V | My Blood

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"Devi vedere una cosa."

Arche non sapeva bene cosa fare, era estremamente confusa. Perché una supernova famigerata come Eustass Kidd (Law le aveva raccontato chi fosse la sera prima, alzando parecchie volte lo sguardo al cielo), dopo aver subito un'umiliazione del genere davanti al suo peggior nemico, non voleva ucciderla? O meglio, perché una supernova famigerata come Eustass Kidd non voleva ucciderla e basta? Neanche si era accorto, o forse neanche gli importava di essere sul sottomarino del chirurgo, ancora attraccato al molo.

La ragazza era a un metro da Trafalgar, che nel silenzio rimbombante del momento teneva ben stretto il pugnale della katana in mano, con quel suo sguardo analitico. I tatuaggi si erano mossi di qualche millimetro, segno che i muscoli si fossero contratti: l'aria era tesa, ormai. Cosa avrebbe mai voluto dire a quella povera ragazza, il rosso?

I suoi occhi giallastri, un po' più scuri e squadrati rispetto a quelli di Arche, erano più seri che mai, quasi...arrendevoli. Ma, Law pensò tra sé e sé, Eustass "Capitano" Kidd non avrebbe mai e poi mai assunto un atteggiamento arrendevole. Le labbra tinte serrate ora si socchiudevano, poi di nuovo si riunivano, e di nuovo ancora si riaprirono. Arche non capiva cosa ci fosse di così strano, perché sulla faccia del chirurgo ora si poteva leggere uno stupore agghiacciante, non capiva che fosse perché Kidd non aveva mai esitato, non aveva mai riflettuto prima di parlare, davanti al corvino.

Richiuse la bocca e si voltò con il viso, intento a cercare qualcosa tra le tasche.

"Quando mi hai buttato in mare, io..." digrignò i denti, poi calmandosi in qualche secondo "...io ho subito un'orribile umiliazione. Mai nessuno prima d'ora, NESSUNO CAZZO, si è preso gioco di me nel modo in cui hai fatto tu stessa. Avevo deciso con Killer e il resto della ciurma che ti avrei uccisa quella notte stessa a mani nude, ma Killer mi fece ragionare, come al solito, e mi disse che sarebbe stato meglio aspettare e attaccarti in un momento inaspettato, farti credere che tu fossi riuscita ad aggirarmi. Così, stamattina, abbiamo fatto il giro dell'intero Grove, abbiamo chiesto a cani e porci se ti avessero visto, soprattutto al mercatino del porto, essendo la zona più affollata. Mi ha risposto una vecchia che vendeva profumi, una cosa simile...mi ha detto che sì, ti conosceva perché aveva vissuto per poco tempo nel tuo stesso villaggio d'infanzia."

Kidd aveva trovato, mentre parlava, l'oggetto che tanto cercava nella sua tasca, ancora non lo mostrò. Lo teneva chiuso in mano, quasi come se ci fosse particolarmente legato.

Nel frattempo, la ragazza dai capelli blu guardava ora negli occhi Kidd, senza paura e col massimo dell'attenzione: il suo villaggio d'infanzia...cosa c'entrava adesso con lei? Che avesse scoperto qualcosa sulla sua vita personale, qualcosa con cui minacciarla? Fece un passo avanti, mettendosi praticamente accanto a Law, che la guardò soffermandosi qualche secondo, poi aspettò anch'egli una risposta di Kidd. Arche era ora pronta a combattere se fosse stato necessario, nessuno avrebbe fatto del male a suo padre.

Tuttavia Kidd negò con la testa, rimanendo serio.

"Lasciami finire, per favore." Fece un profondo respiro, aprendo la mano come se fosse un misterioso scrigno di un tesoro cercato da secoli, ere, e come se il suo contenuto ne valesse la pena di aspettare così tanti anni: un pezzo di stoffa verde, immacolato, di seta, come nuovo. Era piccolino, sarà stato trenta centimetri per trenta, e non aveva nessuna specialità, se non un piccolo ricamo che indicava due iniziali.

Lei sgranò gli occhi alla vista di quella copertina, le due iniziali le conosceva fin troppo bene. Le vennero in mente le urla di suo padre e i suoi amici nell'altra stanza che bevevano e giocavano a poker e le ninnananne che cantava sempre sua madre...Sua madre. Mamma era sempre stata un angelo, nonostante la vide solo per i primi quattro anni di vita e la memoria non era di conseguenza la più vivida, la ragazza non si ricordava neanche un momento in cui non l'aveva vista sorridere. Sempre, sempre rassicurava tutto e tutti. Anche con uno straccio addosso sarebbe stata la donna più bella del mondo, dell'intero universo. All'età di cinque anni, fu suo padre a dirle che la mamma non c'era più, che era andata a fare un viaggio dalla nonna, che si trovava a qualche chilometro da dove abitavano loro, e che non era più tornata. E assieme a lei, non era neanche più tornato...

"Kidd." Arche aveva ancora un'espressione sconcertata sul volto. Negava con la testa abbassando lo sguardo, la bocca semiaperta, le sopracciglia inarcate e troppi pensieri per la testa. "Ti chiami come lui ma non avevo mai pensato che...potessi essere...e poi il tuo cognome..." Si interruppe- neanche in quel momento riusciva a crederci.

"Non dovresti essere morto? Dov'è mamma? Ti stai prendendo gioco di me, Eustass? Perché se è così io ti giuro...!" Gli andò minacciosamente incontro nonostante le loro evidente differenza di statura, e gli puntò il dito sul petto, ormai aveva, silenziosamente, aperto i suoi rubinetti d'oro. Arche non era mai stata una da fare grandi drammi, anche quando piangeva, piangeva sempre trattenuta, a piccoli saltelli, in silenzio. Era una pioggerella debole che accoglieva l'estate, non un acquazzone, non una tempesta. Kidd era invece un tuono così forte, rimbombava nel silenzio della pioggia come fosse fatto apposta, come se fosse il suo ruolo.

"ASCOLTAMI! Non so che cazzo ti abbia detto quel vecchio, ma di sicuro non sai la verità. Primo, Eustass l'ha preso la mamma, è il cognome della sua bisnonna, ce ne serviva uno e lei ha scelto il primo che le potesse venire in mente. Secondo, ce ne serviva uno, sì, hai sentito bene. Sai perché? Mamma ti cantava le canzoni mentre io andavo in bagno a curarmi da solo le ferite, ti portava alla spiaggia quando io non volevo andare a scuola, e lo so che ti diceva sempre che sarebbe stata una giornata tra di voi, che non l'avreste detto a papà. Lo so. Non hai mai notato che i bambini a scuola ridevano di me? I bigliettini che mi lasciavano nella cartella? Ero un mostro ai loro occhi. E tutto per colpa del mio colore di capelli, perché loro erano una tribù di bianchi, neri e blu, e un rosso non si era mai visto prima. Lo sai cosa fanno le comunità chiuse con ciò che non è uniforme? Lo eliminano. Dovresti saperlo bene. Ero io a portarti fuori casa quando mamma e papà litigavano, perché non riuscivano a decidersi che farsene di me. Che farsene del mostro del villaggio?" SI interruppe, riprendendo fiato e sospirando. "Ma alla fine mamma decise, perché papà altrimenti non l'avrebbe mai fatto, e ce ne andammo da quel posto. Solo papà sapeva la verità, l'intero villaggio credeva quello che hai creduto tu fino a qualche minuto fa."

RADICI ||𝙌𝙪𝙖𝙣𝙩𝙤 𝙨𝙖𝙧𝙚𝙨𝙩𝙞 𝙙𝙞𝙨𝙥𝙤𝙨𝙩𝙤 𝙖 𝙫𝙞𝙖𝙜𝙜𝙞𝙖𝙧𝙚?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora