CAPITOLO 53

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" Portami il tuo cuore e io deporrò la mia anima".

J.Kai.

Avevo contato i giorni come una prigioniera avvilita, una reclusa che aspettava il giorno della sua libertà

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Avevo contato i giorni come una prigioniera avvilita, una reclusa che aspettava il giorno della sua libertà. La fine della sua schiavitù immaginaria.
Piegata su me stessa, su i miei grossi libri d'arte e i minuziosi progetti di design.

Tra bustine di tè e matite spezzate;
ero sicura di stare impazzendo, di star perdendo la retta via come Dante Alighieri.

Pertanto, completamente deturpata e sofferente. Rinsecchita come una pianta in assenza di acqua, della fotosintesi clorofilliana, del sole e dell'ossigeno.

Erano solamente passati tre giorni e mezzo, eppure mi mancava da matti.

Volevo così tanto vederlo che avevo anche incominciato a sognarlo la notte.
Un urgente desiderio di sentirlo e di toccarlo.
Tuttavia, la linea non prendeva e il suo numero era irraggiungibile. I messaggi non andavano e così anche gli audio. Mi ero dovuta rassegnare a malincuore con un groppo in gola. Una frustrazione incolmabile.

Intollerabile.

Sospirai, chiudendo i libri di storia.

Ormai si era fatta notte e il cielo era diventato nero e impenetrabile. Non mi restava altro che andare a dormire e sprofondare nella mia insoddisfazione.

E io che avevo sperato di vederlo...

-Managgia a te! Jace!-infierii tra di me, stizzita. Succube.
Soggetta alle sensazioni, i sintomi che venivano con la mancanza di una persona che si amava. La sindrome della passione.

Buttai le cartacce, riordinando la scrivania, e poi mi avviai in bagno per lavare i denti.
Una volta lavata e meno nervosa, mi infilai sotto le coperte.
Le luci spente e le stelle fuori dalle grandi finestre vetrate.

Contrariamente ai rimproveri di mio padre, lasciai le porte-finestre aperte sul balcone della mia stanza, non troppo, ma abbastanza per far entrare un po' d'aria fresca; rannicchiata su me stessa, con gli occhi socchiusi e le coperte fin sopra le orecchie.

E così restai in silenzio, fino a quando il sonno non prese posizione, toccandomi le ciglia e poi le palpebre. Innescando i miei pensieri e spegnendo la mente in subbuglio.

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[ 1 Ora dopo ]
||1:30AM||

Verso l'una e mezza, la mia quiete venne interrotta da un rumore sordo. Un tonfo smorzato proveniente dall'esterno.
Aprii gli occhi stanchi, in cerca della fonte di quel baccano, cercando di adattare la vista all'oscurità della mia stanza. Ancora rimbambita e intontita a causa del sonno.
Doveva sicuramente provenire dall'esterno. Forse era stato un uccello maldestro o il vento contro le persiane...

BE HONEST (In Revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora