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Passavano i giorni e tutto stava diventando quotidiano. Daniel iniziò a essere sempre presente per tutti e almeno una volta al giorno passava dall'emporio per salutare, accompagnato un paio di volte anche da suo zio. Era sbalorditivo vedere Lord Charles Lloyd tra la gente comune, con la sua aria sofisticata e superba, ma cordiale. Anche zia Daisy ci trovò del buono. Soprattutto per i guadagni, mentre io non comprendevo la natura di Daniel e del suo bisogno costante di incontrarci. Notai, con i giorni, che voleva attirare sempre più la mia attenzione, di voler essere spesso più complice e spontaneo nel confidarsi, come se cercasse di conquistarmi. A lui non bastò vederci solo all'Emporio. Ogni mattina, quando uscivo, lui mi raggiungeva. Non si trattava più di un semplice caso,. Raramente mancava e, quando succedeva, iniziavo ad avvertire un nuovo bisogno: quello di stare con lui. Non avevo mai avuto la necessità di avere qualcuno al mio fianco, ma di lui sembravo non poterne a fare a meno. Era diventata una bella amicizia la nostra, sembrava che ci conoscessimo da tempo. Bastava un solo sguardo per capirci, una sola frase per completare un pensiero ed era il primo che mi ascoltasse e comprendesse senza giudicare. Parlavamo di tutto. Era molto loquace, possedeva un buon umorismo ed era esperto su ogni argomento. Non c'erano limiti sui discorsi e non tralasciavamo di esporre i nostri pareri differenti, soprattutto quando accennavo di voler partire per Parigi e recepivo profonde ostilità  da parte sua. Daniel era di natura molto tollerante, difficile che si innervosisse per nulla, ma quando accadeva sfogava la sua frustrazione con il fumo e si mordeva costantemente il labbro inferiore. Molte volte, anche se tentava di nasconderlo, notavo il rossore provocato dalla pressione dei denti sulla pelle, creando un leggero gonfiore. Spesso non comprendevo il principio del suo malumore, che portava di  conseguenza un comportamento avverso nei miei confronti. Per uno strano caso il suo stato irrequieto sfiorava la mia sensibilità e, per la prima volta, dopo molti anni, iniziai a interessarmi del parere di qualcuno. Non avevo mai dato troppo peso alla gente e ai loro giudizi sulla mia persona, ma con Daniel era diverso: dava ottimi consigli. Stavo imparando a fidarmi di lui, ma nella reciprocità si iniziarono a generare situazioni ambigue, diverse dal solito standard che contemplassi come amicizia. Persisteva, tra di noi, quella dannata timidezza, nel momento in cui, volgendo la mia attenzione su di sé, lui era già fermo ad ammirarmi. Lo faceva opportunamente, senza aspettare il caso, scaturendo in me delle reazioni inspiegabili. Ero certa di non essere l'unica a subirne gli effetti. Anche lui veniva percosso  da questa burrascosa tempesta emotiva, che  spesso diventava priva di uno spiraglio di luce all’orizzonte. A ogni incontro qualcosa ci induceva a lottare, in segreto, una guerra ignota e senza regole l’uno contro l’altro, e l'arte di esser il migliore a disarmava per primo l'altro. Stava diventando un affascinante gioco pericoloso ma letale, ferendoci con approcci inaspettati, divampando in incendi indomabili su i nostri sentimenti.
Ormai, con pregi e difetti, avevo aggiunto un pezzo in più nella mia vita, che diventarono  un'esigenza. Era una situazione nuova  e a volte mi spaventava, poiché ero ignara di come poteva evolversi, ma nonostante questo lui, con uno solo sguardo, mi legava a sé e io glielo permettevo. 
Un giorno, in una delle mie mattine, ormai diventate tutte per noi, ero stesa a pancia in giù sotto il salice piangente per ripararmi dal sole, concentrata nella lettura. Avevo da poco iniziato un nuovo libro: "L'ultimo giorno di un condannato, di Victor Hugo", e Daniel, arrivando puntuale, mi chiese gentilmente di sedersi accanto. Portava tra le mani un vassoio del caffè di David, che poggiò con cautela. C'erano due brioche e una rosa rossa adagiata vicino. Mi sedetti composta, stupendomi del dettaglio e apprezzando il gesto di galanteria. Cuor di poeta era davvero molto tenero.
«Questa mattina come abbiamo i pensieri?» si pronunciò, come se tutto per lui fosse neutro. Lo guardai scettica.
«Come?»
Daniel, avvicinandosi al mio viso, scrutò  i miei occhi. Era ormai un suo rituale.
«Devo capire che pensieri hai. Intendo dire, in quanto ai tuoi occhi» si espose diretto per poi giustificarsi, notando la mia espressione dubbiosa.
«Che fai, mi studi?» Aggrottai la fronte.
«Sei interessante» si espose lecito, per poi rendersi conto di aver sorpassato la linea di estrema confidenza.
«Non fraintendermi. Non è una cosa negativa. È solo per capirti» si spiegò.
«Non mi faccio capire abbastanza quando parlo?»
«Certo, ma non sempre esponi i tuoi pensieri. Alcuni li devo interpretare.»
«Wow. Stai diventando un lettore di anime?» Lo dileggiai con insolenza. Lui rise.
«No.»
«E allora, quello che hai detto?»
«Mi sto concentrando sulla tua.»
«Perché, credi che abbia qualche problema?»
«No. Assolutamente.»
«E allora, perché?» Ribadii con tono pressante. Lo avevo messo alle strette, e contrariato, confessò. «Perché mi piace quello che pensi» distolse presto gli occhi, facendo finta di aggiustare i lacci delle scarpe.
«Anche a me piace quello pensi. Hai una bella mente» lo rassicurai.
Daniel, al mio commento, alzò lo sguardo e mi sorrise teneramente. Evitò il disagio e deviò l'attenzione su altro.
«Finalmente hai finito quel libro orribile» mi canzonò.
Stetti al suo gioco. «Correggo quello che ho appena detto. Non sempre mi piacciono i tuoi pensieri. Sei un criticone.»
«Faccio finta di non aver  sentito» ridacchiò e si spinse a vedere in cosa mi stessi cimentando. Si espose quasi su di me, raccogliendo il libro dell’erba, e sfogliarne alcune pagine. Io lo osservai, cominciando a pormi domande innaturali su di lui e sulla sua intrusione.
«Ti piace?» Lo sollevò a mezz'aria con un'espressione dubbiosa, svegliandomi dai miei pensieri.
«Non l'ho mai letto prima. Era di mio padre. È in francese.»
«Sì» puntò gli occhi nuovamente sul libro leggendo qualche riga. «Com'è?»
«Beh, dipende da come la prendi. È un po' macabro, ma mi piace. Sai, l'ho quasi terminato» glielo indicai con gli occhi.
Si sorprese.
«Di già?» Rimase scettico. «Lo conosco vagamente, ma non so che ci sia da piacerti.»
«Quello che arriva a pensare la mente di fronte alla morte. Anche se si ammette di non aver paura, alla fine tutti cedono. Anche i più temerari» smisi di parlare. «Non credo che sia facile.»
Daniel aspettò nel darmi un suo parere.
«No. Non credo, ma le tue preferenze mi inquietano un po'» sbuffò una risata, voleva spezzare il clima tenebroso che si era creato.
«E quindi?» Chiesi seccata. Cosa poteva importargli?
«Era per dire» alzò le spalle per difendersi. «Insomma, non è una lettura normale e poi descrive Parigi più tetra e pericolosa. Soprattutto per la sua repulsione che dimostra di avere, appoggiando i principi del razzismo sugli ebrei. È un clima non promettente e molto pericoloso per chi crede di avere grandi speranze.»
Mi sorprese il tema che aveva intrapreso, ma non mi trovò impreparata.
«Lo so bene cosa sta succedendo. Leggo i giornali e ascolto la radio, ma non faccio parte di leggi antisemite. E poi anche Londra con Mosley, per esempio, non è da meno. Il suo partito fascista appoggia il regime nazista.»
«Ma è abbastanza ostacolato dal Governo inglese, al cospetto dei francesi che appoggiano quell’infimo partito tedesco.»
Il discorso stava degenerando. Eravamo passati dalla mia scelta privata a quella dei sostenitori della Germania. Era incredibile.
«Daniel, non corro rischi.»
«I rischi ci sono a priori. Non sottovalutare la cosa.» si innervosì alla mia leggerezza
«Perché la prendi con pessimismo?»
Daniel esitò nel darmi una risposta. Sconfitto, alzò le spalle.
«Per me non ha nulla a che vedere con quello che ti aspetti.»
Mi accigliai per la sua polemica. «Che cos'è questa cosa che hai detto?»
«Un mio parere e lo credo anche in maniera convinta. Non sono d’accordo sulla tua scelta di voler andare via e appoggerei tua zia. Conoscendola, immagino già la sua reazione.»
«Come?» Chinai la testa di lato. Alcune ciocche di capelli mi caddero in avanti. Daniel prontamente me li mise dietro l'orecchio. Con fretta riportò la mano per terra, tra i fili d'erba. Fu un gesto automatico e non si rese conto della gravità. Entrambi rimanemmo a fissarci. Mi mancò il respiro. Forse anche in lui si manifestarono sintomi legati all'atto ma, abolendo ogni idea maliziosa, tornò sul discorso d'inizio.
«Concorderò con lei se te lo negasse.»
«E chi sei tu?» Porsi la domanda in maniera strafottente.
Daniel non la prese bene. Divenne permaloso. Abbassò lo sguardo per poi rivolgerlo davanti a sé. «Un amico.»
«E da quando gli amici vogliono far cambiare idea? Solitamente si sostengono.»
«Tu ne sei ancora convinta?» Deviò. In realtà, grazie a  lui, mi stavo distogliendo sempre di più dal mio obbiettivo, ma presto o tardi mi sarei svegliata. Lui sarebbe partito per Londra e io avrei proseguito con la mia vita.
«Non voglio più parlare di questo» decretai. Daniel annuì controvoglia e, lasciando i dissapori, mi propose di mangiare. «Cosa preferisci? Cioccolato o crema?»
«In verità non amo le brioche» sminuii la tensione, prendendomi gioco di lui. Daniel ci rimase male e, certa che fosse cascato nello scherzo, scoppiai a ridergli in faccia. «Stavo scherzando. Preferisco quella alla crema. Vedo che sei anche credulone, Dani» lo chiamai spontaneamente in quel modo. Daniel si meravigliò e, anche se apprezzò la mia involontaria imprudenza, si astenne di chiedere altro. Mangiammo in pace parlando tra un boccone e l'altro. Lui dimostrò di avere più bon ton e, dopo aver ingoiato l'ultimo morso, tagliai la quiete.
«Ti svegli sempre presto la mattina?» Volevo delle spiegazioni. Me lo ritrovavo molto spesso.
Lui non mi guardò. Si stese sull'erba con le braccia dietro alla testa e guardò  i movimenti fluidi del salice muoversi al vento, temporeggiando una risposta. «Sì, è una mia abitudine, e poi questo posto mi ispira moltissimo.»
«Noto che ci incontriamo con frequenza» cercai la sua attenzione che mancò.
«Questo è il posto» era la sua tipica risposta logica e banale.
«Sì. Giusto» voltai lo sguardo verso il lago. Dei cigni aprirono le ali, sfiorando con le piume la superficie lineare del lago. Era un tocco delicato, l'acqua si muoveva  creando cerchi. Daniel, intanto, incerto e insoddisfatto della mia risposta, osò chiedere altro. Assunse un'aria seria, come se si trovasse  sulle spine. Si sollevò, rimettendosi seduto. «Non ti fa piacere vederci?»
Cosa potevo rispondergli? La sua presenza mi faceva più che piacere. Cominciavo ad amare il tempo passato con lui.
«Sì. Certo che sì. Era solo una domanda.»
Daniel lesse nei miei occhi la verità. Mi sorrise e si rimise presto nella posizione precedente. Lo lasciai in pace per qualche secondo quando, volendo altre spiegazioni sui suoi comportamenti, mi misi sulle ginocchia, prendendo la rosa.  «E questa invece?» 
Daniel, sbirciando, si perse nel darmi una risposta. Non era da lui, abituato ad avere una spiegazione per tutto, ma all'improvviso i suoi occhi si illuminarono.
«L'ho presa qui nel parco prima di incontrarti. Mi piaceva e l’ho colta» disse, in modo frettoloso. Chiuse gli occhi, fingendo di respirare beatitudine. Lo punzecchiai ancora fino a costringerlo a guardarmi.
«Sei anche un giardiniere?» Mi porsi su di lui per mostrargli la rosa. Mi sentivo entusiasta di aver vinto momentaneamente la nostra guerra, ma intercettando il mio stato, Daniel si alzò da terrà. Si mise seduto poggiando il gomito sul suo ginocchio. Mi prese la rosa dalle mani e iniziò a guardarmi in maniera appetibile.
«Posso fare una cosa?» Si pronunciò.
«Cosa?» Sussurrai a stento.
«Dimmi solo sì.»
Andai in confusione e annuii. Avvertii il cuore bussarmi dal petto e lo stomaco proliferare di farfalle. Daniel, con movimenti precisi e sicuri, spostò alcuni ciuffi di capelli che, con delicatezza e cura, sistemò dietro l'orecchio, adagiando in seguito la rosa. Avvertii altri tamburi energici dal petto. Le sue mani erano molto vicine al mio viso. Soddisfatto della sua riuscita elevò un sorriso smagliante, dandomi un'occhiata.
Altro che vinto... La mia espressione fiera andò a farsi un giro con la disfatta.
«Ero certo che ti avrebbe donato.» Dovevo sbrigarmi a reagire, ma non ci riuscii. Cercai  di riprendermi dallo  shock di risvegliare la mia mente annebbiata dalla sua presenza, quando il caso mi aiutò. Fece cadere la rosa dai miei capelli. Distaccai lo sguardo da lui, la raccolsi da terra e, sprovvista di risposte, mi alzai in fretta. «Devo tornare a lavoro. Ci vediamo presto» raccolsi dall'erba le mie cose.
Lui si alzò con me. «Questa sera?» Chiese, quasi con speranza.
«Sì, se per te va bene.»
Ci avviammo insieme verso l'uscita del parco, per poi dividerci. Nel tragitto verso casa non feci altro che pensarlo. Ormai si era insinuato in me, diventando un chiodo fisso. Le sue parole, i suoi gesti, i suoi tocchi e le mie reazioni. Volevo sparire dalla vergogna per quello che avvertivo. Per smaterializzarlo dalla mente molto spesso annusavo il fiore che mi aveva donato. Non mi ero mai resa conto di quanto fosse bella una semplice rosa e, giunta a casa, la nascosi nella tasca del vestito da occhi estranei. Era solo mia.

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