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Per tutta la serata rimasi assente. Avvertii spesso occhiate dall'altro tavolo per conto di Daniel, ma dopo la delusione non volevo saper nulla di lui. Dopo la cena venimmo accompagnate a casa dal padre di Liam e, con un mutismo mai provato in vita mia, andai a letto. Non trascorsi una notte serena. La testa si riempii di dubbi. Credevo di aver imparato a conoscere Daniel e il fatto che non fosse stato sincero mi tormentava. Perché me lo aveva nascosto? Ma più di tutto, perché me la prendevo così tanto? Purtroppo non avevo risposte, ma una sensazione oscura si impadronì della mia anima. Abbandonai i cattivi pensieri decidendo di dirottare la mente allo svago. Pronta per uscire, presi un oggetto che utilizzavo di rado: la mia fotocamera. Mi piaceva fotografare. Poco tempo prima che morisse mio zio, lo facevo spesso. Era una attività che mi trasmise mio padre, amante dell'arte, ma con mio zio Harry avevo imparato le tecniche per sviluppare le foto. Avevamo una piccola stanza al negozio e lui la sistemò come una camera oscura Misi la fotocamera al collo e, dopo averla caricata con la pellicola, usci di casa, presi la bici, pedalai e mi diressi al parco saltando perfino la colazione. Erano le sei e trenta del mattino e l'aria era piacevole. Il sole non era ancora alto nel cielo. Sostai al lago e, prendendo una bella inquadratura con la panoramica, scattai le prime foto. C'erano dei cigni che erano in un atteggiamento amoroso. Avevano le teste vicine e i loro becchi si toccavano creando quasi un cuore. A rendere la scena straordinaria era lo scintillare dell'acqua. Si evidenziavano strisce di luce che emersero con l'elevarsi del sole, creando sfumature magiche. Erano talmente belli che speravo di immortalarli proprio come riuscivo a imprimerli con i miei occhi. Per cogliere l'effetto naturale tolsi il flash. Mi sentivo davvero ispirata. Nel frattempo, alle mie spalle, le panchine si riempirono. I soliti vecchietti si stabilirono e presero a chiacchierare. Parlavano di me. Anzi, mentre ero concentrata, loro parlavano con me, quasi prendevano in giro.
«Questa mattina abbiamo ispirazioni, Isabel?» Si pronunciò il signor Lewis, ridendo con i suoi compari. Finsi di non aver udito la nota di deriso.
«Certo. Bisogna pur occuparsi di qualcosa.»
«E il giovanotto che è sempre con te. Oggi non è venuto?»
Pensai a Daniel e alla sua presunta fidanzata.
«Non è opportuno ficcanasare nella vita degli altri, signori» tagliai corto.
«Ma che maleducata» il signor Brown si alzò adirato dalla panchina per rimproverarmi, quando il signor Russell lo bloccò, mettendo il suo bastone avanti. Prese la parola e cambiò argomento. «Cos'è questa diavoleria che hai in mano?»
«Una fotocamera. Ruba immagini. Come un dipinto, più o meno, ma realistiche.»
«Ruba immagini? Allora è un ladro?» Si allarmò. Lui era molto antiquato per le nuove tecnologie.
«No. È solo un modo di dire» spiegai.
«Sei come tuo padre, allora? Lui con la pittura e tu con le diavolerie.»
«Si chiama fotocamera» ribadii, scocciata.
«È uno strumento del diavolo.»
«Ma no, ti ferma solo l'immagine» spiegò il signor Brown verso il signor Russell, che rimase in silenzio. Io al contrario mi irritai. Non potevo esprimere la mia arte. Decisi di andarmene e trovare un luogo più calmo. Mi avvicinai alla bici per ignorarli ed essere educata, ma poi ci ripensai. Scelsi di essere cattiva e vendicarmi. Avvicinandomi ai tre anziani, decisi di spaventarli. Mi fermai davanti a loro e, con un finto sorriso, sollevai la fotocamera per mettere in quadro le loro figure e immortalare. Al rumore dello scatto il signor Russell si inquietò.
«Che hai fatto, ragazzina?»
«Vi ho fatto una foto, così ho intrappolato la vostra anima per sempre. Ben vi sta, disturbatori» appena terminai di parlare mi sistemai in fretta la fotocamera al collo e scappai verso la bici. Loro, un po' acciaccati, con i loro bastoni, si alzarono dalla panchina per rincorrermi. Mentre pedalavo  sentii il signor Russell gridarmi contro. «Ridammi l’anima!»
Mi girai, facendo una grossa risata. Pensai di elaborare un piano e tormentarli. Avere pensieri del genere era veramente da persone dispettose, ma quei tre tizi mi avevano istigata. Lasciai il parco e mi diressi verso il  centro del paese e, nell'osservare un nuovo luogo di ispirazione, trovai la via del molo. Andai fino alla balconata che terminava sul mare. Lasciai la bici vicino al balcone e presi respiro. L'odore della salsedine era pungente, accompagnata dai raggi del sole, che ormai si era fatto più alto. Nel mare c'erano dei pescherecci che si allontanavano dal porto inoltrandosi  verso il mare aperto. Decisi di studiare un nuovo punto prospettico. Alla mia sinistra, non molto distante, avevo la fine del paese e l'inizio della bianca scogliera, che si allungava in profondità. Era bellissima, degna di uno scatto. Ripresi la fotocamera tra le mani per maneggiarla meglio, la tolsi da collo e, migliorando la nitidezza, pulii l'obiettivo prima di rimettermi a lavoro. Ritrovai la tranquillità e cominciai a scattare alcune foto. Persi diverso tempo. Mi impegnai tanto, fino a quando non mi sentii soddisfatta e gratificata. Ero così immersa nella mia opera che non mi accorsi che ormai la passerella del molo si era popolata. Decisi di cambiare visuale e voltarmi dall'altra parte della balconata. Nello studiare bene la scena, immortalai le lontane abitazioni di Swanage e la chiesa che si trovava sulla scogliera. Stavo per inquadrare l'obiettivo quando, inavvertitamente, le mie narici assorbirono il mio profumo preferito. Avevo ancora la fotocamera vicino l'occhio, quando mi esposi a salutarlo. «Buongiorno, Daniel.»
«Come hai fatto a vedermi?» Chiese sorpreso.
Non risposi presto. Finii di scattare prima la foto, dopodiché lo guardai. «Il tuo profumo. Si sente» dissi senza pensare, ma presto me ne pentii. Avrei potuto tenere il dettaglio per me.
In effetti lui rimase perplesso. «Non è di tuo gradimento?» Si appoggiò di schiena alla balconata, rivolgendo il corpo  verso di me. Mise una mano in tasca.
«Sì. È buono. Quasi tutti lo sono.»
«E cosa lo rende diverso?» fece un sorriso carismatico.
Evitai di dirgli: la tua pelle, così preferii essere esperta di fragranze.
«Nulla. Si sente il bergamotto, la lavanda e credo, forse...» lasciai la frase in sospeso per avvicinarmi a lui e annusare il profumo. Nel farlo non vidi il gradino del bordo della piattaforma e gli caddi addosso. Per istinto appoggiai una mano sul suo petto. Immediatamente mi tirai indietro, togliendogli le mani di dosso, come se mi fossi scottata.
Lui mi trattenne per le braccia.
«Scusami. Non volevo» mi allontanai con un'alzata di gomiti.
«Non preoccuparti. Non è successo nulla.»
Cercai di non badare all'incidente, e tornai sul discorso principale. «Io credo che ci sia anche del cedro con tratti legnosi. Ha una fragranza fresca e orientale. Mia zia mi ha insegnato a dargli un nome, ma non sono brava come lei. E poi c'è odore di fumo. Hai fumato» tornai presto a guardare la fotocamera e mi accorsi di essere indispettita con lui. Eravamo di nuovo in battaglia, mi trovavo dentro a una trincea. Intanto Daniel, trovando della logica nel mio discorso, mi assecondò con un cenno di testa. Ci fu un solo secondo di quiete, che lui interruppe. «Ho sentito che hai fatto un po' di caos al parco.»
Tolsi gli occhi dalla fotocamera e scoppiai a ridere.  Daniel non capendone il motivo, ma coinvolto dalla mia risata, chiese spiegazioni. «Perché ridi? Li ho trovati sconvolti.»
«È normale. Ho detto di avergli rubato l'anima con lo scatto della foto. Hanno definito la fotocamera uno strumento del diavolo» cambiai tono per renderlo più cupo.
«Strumento del diavolo?» Inarcò un sopracciglio.
«Sì. Che antiquati. Adesso ho intenzioni di ricattarli. È interessante il mio prezzo. Dovevi vedere le loro facce» appena finii di raccontare, Daniel scoppiò in una grossa risata.
«Sì, le ho viste le loro facce. Non erano felici e si sono lamentati con me.»
«E perché con te?» Stemperai la risata, incuriosita.
«Non lo so. Mi hanno chiesto di dirti di essere più indulgente se non vuoi che tua zia lo sappia.»
Sbuffai. «Che glielo dicessero. Non mi interessa. Loro sono poco carini da una vita con me e sono stanca. Ora cerco rispetto.»
«Che prepotente! Scusami se te lo dico, ma sei proprio cattiva.»
«Lo so e lo trovo uno spasso» risi malefica.
Daniel, stranamente divertito, alzò le mani per non emettere altri giudizi. «Come non detto» alzò un angolo della bocca. «Quindi, oggi sei qui per questo?» Si girò verso l'esterno della balconata, poggiando i gomiti sulla ringhiera e indicando con gli occhi la fotocamera.
«Sì. In realtà è un po' per tutto. Mi serviva un posto per fotografare.»
«Da quando ti piace la fotografia?»
«Da sempre. È un sostitutivo alla pittura.»
«Ti piace dipingere?» Si sorprese del dettaglio.
«Sì. Lo facevo spesso con mio padre. Prima che partisse maturammo la passione della foto. Non è la stessa cosa, ma è bella. Anzi, la preferisco. Non ti sporca, sai. L'ho continuata fino a quando è morto mio zio. Lui mi aiutava a sviluppare le foto. Questa me l'ha regalata lui qualche anno fa per il mio compleanno» sollevai di poco la fotocamera per fargliela vedere. Non era di grandi dimensioni come lo erano quelle precedenti. Era una Kodak più maneggevole.
«E poi?» Mi spronò.
«Poi l'ho lasciata» mi espressi quasi con tristezza, pensando a mio zio e al nostro hobby. Mi mancava la sua complicità. Daniel, intanto, mi svegliò dalla mia aria assorta.
«Sì. Capisco» mi osservò, ma poi diede spazio. Guardò davanti a sé e la distesa del mare. Nel frattempo cominciò a tirare del vento. Alcuni capelli mi si spostarono all'indietro e anche quelli di Daniel si scompigliarono un po'.  Gli caddero alcuni ciuffi sugli occhi e quest'ultimi, nonostante fossero scuri, sotto al riflesso del sole evidenziarono un colore miele naturale molto denso, sembrava quasi intento a sciogliersi. La diramazione della venatura chiara si immerse nell'iride, nascondendo la magia solo per poche volte. Mi persi in lui.
«Ho notato, questa mattina, che i tuoi occhi sono più chiari del solito. Sembrano quasi trasparenti» ricominciò, svegliandomi dall'incanto.
«Ah sì? Forse perché sono rilassata. Il mare aiuta» mi appoggiai sulla ringhiera per osservare il mare. Presi una bella boccata d'aria a pieni polmoni, chiudendo gli occhi. Gli riaprii accorgendomi che Daniel non distoglieva la sua attenzione da me.
«Quindi se sei più rilassata i tuoi occhi diventano più chiari?»
«Non lo so, Daniel. Può essere. Io non lo vedo.»
«Ma io sì.»
«Come?» Aggrottai la fronte.
«Intendo dire, noto la differenza. È evidente. Non li ho mai visti così chiari» si giustificò.
«Sai che c'è una gemma che ha la tua stessa particolarità? Cambia dai punti di vista di come l'osservi. Ha diverse sfaccettature.»
«E hai preso la briga di vedere questo dettaglio?» Lo provocai con soddisfazione.
Daniel replicò con aria saccente.
«Lo sapevo già. È una gemma conosciuta come Diasporo.»
«Ah? Buono a sapersi» finsi disinteresse. In realtà apprezzavo che avesse perso del tempo per interessarsi a un mio dettaglio, ma non volevo apparire come una stupida sdolcinata. Non era il caso. «Da quando ti dedichi anche alle gemme? Studi anche loro, sapientone?»
«No. Ricordavo solo che ci c'era qualcosa di simile.»
«Sei anche un gemmologo, adesso?»
«Volevo solo tenerti al corrente» strinse le spalle, quasi imbarazzato. Arrossì lasciando i miei occhi. Sembrava insicuro. Avevo lanciato una granata verso di lui colpendolo in pieno. Fiera del risultato, concedendogli un po' di clemenza, tentai di far scendere il clima battagliero che si era creato tra noi. Gli sorrisi grata, mettendo una buona dose di umorismo.
«Beh, allora grazie per avermi illuminato.»
«Figurati» rispose, nascondendo la sua tensione. Si morse il labbro inferiore in segreto, con aria assorta, ma  dopo un silenzio di pochi secondi, alla fine, sciolse i suoi dubbi. «Chi era quell'uomo che sedeva accanto a te alla cena?»
Mi sorprese il riferimento, ma presto collegai che parlava di Liam.
«Un vecchio conoscente. Un parente del reverendo.»
«Ah. Quindi hai dato fallo ieri sera» mi accusò.
Ma che sfacciato!
«Anche tu.»
Sorrise amaro. «Non l'avevo previsto.»
«Neanche io» troncai l’argomento. Non volevo approfondire di lui e della sua fidanzata. Gli dedicai uno sguardo fugace, trovando un nuovo argomento
«Come mai sei vestito così?» Gli indicai la sua polo bianca ben sistemata nei pantaloni e i bermuda a righe bianche con strisce nere. Teneva un berretto bianco in mano e calzava delle scarpe classiche bianche e nere.
«Perché, cos'ho di strano?» Si guardò.
«Non lo so. Chiedevo... Sembri in coordinato» coprii il mio divertimento con un colpo di tosse per non ingigantire l'offesa.
Daniel finse serietà, ma trattenne un sorriso. «Si dà il caso che sia un abbigliamento da golf. Tra poco ho una partita con amici di famiglia» spiegò con aria boriosa. Sapevo benissimo, ormai, che non erano solo amici di famiglia.
«Bene. Buona fortuna, allora» stavo per congedarmi, quando mi venne in mente un'altra domanda. «E perché sei qui?» indicai con gli occhi il luogo.
«Io... ehm... Sono venuto al porto per parlare con il guardiano e preparare lo yacht, nel pomeriggio staremo fuori» mostrò un'imbarcazione ormeggiata tutta bianca, con vele chiuse bianche, grande e bellissima. Dimenticavo spesso anche la differenza delle nostre classi sociali, con la consapevolezza che non ci saremmo rivisti. Con un’alzata di sopracciglia sottintesi l'ovvietà.
«D’accordo, allora non ti faccio perdere altro tempo» decisi di andarmene, ma Daniel mi fermò mettendo istintivamente la sua mano sul mio polso. «Non ho fretta.»
Rimasi perplessa nel vedere  il suo gesto avventato, che trovai inopportuno. Cosa voleva da me? Perché teneva alla mia presenza se aveva già qualcuna al suo fianco? Forse era giunto il momento di portare avanti i miei obiettivi e alzare un muro tra di noi. Lentamente svincolai dalla sua stretta per stabilire il distacco.
«Al contrario io invece ne ho. In realtà mi ha fatto piacere incontrarti e che sapessi per primo della mia decisione. Voglio andarmene a Parigi,  oggi glielo comunicherò a mia zia.»
Daniel sbiancò. «Perché hai deciso di farlo oggi?» Si accigliò, senza nascondere il suo nervosismo.
«Doveva succedere. Lo sai» il suo tono mi agitò.
