XXXI | Do I Wanna Know?

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Arche non si era mai sentita così a casa, calorosamente avvolta da quaranta braccia, pronte a sorreggerla. Era bello, alla fine, avere un gruppo su cui contare, degli amici.
Nonostante avesse passato gran parte dei suoi ventitré anni in solitudine, sia in viaggio che nel villaggio d'infanzia, in quel momento, quella sera, fuori ai tavoli sulla spiaggia di quel locale, non era mai stata più grata di avere attorno quelle persone d'oro. Uno per uno, i pirati Heart avevano paradossalmente preso un posto nel suo cuore.

Forse fu proprio per questo che, tra la fine di un canto e l'altro, tra qualche risata, qualche battuta e tanti abbracci, la ragazza non poté fare a meno di compiere il rito di ogni pirata Heart, e gridare, ma gridò delle parole che toccarono il cuore di tutti coloro che erano presenti, soprattutto il capitano:

"SIETE...SIETE LA MIA FAMIGLIA!!!"

Sorridendo e con forse gli occhi lucidi per l'emozione, alzò le spalle per il successivo imbarazzo nel compiere azioni che di solito non faceva, come urlare, ma ci pensarono tutti gli altri a rassicurarla: chi era attorno a lei la avvolse in un caloroso abbraccio, poi, alcuni come Bepo e Shachi piangevano drammaticamente, altri seduti al tavolo alzavano verso di lei i bicchieri in segno di approvazione, mentre, invece, Law arrossiva diventando rosso come un pomodoro, tanto da doversi voltare per non darlo a vedere.

La serata non durò eccessivamente a lungo dopo l'intervento affettuoso della ragazza, ci furono un altro paio di discorsi e di battutine e poi ognuno, col proprio orario e i propri tempi, si ritirò nel sottomarino. Erano ora rimasti il corvino e la ragazza, stavolta senza che Shachi pianificasse alcuna delle sue diaboliche trappole amorose: anzi, l'evento era stato così inaspettato che Penguin e Ikkaku dovettero tirarlo via a forza verso il molo, o sarebbe rimasto a spiarli tutta la notte. (Cosa che fece ugualmente invadendo la camera di Penguin, nel lato del sottomarino rivolto verso la riva, affacciato con un binocolo alla sua finestra.)

Dopo qualche minuto di un silenzio imbarazzante (non di quelli imbarazzanti per timidezza, ma di quelli imbarazzanti perché si diceva anche troppo senza spiccicare alcuna parola) Law riuscì a trovare le parole adatte per parlarle, ma, alla fine, Arche lo anticipò di qualche secondo:

"Volevo fermarmi a vedere il mare sugli scogli prima di salire. Mi accompagni?"

Quest'ultimo annuì, seguendola silenziosamente al contrario di come faceva di solito, quando si imponeva sulle persone e camminava sempre davanti agli altri. Non aveva il cappello, gliel'aveva rubato Clione mentre era preso dall'ebrezza dell'alcol e mentre borbottava qualcosa riguardo a quanto fosse fuori moda quel "pezzo di pecora". Dentro di sé, il chirurgo fece spallucce: alla fine gli sarebbe potuto servire come fonte di auto-motivazione per rendersi più vulnerabile con la ragazza, non avendo alcuna "copertura" in testa.

Entrambi erano ora seduti sulle rocce di quella piccola riva dove, a pochi metri da loro, si trovava il pub in cui avevano mangiato e bevuto. Lei sembrava pensare, ma non pensava in tranquillità, non meditava: era come se stesse elaborando, come se stesse cercando qualcosa.
Al contrario suo, Law aveva già le parole pronte sulla lingua per uscire dalle sue labbra, erano lì, doveva solo dirle, perché era fin troppo che manteneva tutto quel trambusto di emozioni dentro di sé, e al Chirurgo della Morte piaceva trovare soluzioni, non ottenere solo altro disordine mentale.

Così, cercò innanzitutto di prendere la calma, si voltò verso Arche: le sopracciglia non troppo folte, ma neanche così fine erano ora contorte in un'espressione concentrata; gli occhi felini e luminosi più che mai sembravano riflettere le stelle neanche così tanto visibili quella sera, e le labbra così uniche, quel labbro inferiore leggermente più sporgente che non toccava più l'altro, lasciando la bocca semi-aperta come se stesse sempre per dire qualcosa, senza dirlo. Tutto, di lei, era maestosamente perfetto. E lui avrebbe voluto dirglielo, lì, sul momento.

Ma così non fu.

"Ultimamente fa meno caldo rispetto al solito, ve-"

"Arche."

Nonostante la ragazza fosse intervenuta con un orribile pretesto, Trafalgar capì proprio mentre lei commentava sul tempo che non ci fosse stato altro momento più adatto se non quello, e dovette interromperla, chiamandola, in una di quelle rare volte, col suo nome. Lei tacque, socchiudendo le labbra e girandosi verso di lui.

Ma certo, ora capiva cosa fosse.

"È da diverso tempo che porto dentro di me queste...emozioni."

Ma certo, lui...

"E non sono emozioni semplici... sono complicate. Ma benigne."

Lei dovette trattenere una piccola risata, senza coprirsi il volto, per l'esitazione dell'altro. Decise di prenderlo in giro per alleviare la tensione, per giocare con lui, perché ora che aveva capito tutto, nulla sarebbe più stato un problema.

"Beh, non vorrai mica dirmi che il temerario Trafalgar Law sia un capitano, ma soprattutto uomo, dalle sensazioni semplici? Ti giuro che se mai qualcuno venisse a raccontarmelo, gli chiederei quanto tu lo abbia pagato per farglielo dire! Ahahaha!" Parlando con spensieratezza lo interruppe una seconda volta, scoppiando in una melodica e fragorosa risata. Per l'ulteriore imbarazzo e per il mancato controllo della situazione, il chirurgo si ritrovò a rispondere alla sua indesiderata battuta, leggermente offeso.

Sì, era innamorato di lei.

"Ipotizzando che lo facessi, non sprecherei soldi, al massimo lo minaccerei a-"

Un po' per divertimento, dato che era la terza volta che lo interrompeva, e un po' perché desiderava quel momento da tempo, soffocò la propria risata e il lamento di lui in un tenero bacio, prendendogli il viso con entrambe le mani e accarezzandogli con i polpastrelli il viso, le basette disordinate e il pizzetto asimmetrico. Le sue labbra carnose le erano sempre sembrate parecchio fredde, gelide, ma al contrario, quella sera scoprì che fossero calde, mentre la accoglievano senza alcun atto di difesa.

Ci volle un attimo prima che Law realizzasse cosa stesse succedendo; dopo che ebbe sgranato gli occhi senza fare alcun movimento, si staccò per riprendersi, ma rimase a pochissimi centimetri dal viso di Arche. Le stava così bene la luce naturale della luna nel riflesso degli occhi. Sussurrò:

"Sei un'idiota."

E senza esitare ricambiò il bacio più intensamente, appoggiando al contempo le mani sul lino della sua camicia bianca. Ghignò al contatto tra le loro bocche, e dopo quello che sembrò troppo poco tempo si distanziarono nuovamente, stavolta per prendere fiato.

Lei non sembrava averne bisogno, tuttavia, come se fosse proprio lui la fonte d'ossigeno, e lo guardava, comunicando un flusso interminabile di sensazioni, parole e gesti che solo quei due occhi sapevano trasmettere. Lui, più innamorato che mai ma senza darlo troppo a vedere, si perdeva in quelle due pietre d'ambra, e rimasero entrambi così a guardarsi da vicino per molto tempo. Scappava ogni tanto qualche carezza sullo zigomo, tra i capelli, tanto che Law stesso le prese quel bellissimo fiore bianco e glielo mise tra le mani, osservando poi attentamente la sua reazione: ciò era la prova che avesse fatto bene a non portare il cappello, quella sera.







RADICI ||𝙌𝙪𝙖𝙣𝙩𝙤 𝙨𝙖𝙧𝙚𝙨𝙩𝙞 𝙙𝙞𝙨𝙥𝙤𝙨𝙩𝙤 𝙖 𝙫𝙞𝙖𝙜𝙜𝙞𝙖𝙧𝙚?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora