CAPITOLO 18

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"E se qualcuno mi avesse creduto, sarebbero innamorati nello stesso modo in cui io lo sono di te".
-Angels, The XX

Al mio arrivo non trovai nessuno nella sala d'entrata

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Al mio arrivo non trovai nessuno nella sala d'entrata. Eccetto per alcuni bisbigli che venivano dal fondo del corridoio. Mi avvivai con un passo rapido, percorrendo le piastrelle blu, fino al cartello rosso che indicava di svoltare a destra per raggiungere l'ufficio principale.
Una volta raggiunto, vi trovai due poliziotti all'interno, intenti a fumare un sigaro e chiacchierare animatamente fra di loro.
-Buonasera Agenti!-
I due si voltarono sorpresi, riservandomi uno sguardo disorientato.
-Oh! Buonasera a lei signorina, è lei la parente di quel teppista?-

Teppista?

Per un secondo restai in silenzio, davanti a quella parola, forse, anche un tantino irritata all'idea che lo avessero soprannominato in quel modo così superficiale. Sicura e persuasa che Jace non fosse una persona del genere.
Nonostante ciò, annuii con un cenno della testa, tentando di restare al gioco.
-Sì, sono la cugina. Lui dov'è?-
Uno dei due mi indicò la sala d'attesa dall'altra parte del corridoio.
Lo ringraziai, scarpinando velocemente in quella direzione, soltanto per rimanerne sconvolta una volta dentro.
Jace se ne stava seduto con lo sguardo perso nel vuoto. Il labbro spaccato e le nocche sporche di sangue. Portava una felpa nera, il capo incappucciato e le ciocche davanti agli occhi.
- Oh Jace! Che ti è successo?-
Mi appressai al suo fianco, chinandomi davanti a lui.
Mi guardò senza proferire parola, apparentemente distante, come se non fosse lì con la mente. L'espressione fredda eppure viva. Invasa da tante emozioni danzanti che non sapevo decifrare.
-Jace...?-
Gli presi le mani, girandole tra le mie.
A contatto con la pelle fredda.
Indifferente se il sangue essiccato stesse toccando anche le mie.
-Bea...?-
Sussultai al suono del mio nome, alla nota di dolore nel fondo della sua gola.
-Dimmi?-
Gli occhi parevano lucidi, il volto stanco, segnato da lividi sulla guancia e un taglio sulla tempia.
-Sei venuta?-
Mi sorpresi della sua domanda, mi stupì che potesse persino formularla quando i fatti apparivano così chiari e indisputabili.
Era ormai ovvio che mi avesse ai suoi ordini. Apparivo soggiogata, asservita; a momenti, come se ogni suo capriccio fosse un mio desiderio.

E vi era qualcosa di storto.
Inumano.

Non era scientificamente possibile provare tutto questo. Avevo giurato di essermi presa soltanto una cotta. Una banale e frivola cotta, che sarebbe poi svanita col tempo, ma invece si stava facendo più fastidiosa, immensa.
E ora, un fabbisogno necessario.
Mi sentivo come se mi fosse dovuto.
Volevo amarlo per qualche inspiegabile motivo.
Erano passati solamente  8 mesi da quando lo avevo conosciuto, eppure, mi sentivo come se lo avessi da sempre conosciuto.
Come se Jace Eyre avesse da sempre posseduto il mio cuore nelle sue mani.
-Perché non dovrei?-
Jace non rispose, anzi, ristette, lo sguardo triste. Tale visione mi ferì nel profondo, influenzando anche il mio umore di conseguenza. Uno stato d'animo che si muoveva e sussisteva con il suo.
-Jace andiamo a casa-
Mi alzai, allungando un braccio attorno alla sua figura alta, cercando di sorreggerlo come meglio potevo. Si lasciò sorreggere, camminando insieme a me verso l'uscita.
I due agenti alla nostra vista, si alzarono per accompagnarci fuori. Le espressioni simili a due genitori esasperati.
-Mi raccomando signorina, tienilo fuori dai pasticci, non trovo soddisfazione nel mettere giovani in galera-
Annuii, ringraziandolo di nuovo, per poi condurlo verso la macchina. Lo aiutai a sistemarsi nei sedili posteriori.
Lui si distese chiudendo gli occhi.
Mi misi subito al volante, mettendo l'auto in moto.
Erano ormai l'una e venti del mattino, e non ero sicura che sarei potuta andare all'università il giorno seguente. Mi sentivo talmente stanca, che sarei decisamente crollata durante le lezioni.
Guidai per una ventina di minuti, avvolta in un silenzio disarmante, se non per i respiri lievi, provenienti dal suo corpo dormiente.
Jace si era addormentato all'istante, lasciandomi con una marea di domande senza risposta. Un'incessante fonte di curiosità che non riuscivo a tenere sotto controllo.
Volevo sapere ogni cosa, a partire da cosa gli fosse capitato.

Chi l'avevo colpito? E perché stava alla stazione di polizia?

Gli eventi della discoteca mi tornarono di nuovo alla mente. Il fatto di averlo visto in compagnia di quei due uomini spericolati, era un indizio da non sottovalutare. Le minacce di Demerya e il cugino morto.
Tante cose non quadravano, così come i miei sentimenti improvvisi.
Abbastanza forti da farmi pensare di aver conosciuto Jace molto tempo prima.
Una strana sensazione di averlo già amato in passato, come se tutto si stesse risvegliando all'improvviso.

[...]

Lo aiutai a distendersi sul mio letto matrimoniale, correndo in bagno a prendere il kit da pronto soccorso. Il lato positivo di avere un medico come padre, era che non ti mancava nulla. E se ti tagliavi o ti facevi male, nel kit c'era ogni cosa di cui potevi aver bisogno.
Cominciai dalle nocche, passando il cotone inumidito di alcool sulle mani, lavando via il sangue essiccato con alcune salviette.
Volevo davvero chiedergli cosa fosse successo. Impaziente come non mai, tuttavia non potevo. Almeno, non in quel momento.
Passai il cotone pure sul viso, sulla tempia e poi sulle labbra, disinfettando le ferite con cura. Disposta anche a curare i mali del suo cuore, se soltanto me lo avesse permesso.

Sospirai nuovamente, una volta finito tutto, buttando le salviette sporche di sangue e mettendo via il kit di pronto soccorso.

L'orologio segnalava ormai le 3.00 del mattino, e mio padre sarebbe presto rientrato da lavoro.
Coprii Jace con una coperta, coricandomi al suo fianco ma senza toccarlo. Persa in uno stato surreale, all'idea di averlo così vicino seppure spiritualmente lontano.

Sotto lo stesso tetto, dentro la stessa stanza.

Jace Eyre, appariva sereno quando dormiva, bello e mistico. Un volto pacifico che però si raffreddava una volta sveglio. E diventava anzi, gelido e distaccato. A volte sprezzante o impassibile.
Frustrata, sollevai un braccio con l'intento di accarezzargli una guancia, con il desiderio di poterlo toccare ma poi a mezz'aria, lo ricacciai indietro.

Beatrice! Che stai combinando??

Dovevo piuttosto, cercare un modo per arrestare i miei impulsi, invece che cedervi come una stupida.
Spensi le luci, dandogli la schiena, per poi addormentarmi come se non ci fosse un domani.

BE HONEST (In Revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora