CAPITOLO 55

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"La gaiezza e il timor mio, germogliavano nell'istante, nell'attimo cruento in cui miravo il mio cuore nelle tue mani".

-J.kai

Il suo volto dormiente stava davanti al mio, contro il cuscino

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Il suo volto dormiente stava davanti al mio, contro il cuscino. L'avvolgente pace ancestrale che nasceva ogni volta che lo guardavo. Ogni volta che lo sapevo vicino a me. Ed era così strano averlo accanto alla mia figura.
Quasi un miraggio, un utopia, come se mi fossi persa in un sogno lontano e non mi fossi ancora svegliata. Eppure, stavolta era reale, non stavo sognando e non lo stavo immaginando.

-Jace...?-

Sospirai ansiosa, socchiudendo gli occhi lentamente, fissando la finestra, i raggi del sole, che filtravano oltre le tende, verso i nostri corpi fermi.

Erano le nove del mattino, e mi ero svegliata prima di lui.
Mi ero persino fatta una doccia, e avevo anche avuto il tempo di lavarmi i denti e preparmi.
Al contrario di lui, il quale riposava docile sotto le lenzuola azzurre. Il torso nudo.
I muscoli delle braccia in rilievo e le vene sottili. Le piccole cicatrici sulla pelle.

Dormiva così sereno, che svegliarlo pareva quasi un sacrilegio, quasi come se stessi per disfare il così amato equilibrio che si era creato nel cosmo.
Tuttavia, il suo cellulare aveva vibrato più di una volta, ed ero certa che qualcuno lo stesse cercando.
Se fosse per me, lo avrei lasciato vibrare sino all'infinito, pur di averlo con me per un altro paio d'ore, ma non potevo nemmeno trattenerlo, se doveva andare...
Allungai una mano sul suo viso, sfiorandone i contorni, la pelle viva, calda.
Avvinta dai ricordi della notte precedente. Il suo corpo contro il mio, i suoi baci e le sue mani. Il fuoco nel vortice del mio stomaco, la passione che non cessava, non si defluiva, ma continua a persistere. Incidere.

I miei e i suoi ricordi, il seme dei miei sentimenti, la pianta che da sempre aveva cominciato a germogliare dal primo giorno che lo avevo incontrato, che avevo posato lo sguardo.
Feci scivolare le dita sotto il mento, avvolgendogli la mandibola gentilmente.

-Jace... Svegliati...-

🔸️🔸️🔸️

||Flashback||
°Manchester°

-Mi piaci-

Era strano sentirselo dire, o almeno non dal ragazzo che volevano tutti.
Non quando non rientravi nella classica categoria della ragazza popolare o di quella perfetta con un fisico perfetto.

E non che Beatrice non si vedesse proponibile o guardabile, sapeva di essere una ragazza abbastanza sportiva e di certo non invisibile. Ma nemmeno quella che sceglievi in una vasta vetrina di ragazze-modello.
Okay, che suo padre era cresciuto con il suo, capiva che erano compagni di vecchia data. Migliori amici.
Era comprensibile che comunque Jace l'aveva vista crescere, e che spesso avevano giocato insieme da bambini. Tutto era accettabile, tutto tranne quello.

-Ho detto che mi piaci...-

Beatrice alzò lo sguardo verso il ragazzino che le stava davanti. L'espressione neutrale e gli occhi scrutatori.
La spavalderia con la quale parlava. Senza essere minimamente intimidito. La confidenza che non gli mancava...

-Non devi sentirti obbligato sai...? So che i nostri genitori sono amici e capisco che forse ti avranno messo pressione... Ma non devi dirlo per forza-

Si bloccò all'espressione impassibile di lui, gli occhi turchesi inchiodati nei suoi. Aveva quattordici anni quando Jace gli fece quella tenue confessione.
Una minuscola frase emessa tra lo spazio e il silenzio che componeva la fine del giorno, e l'inizio della sera.
Il sole stava tramontando e la luce arancione filtrava dalle grandi finestre del suo soggiorno.
Era venuto da lei privo di ostacoli o insicurezze. Senza troppi sforzi.
E con disinvoltura l'aveva cercata, libero, svincolato dalla morsa della vergogna.
Un sorriso cordiale, ambizioso.
Al contrario di lei, la quale in difficoltà, aveva perso l'uso della lingua e le sue guance si erano tinte di un rosso vivo.
Perché in fondo lo sapeva, sapeva che era un ragazzo molto carino, molto ricercato.
All'epoca Jace aveva 15 anni, e frequentava la stessa scuola superiore dove studiava. Ed era estremamente difficile evitarlo, perché anche se si nascondeva tra la folla, lo ritrovava a casa sua, o sua madre la invitava a cenare da loro.
A tal punto che la fuga non era più un'opzione da considerare. E nemmeno era l'atto di essere invisibile, perché più tentava di essere trasparente, più Jace le girava attorno.
Anzi, le sue azioni parevano persino stimolarlo. Accrescere la curiosità e la voglia di conoscerla.
E ora, doveva anche accettare il fatto che a lui, lei piaceva...

Come cacchio era possibile? Cos'era andato storto?
Che cosa c'era da piacere in una ragazzina come lei. Dove era nato l'interesse? E perché non cessava?

Guardò di nuovo quelle orbe azzurre, turbata fin dentro l'animo. Insicura delle prossime parole da scegliere. Quasi irritata all'idea che dovesse persino trovarle.

-Pensi davvero che sono venuto qui sotto costrizione...?-

Jace parlò pacato, come se stesse cercando di ragionare con una bambina di sei anni, o forse, solo stanco di doversi spiegare.

-Hai tante ragazze a cui piaci... Sono molto più adatte a te-

-E perché tu no?-

Beatrice aprì la bocca per controbattere, solo per richiuderla nuovamente, visibilmente atterrita.

-Mi hai vista vero? Hai visto come sono?-

Lui socchiuse gli occhi alla sua domanda, inclinando il capo di lato, verso sinistra, per osservarla meglio, per analizzare la figura minuta che gli stava davanti.

-Sono goffa e faccio un sacco di casini, e posso assicurarti che non mi sopporteresti...-

Lui fece spallucce, alzando lievemente gli angoli della bocca. Le braccia incrociate sul petto, il busto leggermente spinto in avanti. Abbastanza per chinarsi su di lei. Abbastanza per fissarla dritto negli occhi grigi. Dentro quelle pupille di nebbia incerte. Frenetiche.

-Io sono strana... Bizzarra... Davvero, lo dico per il tuo bene, cerca altrove...-

Jace scosse il capo, una smorfia divertita sulla bocca.

-Ma a me piacciono
le cose strane... Beatrice, e mi piace ancor di più che tu sia goffa...-

Lei avvampò spostando gli occhi lontano da lui, sottraendosi al bagliore del suo sorriso.

-Sei impazzito... Non sai quello che dici-

Jace alzò gli occhi al cielo, le profonde fossette ai lati del suo viso, gli occhi luminosi. L'espressione di chi aveva deciso e di chi non aveva intenzione di tornare indietro.

-So cosa voglio Bea... Forse tu non lo sai, ma io so sempre quello che voglio-

Lei lo fissò accigliata, la testa in tilt e la bocca socchiusa, mirando il suo corpo slanciato, la sua schiena solida, prima che abbandonasse l'abitacolo e uscisse dalla porta principale.

Aveva vinto di nuovo...
Pertanto, poche erano le volte in cui non otteneva ciò che voleva.
Jace Eyre si prendeva sempre tutto. Vinceva sempre.

BE HONEST (In Revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora