Avevo pianificato tutto ciò che è successo. Giuro.
Ho deciso e ho capito che non posso continuare a farlo. A illuderlo. Normalmente me ne sarei fregato, di ciò che l'altra persona avrebbe potuto provare, ma con Louis è diverso.
Non mi piace. Non lo amo. Ho sbagliato a interpretare me stesso. Io avevo solo bisogno di una distrazione dai miei pensieri. E basta.
Dopo aver chiamato Liam e aver cercato di spiegargli il motivo delle mie azioni, e aver ascoltato i suoi sospiri esasperati, ma non mi importa, esco di nuovo. Non posso stare qui, a guardare il divano su cui l'ho baciato, il muro dove le nostre spinte passionali si sono consumate, la porta da cui se n'è andato dopo.
Giro per Londra sotto la pioggia senza ombrello e mi sento in uno di quei video musicali depressi e faccio pena. Sto per mettermi a cantare un testo sdolcinato e patetico quando sento una voce dietro di me, la stessa voce che mi fa battere il cuore a mille volte al secondo e la stessa che temevo di sentire. Louis.
Mi giro di scatto e me lo ritrovo a due centimetri dalla faccia e indietreggio. Lui sembra ferito ma si allontana e mi chiede "Ti ho visto a Piccadilly Circus e ti ho seguito, puoi parlarmi, per favore?" con una voce così dolce e tenera che non so cosa mi fermi dal baciarlo all'istante e dallo stringerlo forte. Io scuoto la testa e faccio per andarmene, ma lui mi prende per un braccio, e nonostante entrambi abbiamo una giacca e quindi le nostre pelli non si sfiorino, sento un brivido. "Harreh" dice solamente. Io chiudo gli occhi, perché tanto lo so che se lo guardo negli occhi poi va tutto a puttane. "Harreh, ti prego" ripete, appoggiando una mano sul mio viso, ma io mi scosto immediatamente. Non posso perdere il controllo, non di nuovo. "Harreh, che cosa c'é?" mi chiede, dolcemente. E' pazzesco come io stia facendo di tutto per allontanarlo ma lui sembra solo più intenzionato a starmi vicino. Gli devo una spiegazione. Almeno a lui.
"Prometti che non giudicherai le mie parole?" mormoro, aprendo gli occhi ma ostinandomi a tenere lo sguardo in basso. Lui annuisce e insieme ci spostiamo al coperto, sotto un portico di un bar.
"Io ho una sorella, Gemma. Ha tre anni più di me. Quando eravamo piccoli eravamo molto uniti. Fin troppo. Vedi, io avevo solo 6 anni ma Gemma era tutto per me. I miei genitori sono separati e mio padre non sapeva nulla di tutto ciò. Mia mamma invece era preoccupata delle solite cose, se la prendevo così tanto come idolo ed esempio non avrei potuto sviluppare le mie capacità a fondo, eccetera. Mi portò da uno psicologo ed egli disse la frase che distrusse la mia vita: 'Il piccolo Harry è innamorato di Gemma'. Ovviamente era un amore infantile, ma era comunque amore. Volevo a Gemma tutto il bene che riuscivo a provare e non lo vedevamo come un errore, ma mia madre rimase sconvolta. Mandò Gemma a vivere con mio padre a New York e io ne rimasi traumatizzato. Era come se mi avessero tolto l'aria, Gemma era una presenza essenziale nella mia vita. Diventai apatico, freddo, indifferente. La morte del mio patrigno, a cui vedevo come un padre, fu il colpo di grazia. Non parlavo, era come se non provassi niente. Anzi, io davvero non provavo niente. Per lo meno, non amore. Mia madre mi portò nuovamente dallo psicologo e io cercai di oppormi, ma avevo solo dieci anni. Lo psicologo mi definì 'filofobico', pauroso di amare. Mia madre non rimase sorpresa come la prima volta, ma decise comunque di chiamare di nuovo Gemma a vivere con noi. Ovviamente, tutto ciò che 'provavo' per lei era scomparso, lasciando posto a un amore fraterno, a un amore normale. Gemma non era sconvolta o schifata, anzi, era intenerita. Ora ero io però a evitarla, o meglio, a evitare tutti. A soli undici anni ero diventato indifferente al mondo. Mia madre compì l'ultima decisione di questo capitolo della mia vita: mandò me a vivere con mio padre. Mio padre è un uomo buono, ma abbastanza incapace con i bambini. Crebbi del tutto da solo, facevo quello che volevo e fumai la mia prima sigaretta a tredici anni. A quindici anni avevo già dei tatuaggi e a sedici mi drogavo una volta al mese. Non ero dipendente da nessuna di queste cose, ero dipendente dalla liberà che sentivo quando le facevo. Abituato com'ero al controllo di mia madre, era un Paradiso. A vent'anni andai a vivere da solo, ormai avevo smesso da tempo di fare tutte quelle cazzate da giovane. E ora eccomi qui. Prima di venire qui a Londra, però, mia madre mi fece promettere di non amare più nessun altro. E ho intenzione di mantenere quella promessa, non per mia madre ma per me stesso: non voglio mai più soffrire come ho sofferto dopo Gemma."
Prendo fiato mentre Louis mi guarda allibito. Dopo alcuni secondi, è lui a parlare: "Quindi-quindi tu non vuoi amare mai più? E solo perché hai paura di soffrire?" chiede, senza parole. Io scuoto la testa. "Io...credevo fosse solo per quello, ma quando sei arrivato tu...ho-ho capito che ho molta più paura di far soffrire te che me" butto fuori d'un fiato, arrossendo. Lui sorride lievemente. "Harreh, è normale aver paura di soffrire ed è normale aver paura di far soffrire la persona che si-ti-" non sa come continuare "hai capito. Ma non puoi vivere senza rischiare tutto questo, Harreh. Che vita sarebbe, cazzo? Devi essere felice." Io scuoto la testa ridendo amareggiato. "Non viviamo in una fottuta favola, Lou. Non è così che funziona" dico, e me ne vado, lasciando quel ragazzo che mi ha stravolto la vita sotto un portico di un bar di Londra, con più gocce negli occhi che nel cielo sopra di lui.

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FanfictionSia Louis che Harry sono fidanzati con una ragazza. Ma basterà a tenerli lontani? L:27 H:25 FF//AU//SMUT