Nel tragitto avvertii una situazione differente. Mai capitata. Mi sentivo osservata. Mi giravo spesso e una volta giunta a casa ci entrai frettolosamente. Dopo un bel respiro salutai zia Daisy e, dandole un resoconto della serata, andai a dormire.
Il giorno seguente mi svegliai presto. Finita la colazione mia zia mi raccomandò di scrivere una lettera di responso alla sorella di mio zio. Viveva a Dresda, in Germania e nel dettare per filo e per segno ogni parola, mi fece concludere di salutare calorosamente anche la famiglia Helberg. Nutrivamo un grande affetto per loro, dopo aver trascorso diverso tempo insieme anni prima. Ormai era diventata una consuetudine aggiornarci sulle nostre vite.
Uscii da casa in bici per spedire la missiva e, dopo averlo fatto, scelsi di rilassarmi, deviando su una rotta differente da quella abitudinaria. Era una giornata così bella e assolata che mi venne voglia di andare al mare, niente era paragonato al rumore rilassante delle onde, all'odore della salsedine e al vento che scompiglia i capelli.
Pedalai a velocità sostenuta per circa due chilometri e mi fermai all'inizio della bianca costiera. Tolsi un velo di sudore dalla fronte e appoggiai malamente la bici sul terreno d'erba secca. Scesi con cautela il selciato sconnesso ed entrai in spiaggia. Appena misi piede sulla morbida distesa dorata, il calore sottostante generò nel mio corpo una sensazione di rasserenamento. Camminai per ripararmi dal fitto sole e proteggermi all'interno dell'incavatura minuta dentro la ruvida scogliera. Era appartata, segreta e da sempre la consideravo mia. Un paradiso tranquillo, senza la possibilità che nessuno venisse a disturbarmi. Mi accomodai a terra e sotterrai i piedi tra i granelli, provando una sensazione terapeutica. Rimasi lì per diverso tempo, ma come al solito, verso le dieci, sarei dovuta tornare all'Emporio per aiutare mia zia. Mi accertai di essermi pulita per bene dalla sabbia, per evitare di avere una ramanzina e, risalendo il selciato, ripresi la bici e cominciai a pedalare. Percorsi pochi metri, quando un fallo di giro di pedali fece saltare la catena dal movimento. Notando il rumore piantai i piedi a terra e, scendendo dal sellino, mi accostai al selciato per ripararmi dalla circolazione delle auto. Adagiai la bici a terra, ed esaminando la gravità, mi accovacciai per sistemare l'intoppo. Sapevo riparare la catena . Non ero molto pratica, perché solitamente delegavo il compito a Robert o a Thommy per non essere chiamata maschiaccio, ma ero autonoma e in grado di farlo. Certa che mi sarei sporcata, sprovvista di elastici, alzai i capelli formando un malfatto chignon fermandolo con due misere forcine. Consapevole anche della possibilità di ungermi di grasso, rimpiansi di aver indossato una gonna rosa pastello. L'avevo abbinata a una camicetta celeste chiaro, ma in quel momento consideravo la scelta il peggior errore della mia vita. Scocciata del pensiero, mi misi all'opera. Sollevai la catena da terra e con calma, muovendo con la mano un pedale, la rimisi dentro l'ingranaggio. Era facile, ma alcune volte si inceppava o scivolava per poi ricominciare, come in questo caso. Iniziai ad alterarmi, provando nervosismo, era complicato più di quanto ricordassi. Nel concentrarmi, sudai. Faceva caldo, il sole picchiava in testa e lo sforzo contribuiva a perdere acqua dal corpo. Stanca, lasciai la catena e d'istinto usai le mani come ventaglio. Nel farlo mi accorsi che erano tutte nere di grasso e con esse anche i miei vestiti. Dall'irritazione mi venne voglia di romperla ma, mantenendo una calma inaudita, riprovai a maneggiare la catena e la cosa sembrò procedere. Nel frattempo, alle mie spalle, alcune auto percorsero la strada a velocità più sostenuta. Era una provinciale e speravo che non sbandassero per sbaglio nella mia direzione. Per timore che potesse succedere, a ogni auto nelle mie vicinanze mi misi sull'attenti per prevenire il peggio.
Ero giunta a un buon punto del lavoro, quando udii un auto accostarsi. Mi raddrizzai, credendo fosse un malintenzionato, ma quando vidi scendere un viso familiare scacciai via la tensione. Era: i miei Ossequi.
Nonostante non lo conoscessi, ipotizzai fosse un tipo tranquillo, ma soprattutto riconducibile. Chiuse la portiera e, togliendo gli occhiali da sole, li adagiò nell'abbottonatura della camicia. Si accinse presto a raggiungermi, ma il suo profumo lo precedette. Se ne metteva sempre davvero tanto.
«Buongiorno. Le serve una mano?» Si pronunciò.
«Salve. No, grazie. Ho fatto» indicai la catena con gli occhi. In realtà ne avevo un altro po' da rimontare. Lui si avvicinò più del dovuto e, senza badare al mio parere, si abbassò per guardarla. Mi preoccupai per l'incolumità linda e pinta del suo vestiario. Indossava un pantalone beige, e non volevo essere responsabile dei suoi abiti come lo ero stata dei miei.
«Posso?» Chiese, prima di prendere la catena. Nel farlo mi diede un'occhiata, sicuramente perché ero sporca. Sorrise lievemente e poi smise subito. Forse per non offendermi. Nello stesso istante, però, m’incantai a osservare i suoi occhi. Erano grandi, a mandorla e profondamente scuri da perdersi dentro. Ridestai dal mio stato abbacinato e dalle mie assurdità con una scrollata di testa.
«No. Ho quasi concluso.»
«Io credo che le serva una mano»
insistette.
«So montare una catena» ribeccai, acida.
«Non discuto, anche se solitamente non è una cosa da donne.»
Odiavo gli stereotipi sul genere femminile.
«Anche ficcanasare non è una cosa da uomini. Quindi non credo che sia una cosa impossibile. Ci riesce benissimo» feci un finto sorriso. Sapevo di esser stata poco educata e speravo che lo incentivasse ad andare via ma, al contrario delle mie aspettative, lui assorbì il rimprovero e, dopo avermi lanciato un'occhiataccia, non se ne andò.
«Allora, ciò significa che dovremo abolire questi miti. Non è mia intenzione sminuirla, ma agevolarle il ritorno più in fretta.»
Sorpresa di non avermi mandata a quel paese, non demorsi.
«Ognuno ha i suoi tempi. È solo questione di pratica.»
«Certo. Le voglio dare solo una mano. Allora, posso?» chiese ancora, attendendo gentile, con una mano sospesa nel sottrarre la catena dalle mie mani e poterla maneggiare. Le sue parole purtroppo erano più che vere. Sarei tornata a casa prima. Finsi di essere indignata e in disaccordo per il suo intervento, e accettando malvolentieri, gli cedetti la catena senza toccargli la mano. Mi scansai, spostando il corpo con le ginocchia che, ormai, a contatto con il terriccio e l'erba, si erano indolenzite contro il . Le avvertii bruciare. Lui invece si accovacciò e sistemò la catena velocemente. Lo fece sporcandosi appena le mani, senza troppa fatica. La terminò e si alzò da terra. Stavo per alzarmi anch'io, quando lui mi offrì il suo aiuto. Feci finta di non aver visto la sua mano e mi alzai da sola, mentre lui l'abbassò rapidamente.
«Bene. Prima del previsto» riprese a parlare, tentando di pulirsi le mani. Se le allontanò, per rimanere più distanti dai suoi vestiti.
«Sì. Grazie» gli rubai un'occhiata riconoscente.
«Si figuri» rispose, mentre si avvicinava alla sua macchina. Aprì il portabagagli per prendere uno strofinaccio bianco. Si pulì alla meglio togliendo il grosso e, avvicinandosi a me, mi offrì di fare lo stesso. Gradii la sua disponibilità senza replicare. Mi pulii e glielo restituii, ma, nell’attendere che completassi, notai in lui un'aria di dubbio. Incerto se pronunciarsi, poi alle fine si espose prendendo coraggio.
«Come mai si trova qui? È lontano dal centro.»
«Una pedalata» gli indicai il posto circondato dalla natura. Fece cenno con la testa di aver compreso e si guardò attorno. Si creò un’aria imbarazzante, da voler congedare con quel dialogo. Presi la bici da terra e mi misi sopra per provare a vuoto i pedali, ma prima di salutarlo lui si pronunciò ancora.
«Posso sapere il suo nome, signorina?»
Lo guardai meravigliata sia per la sua intrepidezza che dal suo propenso intessere, ma decisi di giocare con la sua curiosità e vedere fino a che punto si sarebbe spinto.
«Credevo che già l’avesse imparato. Non è la prima volta che ci incontriamo.»
Fece un sorriso sghembo per il raggiro, ma non si arrese.
«Preferisco che sia la fonte a rivelare i dettagli, non le dicerie.»
«Quindi conferma che lo conosce.» lo condussi alla conclusione.
«Sì, ho avuto modo di udirlo e l’ho notata in diverse occasioni, ma non può darmi torto che in questo posto sia davvero facile rivedersi.» spiegò con aria saccente. La sua logica era molto prevenuta, mi resi conto di non star parlando con uno stupido. Era molto intelligente. Orgogliosa di aver attirato la sua attenzione, lo provocai.
