CAPITOLO 7

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"E m'é dolce navigar in questo mare".

-G.Leopardi.

Leopardi

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Alle 9.30 spaccate, Jace si fece vivo con sua sorella, davanti a casa mia.
Li accolsi alla porta, tremante, invasa dal solito nervosismo incontenibile.
-Ciao Kate-
La salutai con la mano, ricambiando il suo sorriso timido.
Lei mi salutò a sua volta, facendosi avanti nella mia dimora.
Aspettai che ci oltrepassase, prima di rivolgere la mia attenzione sulla causa della mia emicrania. La ragione del perché il mio spirito non potesse spirare.
-Ciao... come state?-
Jace teneva le mani in tasca, l'aria svogliata. A momenti come se fosse lì sotto costrizione e non per sua scelta.
Ciò mi rese improvvisamente insicura e agitata. Non sapevo mai come comportarmi quando era nei paraggi. Apparivo quasi ridicola, una scolaretta nei suoi primi giorni di scuola.
-Solito, tu?-
Mi feci indietro per farlo entrare.
-Bene, sono contenta che siete venuti-
Lui mi guardò, gli occhi vispi e cupi.
Un'espressione arcana, indecifrabile.
Un puzzle complesso per la mia povera mente.
Spostai il peso su un piede e poi sull'altro. Le guance leggermente scarlatte per l'imbarazzo.
-Uhm, le pizze sono pronte-
Indicai la strada, trovando Katelyn già seduta sulla sedia, con una fetta già addentata.
Jace scosse il capo vedendola.
-Potevi aspettare...- disse con tono pacato.
Si sedette di fronte a lei, mentre io presi posto, di fianco alla sorella.
-Non so te, ma io voglio mangiare la mia pizza calda-
Non me la ricordavo così peperina. Sorrisi appena, per poi portare lo sguardo sul suo volto accigliato. Le labbra socchiuse come se stesse per dire qualcosa, ma non lo fece.
-Buon appetito- esclamai piano.
Jace annuì con un cenno del capo, le mani intente a sfilare la mozzarella.
Ci fu un attimo di silenzio, in cui gli unici rumori furono le posate e i nostri respiri, ma poi, notai qualcosa d'insolito. Una ferita che non avevo scorto a causa dei suoi capelli folti.
Essa partiva dalla sua tempia fino allo zigomo destro. Una riga visibilmente rossa.
E senza riuscire a fermarmi, mi ritrovai a interpellarlo.
-Cos'hai fatto lì?-
Inizialmente, mi guardò perplesso. Lo sguardo vago e tormentato, ma poi, parve capire a cosa stessi alludendo.
-Merda...- imprecò sottovoce. Le dita sul taglio.
Katelyn non parve per niente sorpresa, anzi, alzò gli occhi al cielo.
-Dovresti dire a quell'arpia di comprarsi un taglia unghie...-
Sgranai gli occhi all'affermazione di sua sorella.
Arpia?
Trascinai il mio punto di domanda verso l'espressione impassibile di lui. Aspettando come una scema una risposta che non venne.
Katelyn Guardò Jace e poi me, per poi sospirare.
-Perché non glielo dici?-
Jace le lanciò uno sguardo di rimprovero, facendola ammutolire, abbastanza da farle totalmente abbandonare il discorso.
Stavolta rilasciai un profondo respiro, attraversata da un leggero senso di rabbia.
Era ovvio che volesse tenermi all'oscuro. Lontana dal suo mondo, come d'altronde sempre.
-E' stata Demerya vero?-
Jace alzò lentamente lo sguardo su di me. La luce negli occhi spenta, quasi sprezzante. Doveva decisamente esser successo qualcosa. Tuttavia, cosa? Avevano litigato?
-Chiunque sia, non voglio parlarne...-
Sbuffai, leggermente scocciata.
Perché era sempre così irraggiungibile?
-Bea! Posso portare la pizza in soggiorno? E posso guardare Netflix?-
Kate ci interruppe alzandosi in piedi.
-Se! e poi?-
Jace ribatté, guardandola con aria torva. Un sopracciglio alzato verso l'alto.
-Certo, va pure-
Mi voltai verso di lui.
-lasciala, non fa niente... -
Pertanto, ero contenta di avere un momento da sola in sua compagnia. Jace alzò gli occhi al cielo, osservando la figura felice di sua sorella, allontanarsi in salotto.
Mi alzai dalla sedia a mia volta.
-Scusami un secondo...-
Jace fece un cenno, sfilando il cellulare dalla tasca dei pantaloni da tuta.
Mi diressi in bagno, e dritto verso lo scaffale dove tenevo il kit di pronto soccorso. E poi tornai in cucina.
Alla vista del kit, Jace si rabbuiò improvvisamente.
-No-
Una risposta tagliente abbandonò le sue labbra, ancor prima che potessi dire qualcosa.