«Cosa ti costa aspettare un altro po'? Non le hai dato abbastanza tempo.»
«Non ci sarà mai abbastanza tempo. È normale che non l'accetterà mai e io devo farlo.»
«Non devi, invece. Non hai nessun obbligo. Aspetta solo qualche giorno. Essere precipitosi è un errore.»
«Non sono precipitosa.» replicai, nervosa.
«Non c’è stato nulla che abbia mutato la tua idea fino adesso?» Daniel incise, mettendomi alle strette. I suoi occhi si inchiodarono ai miei e il cuore prese a battere. La sua domanda era la mia risposta. Lui mi aveva cambiata, ma ero anche certa che non l'avrei potuto guardare come volevo. Finsi disinteresse.
«No. Tutto come prima.»
Daniel, visibilmente ferito dal mio commento, si impuntò. «Io non credo.»
«Tu cosa ne sai?»
Rimase a guardarmi negli occhi, tentennando su cosa rispondermi. «Is, per piacere. Aspetta qualche altro giorno. Dam... lle il tempo esatto» si corresse in fretta, ma io lo notai, tanto da farmi rimanere in silenzio. «Ti prego» supplicò. Mise una mano sulla mia, cercando di ammaliarmi come non aveva mai fatto  da quando lo conoscevo. Purtroppo persi la via. Lui mi mandava sempre fuori pista. Improvvisai un sorriso e, con molta leggerezza, lo rassicurai.
«Ti penserò nel pensarci. D'accordo?»
Daniel sembrò tirare un sospiro di sollievo. «D'accordo» annuì serio. Tolse la sua mano dalla mia. Non finì neanche di parlare che mi brontolò lo stomaco e mi ricordai di aver saltato la colazione. Presi la bici  e senza perdere tempo mi sedetti sul sellino. «È ora di andare. Mi sono ricordata di fare una cosa.»
«Cosa?» Si allarmò ancora.
«La colazione» ridacchiai.
Lui, più rilassato, non sembrò però entusiasta della mia scelta di dividerci. Mi abbozzò un fioco sorriso. «Ti accompagno, se vuoi.»
«Oh, no grazie, Daniel. Non devi. Non sia mai che la tua fidanzata sappia di esserti intrattenuto con una minacciatrice di vecchietti» lo punsi con un filo di gelosia. Odiosa gelosia. Daniel, colpito e affondato, non poté svignarsela. Sgranò gli occhi con una smorfia mortificata.
«No, Is, non è come credi. Helen non è la mia fidanzata.»
«Le voci dicono il contrario, ma non devi giustificarti, Daniel. Non con me.»
Lui provò a contraddirmi quando lo anticipai mettendo i piedi sui pedali e cominciando ad avviarmi.
«Buona giornata. Divertiti» gli parlai senza voltarmi. Mi batteva il cuore a mille. Trattenni la mia fotocamera al collo, che ciondolava per la velocità, e scappai via da lui. Non sapevo cosa mi fosse preso, ma restare con Daniel in quel momento mi soffocava. Mi irritava sapere il suo parere e il suo impedire di realizzarmi. Mi serviva spazio, ma lui si stava inserendo nella mia vita senza rendersi conto delle conseguenze. Era inopportuno. Cercai di non pensarci e arrivai al caffè di David per rifocillarmi. Mi concessi un bel tè freddo e un gelato. Non era una colazione classica, ma era l'ideale. Tornai all'Emporio intorno alle nove, circa. Appena fui dentro trovai  gente e, andando nel retrobottega, adagiai la fotocamera con cura su una mensola per mettermi a lavoro. Nelle ore successive i tre vecchietti vennero a fare reclamo a mia zia. Per fortuna non c'era molta gente. Spiegando la dinamica, mia zia trattenne una risata e mi obbligò a provvedere. Garantii a tutti di aver cancellato la foto e che loro avevano ripreso le loro anime. In realtà non potevo farlo senza aver prima sviluppato i negativi. Appena se ne andarono e rimanemmo finalmente sole, zia Daisy scoppiò a ridere in maniera chiassosa, quasi a singhiozzi. Era da molto che non rideva così.

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