[CAPITOLO 43]

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NEVERLAND VALLEY RANCH

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NEVERLAND VALLEY RANCH

3 gennaio 1992


Michael

«Se sapessi come ti amo, oh Michael, amami.
Fammi tua. Adesso.» disse una voce dolce, piena di amore.
Sentivo delle mani, erano così delicate e profumavano di buono.
«Chi sei?» domandai nel sonno mentre la mano scendeva verso il petto.
Sospirai
«Ti prego dimmi chi sei.» insistei.
Ma quella voce ridacchiò.
E sentii che si stava avvicinando al mio orecchio.
«Devi indovinare bimbo.» disse con tono erotico facendo scendere la mano sempre più giù.
Era un tocco così sensuale e piacevole.
Oh si ...
«Brooke, sei tu?» domandai tra i sospiri a quel punto la mano si fermò, e subito dopo aprii gli occhi.
Spalancai vedendo a me la persona che mi aveva scombussolato la vita.
Sandie.
Aveva le lacrime agli occhi, e il viso totalmente gonfio.
Aveva un occhio nero e graffi sulla fronte, e il segno di una mano sulla guancia.
«Perché? Perché mi hai abbandonato?» domandò con voce piena di dolore.
Ma poi a quel punto, comparì dietro di lei una figura totalmente nera, l'unica cosa che vedevo, era la lama di un coltello.
Mi spaventai.
Fino a che, non la colpì in pieno petto.
Il sangue usciva, lei urlava dal dolore.
E anche io urlavo.
Urlavo perché l'avevo abbandonata.

Mi svegliai di soprassalto, ero completamente sudato e con il cuore che batteva forte.
Misi la mano su di esso, cercando di calmare il fiato.
Guardai l'orario ed erano le 4.36 del mattino.
Era un incubo.
Solo un incubo.
Mi rannicchiai sulle ginocchia e strinsi i denti.
Ero completamente spaventato.
Che brutto sogno.
Era iniziato così bene fino a trasformarsi in un incubo.
Era la seconda notte di seguito che sognavo Sandie.
Di nuovo.
Non voleva saperne di andare via dalla mia mente.
Perché?
Perché Sandie? Perché continui a perseguitarmi anche se non ti vedo?
Forse, si trattava di un segnale.
Ma quale?
Ero troppo cieco per capire.
In quel momento il mio instinto mi suggeriva di telefonarla.
Di sentire la sua dolce voce.
Di parlare con lei.
Di sapere che stava bene.
Presi immedianente la cornetta del telefono, composi il suo numero frettolosamente aspettando uno, due, tre, quattro squilli.
«Ciao! Qui è Sandie Vrachnos! Ora non sono disponibile, lasciate un mess-» attaccai.
Appoggiai i gomiti sulle ginocchia congiungendo le mani con un pugno poggiando sulla mia fronte.
Feci dei respiri profondi, cercando di calmarmi.
Ci riuscii.
Più o meno.
Così decisi di riaddormentarmi.
Ma mi giravo e rigiravo in continuazione.
Quell'incubo mi aveva tolto il sonno.
Così mi alzai dal letto, presi una vestaglia calda e uscii fuori al balcone.
Respirando aria.
Aria del nuovo anno.
1992.
Incominciato senza una persona che Dio mio, Dio mio non riesco ad altro che pensare a lei. Guardai le stelle, e c'era una in particolare più piccola delle altre.
Oh Sandie.
Scoppiai a piangere.
Non riuscii a trattenere.
«Ti prego! Dimmi che stai bene! Ti prego!» esclamai disperato.
«Perdonami se ti ho fatto star male, perdonami se non sono un ragazzo perfetto, perdonami se ti ho concesso di farti allontanare dalla mia vita! Perdonami se sono una merda! Ma devo sapere se tu stai bene cazzo! Tu stai bene!? Ti prego dimmi di sì! Non puoi dirmi di no! Ti prego! Ti prego Sandie!» ero totalmente impazzito, lo ero, era lei che mi faceva diventare pazzo.
Un pazzo disperato.
Confuso a livelli altissimi.
«Ora lo so che tu mi odi! E devi odiarmi! Fai bene a farlo! Perché sono un fottuto egoista! Ma sappi che l'ho fatto per te! Se ti fosse successo qualcosa a causa della mia fama, non me lo sarei mai perdonato! Ma invece, ho capito che senza di te la mia vita è una merda! Cazzo Sandie! Ho fatto l'errore più grande della mia vita buttarti via! Io ti voglio qui! Ti voglio accanto a me! Sentire la tua voce dicendomi che andrà tutto bene, che in ogni momento di sconforto potremo superarlo insieme! Vorrei che ti mi dicessi che mi prenderai cura di me! Vorrei sentire ancora il tuo grande amore verso i miei confronti! Voglio sentirmi amato! Si! Amato da te! Perché ho capito che la mia vita è vuota senza di te! È vuota! È vuota!» urlai disperatamente come un pazzo, e le ultime parole furono il colpo di grazia.
Mi sentivo un folle gridare queste parole per il vuoto guardando il cielo.
Mi accasciai per terra, perché infondo, era quello che volevo.
Volevo riavere lei.
A tutti i costi.
Ma era troppo tardi.
Stava continuando a vivere la sua vita in grazia di Dio, meritandosela con tutto il cuore.
Lei per me era tutto.
Colei che l'unica a capire le mie incertezze.
Il mio sconforto.
L'unica che mi trattava come un essere umano e non come una star.
L'unica a darmi così tanto affetto.
Un affetto particolare mai avuto nella mia vita.
Mi rendeva la vita piena di colore.
Lei, era l'arcobaleno.
Lei, era la mia medicina.
Lei, era la mia cura.
Era semplicemente il sole che illuminava le mie giornate.
E da quando la buttai via, esse sono divenute grigie e tristi.
Senza un raggio di sole.
Quello che volevo in quel momento, era lei.
Solamente lei.
Ma avevo fatto la più grande stronzata della mia vita.
Ed era giusto pagare le conseguenze.
Più dicevo di andare avanti con la vita, più lei era sempre nei miei pensieri.
Anche se andavo avanti, lei era una un pensiero permanente nella mente.
Perché?
Perché lei era speciale.
Semplicemente unica.
L'unica nota positiva di tutta questa situazione, era il tour e i vari impegni che avevo nei mesi successivi.
Erano l'unica speranza di dimenticare Sandie una volta per tutte.
Anche se odiavo i tour, mi permettevano di concentrare solamente su di essi e di nessun altro.
La speranza era l'ultima a morire.
Anche se sapevo, nel mio inconscio, che non l'avrei dimenticata comunque.
«"Lei sapeva baciarmi anche con gli occhi." Giusto Sandie?» oh certo che sì Sandie.
In realtà mi avevi già baciato.
Ed io non me ne ero accorto.
Mi avevi baciato al nostro primo incontro.
Al nostro primo sguardo.
Fu lì che avvenne.
I tuoi occhi mi hanno baciato.
E credo che nessun'altra donna saprebbe baciare con gli occhi, come era capace Sandie.





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