-Jace per favore...-

-Bea no-

Restai in piedi vicino alla sedia libera, il kit ancora tra le mani. Gli occhi fermi su di lui. Distolse lo sguardo, fissandolo su qualunque cosa che non fossi io.
-Per favore... Vedilo come un pagamento per ieri sera-
Jace grugnì per poi riportare l'attenzione su di me.

-Ti ho offeso ieri, il massimo che potresti fare è insultarmi -

Un tono netto e freddo.
Scossi il capo, irritata.

-Posso scegliere io come punirti? O devi scegliere anche quello?-

Jace insistette.

-Ma non mi stai punendo così, mi stai solo facendo un favore...-

Si portò una mano tra i capelli lucenti,
il cielo nei suoi occhi ora turbolento.

-Allora permettimi di farti questo favore...-

Sospirò profondamente, sicuramente contrario, tuttavia, con mia sorpresa, si alzò e venne a sedersi di fronte a me.
Sorrisi, non riuscendo a nascondere la mia soddisfazione. Un sorriso che però non sfuggì a Jace Eyre.
Il quale ora mi fissava perplesso.

-Perché sorridi?-

-Nulla...-

Non potevo mica confessarli che ne era la causa. E che ogni volta che faceva qualcosa per me, mi sembrava di sprofondare in un mare di pace. In un benessere senza fine.
Mi misi a lavoro, accostando un pezzo di cotone e dell'alcool alla sua ferita.
Cercando di mantenere un tatto delicato e gentile.
In tutto questo i suoi occhi rimasero su di me. E per un attimo infinito, parvero studiarmi. Proprio come una prima volta. Un primo incontro.
Avvampai leggermente, per l'intensità del suo sguardo. Nella maniera in cui mi scrutava attraverso quelle ciglia lunghe.
Terminai di disinfettare la ferita, applicandovi un cerotto. La sua pelle calda e carezzevole contro la mia.

-Fatto...-

Distolse lo sguardo imbarazzato.

-Grazie...-

Mi feci coraggio, chiudendo le mani a coppa, attorno al suo viso. Un volto appariscente, incantevole nel pugno dell'osservatore.

-Jace...-

Non mi fece finire.

-Perché lo fai?-

Alzò una mano, chiudendola sul mio polso, per poi ghermire entrambi i polsi nella sua stretta.

-Che cosa vuoi da me, Bea...?-

Sussultai alla sua domanda inaspettata, spostando lo sguardo sulle sue mani. Un profondo senso di imbarazzo.

Niente...

Potevo sentire il peso del suo sguardo su di me.

Niente... Perché non volevo nulla di quello che gli altri volevano da lui. Niente di quello che lui pensasse volessi da lui.

E tutto....

Per il semplice fatto che quella era la mia natura. Perché vivevo per essere completa. E per ciò che poteva completarmi. Odiavo a morte le cose a metà. E se non ci sbattevo la testa fino in fondo, allora non le volevo.
Mi morsi il labbro non sapendo come e cosa rispondergli.

Era possibile? Volere ogni cosa di una persona così intensamente? Potevo essere egoista senza peccare?

Jace aspettava impaziente, le sue orbe celestiali in cerca delle mie.
-Non lo so...!-
Mi liberai dal suo incantesimo, afferrando la scatola, per poi scappare verso il bagno.
Il respiro incalzato, il sangue sulle guance. Il cuore a mille.

BE HONEST (In Revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora