XXI | We Don't Believe What's on TV

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Uno. Due. Quattro, otto, venti, quaranta mani che ondeggiavano in aria per salutare Arche: la Victoria Punk era appena salpata verso il villaggio Himitsu. Il chirurgo le regalò uno dei suoi rari, accennati e genuini sorrisi, accarezzandole la testa con la mano con cui non reggeva la katana.

"Mi raccomando, torna in tempo per la Red Line o Bepo ci rimarrà male."

"Solo Bepo?" la ragazza ricambiò il sorriso con uno più largo, a labbra chiuse e occhi che la dicevano lunga. Ovviamente Arche scherzava in quel momento, ma causò un istante di trepidazione nel chirurgo, che in risposta nascose il volto rosso sotto al cappello, borbottando qualcosa simile a un "Buon viaggio." Dopo millemila raccomandazioni da parte dell'orso di chiamarlo per ogni spostamento, diversi consigli da Shachi e alcune indicazioni per la rotta da Penguin e Uni, lei si trovava adesso accanto a suo fratello, già da qualche ora, a sorseggiare un succo alle more mentre entrambi si separavano momentaneamente dal resto della ciurma di Kidd per conversare tra di loro; d'altronde, li avrebbe aspettati un importante carico emotivo da sostenere.

Arche silenziosamente osservava le solite onde del mare, che quella giornata erano calme, sembravano non volerle dire niente, forse proprio perché ci sarebbe stato tanto in ballo da sapere. Il fratello, invece, guardava lei, come se non fossero passati quasi vent'anni, come se ancora fosse la sua figura di riferimento. Increspò le labbra tinte di quel rosso bordeaux nella sua solita smorfia scostante.

"Guarda che non possiamo tornare indietro, ormai."

Lei voltò lo sguardo verso di lui, senza muovere la testa rivolta verso il mare. Era quieta, proprio come l'acqua.

"Mh? Che intendi?"

"Ho visto come ti trattavano...quelli là. Sei praticamente la loro famiglia, e loro la tua;" Arche sussultò sorridendo lievemente, anche se era un'espressione inaspettata, non poteva di certo negarla. Lo erano. "Anche se non mi capacito di come sia riuscita a fare amicizia con quello là, insomma, tra tutti i pirati proprio Trafalgar doveva sceglierti come alleata?"

"Senti, è una storia più complicata di quello che pensi, io-" gli rispose ridacchiando, ma Kidd la interruppe con una voce diversa dal solito.

Aveva notato, il rosso, sin dal primo momento che aveva visto i due assieme come Law fosse interessato alla tutela della ragazza. Aveva notato come le si fosse messo davanti diverse volte quando era giunto a trovarla, e di come, rimanendo a pranzo nel Polar Tang, i due si scambiassero sguardi di mille parole senza dirne alcuna. Il fatto era, che il capitano conosceva perfettamente il chirurgo della morte, essendo un suo nemico di lunga data. Si era accorto del comportamento più rilassato, meno...spietato. E nonostante non sapesse nulla sulle esperienze in amore della sorella, che gli aveva giusto accennato di essersi innamorata a diciott'anni, nient'altro avrebbe potuto dedurre su di lei, se non che, in una stanza di trenta persone, le sue iridi d'oro andavano sempre a cercare quelli dell'altro.

"Dillo e basta, testa dura che non sei altro. Ti sei innamorata di lui e ti manca."

Arche ci mise diversi secondi per realizzare quello che le avesse detto Eustass, e soprattutto comprendere chi fosse la persona a cui si stesse riferendo.

Le piaceva Law? Certo. Cento per cento. La cosa più sicura al mondo. E Trafalgar, lui...dava segnali parecchio ambigui. Ma non sarebbe mai e poi mai riuscita a confessargli ciò che provava per lui, era troppo orgogliosa quando si trattava di amore. Non avrebbe mai e poi mai rischiato una delusione in amore, avrebbe preferito non rischiare affatto.

Così, scosse la testa, socchiudendo gli occhi e portando finalmente il volto verso l'altro.

"Non...non penso che glielo dirò mai. Lo vedo troppo preso in...altro. Mi conviene di più rimanere in silenzio."

Kidd sospirò silenziosamente, stranamente la lasciò finire di parlare, anzi, aspettò qualche secondo (che si fosse messo a pensare? strano) , poi, con la stessa voce pacata, più...intima, strinse le labbra in un sorriso impercettibile. Disse qualcosa che sembrava non inerente affatto alla situazione, almeno agli occhi di chi non conosceva né l'uno né l'altra.

"Lo sai cos'ho sognato qualche notte fa? Che la mamma mi diceva che sarebbe andato tutto bene, mentre tu dormivi, come un ghiro. Ti ricordi quanto russavi? Ahahaha!" Una risata genuina, senza malvagità uscì dalle sue labbra, Arche lo seguì, con gli occhi lucidi, perché aveva fatto lo stesso identico sogno, solo che era lui a dormire accanto a lei, inerme, protetto. Con uno di quegli sguardi che sembravano gridare a caratteri cubitali "TI VOGLIO BENE", gli chiese il permesso di appoggiare la testa sulla sua spalla, e non se lo dovette far ripetere due volte, perché quell'omone tanto serio e minaccioso le si avvicinò all'istante, avvolgendola con il braccio destro.

I due fratelli passarono così la prima giornata, a raccontarsi diversi aneddoti d'infanzia e della vita dopo la loro separazione. Arche gli raccontò del suo primo amore che la fece restare per tre mesi in un villaggio e le fece rompere temporaneamente l'abitudine di spostarsi massimo ogni mese, Kidd le raccontò dell'unica donna che gli avesse mai preso il cuore, e di come la dovette lasciar andare il giorno dopo averla conosciuta, essendo stata sposa di un suo amico troppo stretto a Kidd per causargli un dolore così forte.

Si raccontarono delle battaglie, i 200 soldati paralizzati di Arche e di come fu riuscita a mangiare il suo frutto del mare, e di come Kidd imparò a crocifiggere gli uomini più antipatici dopo aver mangiato il suo frutto del diavolo. Non toccarono l'argomento mamma-papà, ma in ventiquattr'ore, fermandosi solo a cena, si erano raccontati tutte le storie possibili e immaginabili che avevano vissuto.

Entrambi, stremati, dormirono per le seguenti dodici ore su quel pezzo di prua su cui si erano seduti, affacciati sul mare. Kidd sdraiato con la schiena a terra, che russava pesantemente come Arche da bambina, e l'altra con le braccia conserte appoggiate al suo petto, che più silenziosamente si godeva un sonno profondo, che neanche quel russare chiassoso del fratello avrebbe potuto interrompere. Il mattino successivo, erano ufficialmente passati due giorni, e Heat li raggiunse, chiarificando che in un paio d'ore sarebbero arrivati all'isola. Facendo colazione alle tredici, come volevasi dimostrare tale usanza fraterna, in silenzio ognuno pensava a quello che li avrebbe aspettati.

Killer, dal canto suo, non poté fare a meno di far notare al capitano come sembrasse meno arrabbiato rispetto al solito; stranamente, non ricevette alcun pugno in testa: con un ghigno, il rosso, fece un cenno verso la sorella, intenta a girare il bicchiere di latte con un cucchiaio.

RADICI ||𝙌𝙪𝙖𝙣𝙩𝙤 𝙨𝙖𝙧𝙚𝙨𝙩𝙞 𝙙𝙞𝙨𝙥𝙤𝙨𝙩𝙤 𝙖 𝙫𝙞𝙖𝙜𝙜𝙞𝙖𝙧𝙚?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora