse, avrei dovuto iniziare a farmi gli affari miei.
«Scusami, troppa invadenza. A volte non me ne rendo conto.»
«No, tranquilla. È una domanda logica, dopotutto, fondata da semplici principi. Ho generato l’iniziativa su motivi privati. Voglio aiutare il prossimo. Tutti possiamo contribuire a fare del bene nel mondo, e in seguito mi sono appassionato.»
Il suo modo di vedere la vita mi ispirò. Era così determinato e pieno di aspettative, da stimolarmi a fare una scelta.
«Hai pienamente ragione sulle tue ambizioni e credo che sia giunto il momento di assecondarle anch’io. Mi hai aiutata a riflettere ed è ora di andarmene da qui. Grazie!» Illuminai il mio sguardo, rendendomi conto che le sue domande invadenti mi avevano agevolata a prendere coraggio. Daniel rimase leggermente sconvolto. Si alzò. «Io non volevo invogliarti a fare delle scelte. È una decisione impulsiva lasciare tutto di soppiatto. Non hai nessuno che ti lega profondamente a livello emotivo? Un uomo, ad esempio?» Chiarì l’ultimo punto arrossendo sensibilmente. Quindi non era così immune come lasciava credere. Nel costatarlo io mio morale si risollevò. Una forza invincibile riemerse dopo esser stata sconfitta. Vittoriosa della mia guerra personale, però, non mi fu ancora chiaro il suo interesse. D'altronde cosa poteva importargli della mia vita privata? Esattamente niente.
«Non mi interessano certe cose, adesso. Non mi sono mai interessate» arricciai il naso, quasi nauseata. «Non credo nella fiducia reciproca e non me ne starò qui ad aspettare un miracolo.»
Daniel sembrò sbalordito. «Quindi sei alquanto complicata per il matrimonio?»
«Dio, no. Per carità. Non è nel mio caso. Trovo che non sia obbligatorio per la vita di una donna» esternai ribrezzo.
«Perciò sarà dura? Nel senso, che se un giorno desideri mutare l'idea, mi chiedo se chi ti vorrà seguire, insomma, sarà dura.»
Lo guardai, cercando di capire dove volesse andare a parare.
«Sinceramente non lo so. Ti ho appena detto che non mi fido di questi approcci e sono molto suscettibile sulla fiducia. L’amore non esiste o se esistesse davvero sarebbe complicato.»
«L’amore va coltivato, non è complicato. Forse hai solo conosciuto persone con vissuti sbagliati, che ti hanno portata ad avere paura, e deduco che il tuo desiderio di evadere sia solo legato al timore di restare» sentenziò, sicuro delle sue affermazioni, ma la sua presunzione non mi garbò.
«Qui ci sono delle persone che voglio molto bene, ma nessuno ha il diritto di eclissare la propria vita solo per provare pena per gli altri. Ognuno deve seguire la sua strada ed è giusto che sia così» mi espressi con durezza pensando a Stephan, ma Daniel mi svegliò dai ricordi.
«Parli ancora dei tuoi genitori?» Si espresse con dolcezza.
«No, di un'altra persona che ha seguito le loro orme. Si chiama Stephan e ormai vive da diversi anni a Londra. È il figlio maggiore dei signori Shaw. Ecco perché non credo nei rapporti a lungo termine. Si finisce per sparire.»
«Quindi ho ragione. Hai paura» rinfacciò.
«Non ho paura» replicai con una smorfia. «Ho solo scelto, da tempo, di avere altri progetti. Finora era solo un desiderio nascosto, ma tu mi hai aiutata a riflettere.»
«E ti fidi della mia parola?» Daniel mi intrappolò.
«Perché hai motivo di prendermi in giro?» Dileguai la sua fierezza.
«No, certo che no, ma sono un estraneo.»
«Ieri hai detto che non volevi sentirti un estraneo. Ho preso la cosa in considerazione. Sei contraddittorio, adesso.»
«Non sono contraddittorio. Mi fa molto piacere se è così, prendi in considerazioni la parola di chiunque?»
«Certo che no. È ovvio che ci sono determinati atteggiamenti che permettono di poter pensare di essere persone affidabili.»
«Ah, davvero? E che atteggiamento avrei assunto?» I suoi occhi si fecero più vivaci e soddisfatti. La sua domanda mi fece arrossire visibilmente. Finsi di fare la disinvolta.
«Normali. Atteggiamenti normali. Perché ti risulta di aver usato altri tipi di atteggiamenti?» L'imbarazzato divenne lui. Deviò i suoi occhi dai miei.
«No, certo che no, ma per quanto tu possa avere delle ragioni giustificabili, ti suggerisco di riflettere ancora per un po'. Dovresti dare del tempo a tua zia e qualche altro mese non ti cambierà la vita. Ho più esperienza di te per darti un buon consiglio» disse come se fosse un saggio che sapeva tutto sulla vita. Ma che spaccone!
«Ricordati che hai solo cinque anni di maturità rispetto a me, gran maestro di vita» lo dileggiai. «E questo non ti rende più responsabile a dare giudizi.»
