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Raggiungemmo quasi dieci minuti dopo l'entrata di Villa Mason, dei Lloyd. L'enorme cancello di ferro battuto grigio scuro, con il grande stemma di famiglia in pietra bianca, si propose a un lungo viale pieno di statue e alberi di cipresso. I caratteri dello stemma appuntavano le iniziali C. S. accerchiato da rose su cui spuntava una corona. Marciammo a velocità d'uomo. In fondo al viale erigeva una grande fontana circolare con putti che gettavano l'acqua a cascata, attorniata da cespugli di rose bianche. C'erano diverse auto affilate. Accodandoci, roteammo attorno alla fontana, giungendo davanti a un’imponente scalinata. Era sovraffollata, ma stabilendo un ordine ben coordinato, alcuni portieri aiutarono le signore a scendere dalle auto e le accompagnarono fino l'interno della struttura, altri invece, facendo scendere i signori, parcheggiarono i mezzi di trasporto.
Mi distrassi per guardare la bellezza del posto e concentrai l'attenzione sull'abitazione. La grande facciata della villa era in stile georgiano, con sfaccettature del barocco inglese, illuminata da numerosi candelabri a piantana. L'effetto era spettacolare e scenico. Scendemmo anche noi, venendo scortati fino all'atrio aperto del palazzo, dove, all'interno, c'era una gran confusione di gente che chiacchierava e beveva champagne dai vassoi proposti dai camerieri, accompagnati dagli aperitivi. Si udiva la musica del pianoforte e del jazz in sottofondo, in sintonia con il canto di una splendida voce maschile. Non tutti però ne stavano prestando attenzione, a causa della frenesia nel salutarsi e dialogare. Diedi un’occhiata attorno riconoscendo molta gente e vedendo altri sconosciuti che invece erano tremendamente ricchi e abbienti. A evidenziarli erano i loro abiti e i modi di fare. Gli uomini erano quasi tutti sofisticamente in smoking, capelli ben pettinati, barbe e baffi ordinati e con orologi e anelli d'oro. C'erano anche alcuni ufficiali della corona in divisa. Le donne, invece, indossavano abiti corti alla caviglia o al ginocchio, ornati con pietre, frange e coralli ed emanavano un bellissimo effetto sinuoso. Erano davvero bellissime. Nel vederle ricordai della mia banale figura e un forte senso di disagio si impadronì di me. Mi sentivo un'arretrata in mezzo a tanta modernità. Accantonai il mio disturbo e cercai di sorvolare. Nessuno di mia conoscenza sembrava notare le differenze. Era solo una serata di svago e tentai anch’io di entrare in quell'ottica.
Aspettammo a lungo, divagando tra la festa. In compagnia di Rosalyn cercammo Robert o qualcun altro di nostra conoscenza. Finalmente, dopo circa un’ora, il cantante accennò al microfono l'ascesa dalle scale centrali  di Lord Lloyd e dell'ereditiere nipote, accompagnato dall'applauso di tutti i presenti. Rivolsi anch'io lo sguardo verso la scala e appena li riconobbi rimasi sconvolta.
I miei Ossequi, gentile e educato fin da subito, era la causa della nostra presenza lì. Mentre scesero le scale, salutarono e sorrisero a chiunque. Lord Lloyd era vestito con un abito blu gessato, con al collo un fazzoletto di raso con fantasie miste tra il nero e il rosa. Suo nipote Daniel, invece, emanava bagliore. La sua carnagione olivastra risplendeva sullo spezzato del suo abito. Indossava una giacca a doppio petto color champagne, separata al netto contrasto del bavero nero; una camicia diplomatica con un sofisticato cravattino e dei pantaloni neri con tagli eleganti. Solo in quel momento mi resi conto del mio inadeguato comportamento in loro presenza, e d'improvviso lo strano sentimento di timidezza mi pervase, facendomi avvampare.
“Che figura di merda!” Esclamai in silenzio a me stessa. Zia Daisy, intanto, euforica, me lo indicò.
«Is, lui è venuto da noi anche ieri pomeriggio È stato tanto cordiale» smielò.
«E quindi? Non è mica il primo?» Dissi, con fretta. Al mio commento acido e privo di vitalità, zia Daisy mi lanciò un’occhiata di ammonimento, per poi notare meglio che il mio viso si era arrossato.
«Cos'hai?» Mi urlò nell'orecchio, pensando di non sentirla per la confusione. Mi portai la mano sul timpano.
«Niente.»
«Meglio così. Cerca di toglierti quel velo di negatività che hai, tesoro. Dobbiamo fare una bella figura. D'accordo? Non mettermi in imbarazzo» il suo avviso era un incitamento a fare un obbligato silenzio. Non poteva immaginare di aver già dato una parte del mio peggio proprio con Daniel. L'idea di essere stata un disastro mi irritava. Non mi piaceva avere delle inferiorità ancor prima di poter intraprendere una conoscenza, soprattutto quando si aveva un'attività aperta al pubblico. Zia scosse la testa, come se volesse mandare via qualcosa, e rivolse di nuovo lo sguardo verso il centro, dove molta gente si avvicinava per conoscere e complimentarsi con i proprietari.
«Aspettiamo che vadano gli altri per prima e ci avvicineremo anche noi per darli il nostro benvenuto» mi disse ancora zia Daisy, per prepararmi. Io, invece, sbiancai. Non volevo andarci.
«No, dai. Vai solo tu. In fondo è te che devono conoscere» sperai di evitare le presentazioni già avvenute in modo particolare.
«Ma tu sei sempre con me all'Emporio. Cosa ti prende?»
Non riposi. Mi vide boccheggiare. Per una serie di eventi e il luogo affollato, mi mancava il respiro. Non sapevo cosa mi stesse succedendo, ma non era gradevole. Ero consapevole di avere delle pecche con loro e speravo che Daniel non ne parlasse nel momento in cui mi avrebbe rivista.
«Non mi sento affatto bene con questa confusione» l'agitazione portò la mia testa a girare con intensità. «Sarà meglio che esca» avvertii zia Daisy, già pronta a scappare dalle sue grinfie.
«Aspetta un attimo. Andremo adesso. Ha parlato così bene quel ragazzo del nostro Emporio. Potrebbe rivenire. È giusto, considerando la situazione, dare il nostro benvenuto» cercò insistentemente di convincermi, ottenendo svogliatamente il mio consenso. Odiavo la sua idea. Cercai di soffocare il mio inconveniente, rispettando la sua volontà. Pensai che non avrebbe fatto differenza se ci fossimo presentate o meno, perché, con la confusione che c'era, non si sarebbero sicuramente ricordati di noi. Sospirai pesantemente.
«Oh! E va bene. Ma faremo veloce» acconsentii seccata, mentre zia sorrideva soddisfatta. Ci avvicinammo alla folla. Pian piano avanzammo fino ad arrivare a poca distanza da loro. Ogni tanto mi guardavo intorno, cercando ingenuamente di sfuggire, ma zia Daisy, nel frattempo, si era trasformata in un segugio. Mi tirò la mano come se fossi una bambina, lanciando sguardi in cagnesco. Dopo un po' giunse il nostro turno. Zia Daisy porse cordialmente la mano, iniziando le presentazioni. Dalle sue spalle sbirciai, e Daniel, il nipote di Lord Charles Lloyd, fece lo stesso e mi sorrise. Ovviamente era stata una cosa fulminea, nessuno se ne accorse. Mia zia proseguì con i convenevoli e, tirandomi il braccio in avanti, mi presentò. Strinsi la mano del signor Lloyd, la sua presa era più debole al contrario di quella di suo nipote, Daniel. Era forte e possente. Mi strinse la mano in modo deciso e mi trafisse con lo sguardo. Ricambiai anch'io la stretta, mostrando la mia determinazione, e avvertendo, nella connessione, molta carica. Come una scossa, seguita da un brivido. Era successo ancora.
«Sono felice di fare la sua conoscenza, signorina Isabel. Spero che adesso abbia imparato il mio nome» sussurrò l’ultima frase, mentre mia zia era impegnata a fare i complimenti a suo zio. Daniel terminò con un sorriso smagliante mentre io mi misi sui saldi, con la speranza che zia Daisy non l’avesse udito. Impietrita dalla sua impertinente precisazione, non risposi. Daniel, fiero di aver ammansito la mia precedente insolenza, mi lasciò la mano e, dopo l’invito di mia zia di tornare all’Emporio, ci salutò per lasciare posto ad altra gente.


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