«Solo che non gli è bastato il caso a farmi notare da lei, suppongo?»
Colto con le mani nel sacco si morse il labbro inferiore, ma recuperando terreno accettò la sfida.
«Le hanno mai detto che alcune menti si evidenziano attirando l'attenzione?»
«Si ricordi, però, che l’osservatore ha sempre avuto interesse di notarle, signore» terminai con un alzata di sopracciglia per indicare la mia ovvietà. Ero in attesa di una risposta, ma il suono della campana della chiesa mi ricordò di rientrare. Guardai verso il villaggio rendendomi conto di essere già in ritardo. «Adesso devo andare. La ringrazio per il suo intervento» misi i piedi sui pedali per avviarmi, quando lui mi fermò ancora con la sua voce.
«E lei non vuole sapere il mio nome?»
«Sono sicura che me lo dirà la prossima volta che ci incontreremo. Come ha detto: in questo posto è facile rivedersi. Le auguro una buona giornata» gli sorrisi in modo sornione e lui ricambiò.
«Buona giornata, signorina.»
Presi a pedalare per immettermi sulla strada e lui salì in auto. Mise in moto con una velocità minima e mi sorpassò. Dopo aver esposto una mano fuori dal finestrino, mi salutò e aumentò la velocità per proseguire. Alzai anch'io la mano e poi la rimasi velocemente sul per non cadere. Incalzai la pedalata, arrivando in pochi minuti davanti a casa mia. Entrai nell'Emporio con mia zia già pronta a volere spiegazioni. C'era la signora Diana, ma non si curò della sua presenza. Avevamo confidenza.
«Finalmente, signorina. Ti stavo aspettando» prese argine, quando sbarrando gli occhi, si arrabbiò di più. «Cosa ti è successo? Ma quello è grasso di bici?»
«Sì. Se n'è venuta la catena e l'ho riparata» evitai di dire che mi era stato offerto un aiuto. Mi avrebbe chiesto il resto.
«Adesso è aggiustata?»
«Sì. Perché non lo vedi?» Mi indicai ovvia i vestiti.
«Certo che lo vedo e penso che dovrai buttare la tua gonna. Non so se andrà via il grasso.»
«Forse dovresti provare con dell'olio caldo o dello smacchiatore» propose a suo favore Diana.
«Non lo so, è difficile» zia Daisy concluse con lei incerta e rivolge la sua attenzione ancora su di me. «Non potevi portarla a piedi e farla riparare in seguito da Robert o Thomas?»
«No. Lo so fare.»
«Certo, al costo di sporcarti. Sei peggio di un maschiaccio. Adesso vai in casa a ripulirti» mi rimproverò.
La risposi a tono. «Tranquilla, era già nelle mie probabilità.»
«Isabel, non rispondermi dietro.»
«Okay.»
«Isabel?»
«Okay!» Cantilenai, esasperata.
«Devi tacere e fare silenzio!» Si infuriò. Non le risposi. Aprii la porta e obbedii contro voglia. La chiusi alle spalle ed entrai in casa. Intanto sentii mia zia e la signora Allen commentare.
«Fai bene, Daisy, a tenerla a bada. A volte sembra irresponsabile. Se non la mantieni ben stretta, ti porterà intoppi come i suoi genitori.»
Rimasi in bilico a indire una risposta. Temevo sempre che anche lei mi allontanasse. Mia zia, però, infastidita dal mio comportamento ma anche dal parere dalla signora Allen, la rispose. Assunse un tono neutro, ma per chi la conosceva a fondo era consapevole di non aver gradito.
«Rispetta le regole. Purtroppo capita a chiunque di fare sciocchezze.»
Nonostante tutto, ero fiera del suo commento. Rassicurata dalle sue parole, mi allontanai dalla porta per andare in bagno. Mi lavai perbene mani, braccia e ginocchia. Le strofinai quasi con dolore per togliere ogni macchia nera. In seguito sfilai la gonna per cercare di riparare al danno e salvarla. Non volevo buttarla. Mi piaceva. Bollii dell'acqua e, prendendo uno smacchiatore, strofinai con energia per farla diventare pulita e stenderla al sole nel piccolo giardino nel retro di casa nostra. Tornai all'Emporio da mia zia ripulita, evidenziando la mia soddisfazione.
«Sono riuscita a pulirla senza problemi. Adesso è ad asciugarsi.»
«Meglio per te. L'avrei buttata.»
«Quanto sei esagerata!»
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LOVE
RandomIn un villaggio sulle coste del Dorset, Isabel, un'irruente ragazza di origine francesi, ha ambizioni differenti a qualsiasi altra giovane donna della fine anni '30. Spaventata dal matrimonio e dagli obblighi che la società impone, ambisce l'ardita...