Daniel sghignazzò. «In realtà sono cinque e mezzo, non cinque, e posso non essere un maestro, ma sensato e meno impulsivo di te, sì. Potrei essere responsabile della tua sorte, considerando che sia stato io a darti l'impulso, quindi mi interesso solo di non essere colpevole nei tuoi confronti.»
«Tu sì che prendi la vita con ottimismo, eh?» Lo canzonai con confidenza.
«Sono molto realista.» fece spallucce e sospirò. «Forse siamo andati oltre a una semplice chiacchierata, arrivando a parlare di cose private fin da subito.»
«Sì, hai ragione, ma hai iniziato tu a farmi domande incisive.»
«Ma tu mi hai dato risposte poco convenzionali, perciò è lecita la curiosità.»
«Si dice che sì può morire di curiosità. Forse è meglio salvaguardarsi prima di arrivare al limite.»
Daniel mi osservò perplesso, pronto a chiedere cosa volessi dire, ma a mettere fine al nostro dialogo ci pensò lo scoccare della campana delle dieci. Mi accorsi di essere tremendamente in ritardo e, prendendo il libro dalla panchina, sfiorai la sua mano. Fu una bellissima sensazione toccare nuovamente la sua pelle. Il cuore, già accelerato, andò in defibrillazione. Provai il desiderio di farlo ancora, ma mi astenni. Alzai lo sguardo per incrociare i suoi occhi e dalla sua espressione individuai di aver avuto la sua stessa idea. Mi porse il libro e lambì nuovamente la mia mano di sua volontà, esaudendo la mia silenziosa richiesta. Gli sorrisi e mi alzai dalla panchina.
«Buona giornata» gli passai davanti per avviarmi.
«Buona giornata anche a te» mi augurò sistemandosi il cappello in testa. Iniziai a incamminarmi sul vialetto, quando mi girai nuovamente verso di lui. Un magnetismo inspiegabile mi spinse a farlo, notando che era già attento, mentre guardava nella mia direzione.
«Daniel?» Lo chiamai senza timore, pronunciando per la prima volta il suo nome ad alta voce.
«Dimmi, Isabel?» Emise il mio con molta enfasi.
«Puoi chiamarmi anche Is. In ogni caso quando vuoi e ti fa piacere, ti aspetto al caffè in piazza» lo invitai.
Daniel ringraziò. Detto ciò, lo salutai con una mano e proseguii per uscire dal parco. Nel farlo, a breve distanza dalla nostra panchina, vidi i vecchietti che si intrattenevano ogni mattina. Erano il signor Lewis, il signor Russell e il signor Brown. Mentre passai davanti a loro, notando la vicinanza di Daniel, chiesero di più.
«Isabel, buongiorno. Anche a te, giovanotto» si pronunciò il signor Lewis, il più sfacciato, appena Daniel mi raggiunse.
«Buongiorno» ricambiò Daniel cordialmente verso tutti e tre. Stavamo per continuare a camminare, quando mi bloccarono con altre domande. Si soffermò anche Daniel.
«Allora, Isabel, questa mattina siamo in compagnia?»
Arrossendo per la presenza di Daniel, gli risposi.
«I vostri occhiali fanno miracoli» sorrisi alla mia battuta.
«Da quanto vi conoscete?» Chiese il signor Russell ignorandomi e rivolgendosi a entrambi. Anche Daniel sembrò a disagio. Per uscire dall'intoppo fermai ogni forma di curiosità.
«Si dice che per campare a lungo bisogna farsi gli affari propri, signori, e non credo che sia il caso di esagerare con la vostra età» conclusi con loro per poi rivolgermi a Daniel. «Visto? I piccoli paesi sono terribili.»
Lui ingrandì gli occhi, incredulo, e dandomi consiglio di tacere. Intanto il signor Lewis, arrabbiato, si alzò dalla panchina per rimproverami. Gli altri compagni, invece, risero. Lanciai uno sguardo a Daniel e lo incitai a uscire in fretta. Il signor Lewis, con il suo passo e il suo bastone, avrebbe impiegato del tempo perché zoppo. Camminammo veloci, quasi correndo, e giungere fuori dal parco. Dopo aver spiato che il signor Lewis fosse tornato al suo posto, scoppiammo a ridere.
«Non c’è motivo di offenderli.»
«È il minimo. Vedrai che per un po' quei ficcanaso staranno a posto loro, ma adesso devo proprio scappare» stemperai la spiritosità, abbandonandola definitivamente. «A presto, Daniel.»
«A presto, Is.»
Mi allontanai da lui e presi la strada di casa. Per uno strano motivo mi sentivo felice e ci rimasi per tutta la giornata. In serata Daniel mantenne la promessa. Il dettaglio senza un motivo preciso mi rincuorò. Insieme quel giorno eravamo diventati amici.
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LOVE
RandomIn un villaggio sulle coste del Dorset, Isabel, un'irruente ragazza di origine francesi, ha ambizioni differenti a qualsiasi altra giovane donna della fine anni '30. Spaventata dal matrimonio e dagli obblighi che la società impone, ambisce l'ardita...