CAPITOLO 12 - Bugia

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Prima di iniziare voglio ringraziare tutte voi, le mie lettrici che già con così pochi capitoli hanno regalato a questo libro le prime mille letture. Grazie della pazienza, della gentilezza, della forza e gioia che mi donate e che mi spinge a scrivere di più e, nel limite delle mie possibilità, meglio. Grazie ancora con tutto il cuore! Ora smetto così potete leggere :)

L'aria fresca di inizio ottobre mi sferza la faccia come lo schiaffo del padre che non ho mai avuto. Quest'anno sembra che l'inverno sia arrivato in anticipo, che abbia scavalcato l'autunno, soppiantandolo e ridendo di coloro che ha sorpreso.
Me compreso.
Temo di essermi fidato troppo dell'idea che si sa della California e che sia caduto anch'io nel cliché dell'estate perenne. Ma non ho pensato a quanto l'oceano potesse essere potente e a che massa d'aria tale potesse spostare.
Guardo le cime degli alberi oscillare. Anche loro sembrano tremare per il freddo improvviso ed inatteso.
E quindi solita routine: mi alzo il bavero della giacca in pelle cercando di nascondere il collo dentro le spalle e mi proteggo le mani dentro le tasche cercando di scaldarle con il calore del mio corpo.
E quindi solita strada. Esco dal campus, un qualcosa che più faccio e più sento darmi giovamento. Solita farmacia sulla Quinta, solito alimentari, solito semaforo che sembra vedermi e ridere di me quando mi accosto e questo puntualmente fa scattare il rosso.
Io altrettanto puntualmente mi guardo attorno chiedendomi come cazzo sono finito in questo posto. Accanto a me, pronta ad attraversare sulle strisce pedonali, un'anziana attende il suo turno appoggiata con tutto il suo corpo ad un al carrello della spesa stracolmo. Intravedo dei maccheroni al formaggio surgelati, del burro di arachidi, qualche bibita e quelli che sembrano essere i pannoloni per l'incontinenza.
Cazzo quanto è brutta la vecchiaia. Certo non che la mia giovinezza me la stia vivendo bene ma se non altro non mi piscio addosso. Oddio una volta mi è capitato ma, a mia discolpa, ero tanto ubriaco da avere le allucinazioni e da non riconoscere che la macchina di uno di quelli che una volta chiamavo amico non era il cesso di un locale.
Cacchio che ridere.
Certo, in quel momento, i miei "amici" non hanno avuto pietà di me e mi hanno abbandonato su quel marciapiede all'angolo tra la 73esima e Madison. Ma all'epoca funzionava così: gli amici ce l'hai finché non ti metti nei guai, finché puoi sfoggiare vestiti costosi, auto di lusso ed uscire ogni sera in un locale alla moda mentre sgomiti tra pettegolezzi, maldicenze ed anche un pizzico di droga per rimanere sulla cresta dell'onda almeno finche l'onda non si va a schiantare contro uno scoglio. È a quel punto, quando sì, ti farebbe comodo un amico, che vieni abbandonato per sempre su quel marciapiede mentre cerchi di raccattare i tuoi stessi pezzi che sono diventati il loro nuovo passatempo, il loro nuovo gioco almeno finché non si stancano o i pezzi stessi non si consumino.
Intanto che ricordavo il semaforo è diventato verde e l'anziana, con uno scatto degno di un centro metrista, ha già superato la carreggiata scomparendo dietro l'angolo.
Solite strade, solite macchine, solito pub. Dentro insolito buio che avvolge il solito barista a cui ovviamente chiedo: « Il solito! »
Di tutta risposta mi guarda silenzioso con la sua solita spocchia paternalistica.
« Lo sai qual è una delle definizioni di pazzia » mi chiede.
Perché cazzo ogni volta che vengo deve fare un sermone anziché servirmi da bere?
« No non lo so e francamente non... »
« Non sono certo uno psicologo, ma so che pazzia è ripetere ogni gesto, ogni pensiero, ogni cosa fino alla noia anzi fino al vomito ed aspettarsi che risultato finale possa cambiare »
« Benissimo! Bravo! Volevi dirlo e l'hai detto. Ora per favore potresti servirmi da bere? »
« Aiden... sei il primo ventunenne che così giovane ha già un solito! » afferma saccente servendomi finalmente il mio Jack Daniel's.
« Ah sì? » chiedo svogliatamente.
« Sì! si! Te lo giuro! » annuncio è con più enfasi del necessario. Ma poi scivola come un serpente e continua sottovoce a due centimetri dal naso « e mi chiedo cosa possa spingere un ragazzino della tua età in un posto come questo. »
« Ci stai provando con me barista? »
Si allontana, giusto di qualche centimetro, quanto basta per mettermi a fuoco prima di inclinare la testa da un lato e scoppiare in una sonora risata.
« Tu... tu sei davvero in gamba ragazzo mio! Davvero! Davvero in gamba! » esclama ridendo riempiendosi un boccale di birra « E quando dico in gamba intendo dire che... mi dispiace per te! » si fa tutto d'un tratto serio. « Perché vedi? Hai la scorza di uno che ne ha viste tante e per tante intendo tante cose brutte, forse anche fatto cose che un ventunenne avrebbe paura a sognare. »
« Ah davvero... mi stai lusingando barista! »
« La mia non voleva essere una lusinga quanto piuttosto biasimo nei confronti della tua vita e, tra parentesi, il mio nome è Fergus...»
« Tu? Tu biasimi... me? Per caso hai dato un'occhiata a questo posto di recente? »
« OH beh. .. per me stare in un posto così è un obbligo ma tu... »
« Cosa ne vuoi sapere più della mia vita! » grido rovesciando il mio drink.
« Allora raccontami cosa ti affligge! Perché hai la faccia di uno che entrato in quel vortice, quello che sfiora la pazzia e che ti spinge a cercare ancora ed ancora per poi trovare conforto in qualcosa che ti allontana ancora più dalla soluzione »
« Sai? È ironico. Ero uscito proprio con l'intenzione di parlare con qualcuno... ma cazzo! Ogni volta che vengo qui tu mi fai la paternale come se fossi davvero mio padre e questa cosa non solo mi spiazza ma mi fa anche incazzare perché tu non sai niente di me e io non so niente di te! Quindi per quale cazzo di motivo dovrei raccontarti di me? Fai quello per cui ti pago e servimi da bere! »
Storce la bocca colpito dal mio crescente tono di voce che ha superato le grida e sfociato nel becero sbraitare.
« Merda Aiden... se tu fossi stato il figlio di mio padre a quest'ora avresti già i segni nelle cinghiate sulla schiena, come io ne ho avute in più occasioni e anche in casi in cui chi davvero meritava una punizione era lui. » servendosi svogliatamente e brutalmente il mio secondo Jack daniel's.
« Che cosa stai facendo Fergus? »
« Sto facendo ciò per cui mi paghi: ti sto servendo da bere come mi hai chiesto! »
« No! Non intendo questo. Intendo dire: perché mi racconti di tuo padre? »
« Mi è parso che il problema fosse che non mi conosci abbastanza per fidarti di me. »
« Ma perché ci tieni tanto? Io davvero non capisco! Dovresti essere solo interessato ai soldi che ti do prima di uscire da qui!»
« Perché tu in fondo me la ricordi ricordi, con le dovute differenze ovvio. »
« Ti ricordo chi? »
Lo vedo voltarsi ed appoggiarsi alla spillatrice di birra. Le spalle chine, con le mani ad afferrare le maniglie
« Sai che non ho fatto questo lavoro per tutta la vita? »
« Non ti offendere Fergus... ma da come mi servi da bere non ho fatica a crederlo! » immagino un sorriso sul suo viso che non riesco a vedere. Solo le sue tozze spalle e la nuca praticamente attaccata ad esse a causa della la totale assenza di collo.
« È da quando ho dodici anni che lavoro. Ho fatto di tutto: da raccogliere i capelli in un barbiere, al consegnare i giornali, dal vendere pane a vendere sostanze di cui non vado molto fiero. Ma non potevo fare altrimenti. Come dicevo è da quando ho dodici anni che lavoro ovvero da quando sono scappato dall'Irlanda e dalla mia famiglia. Mi sono imbarcato e dimenticati. Ma non è questo il punto. Per un breve periodo della mia vita, circa trenta anni fa, ho insegnato a molti stupidi sedicenni di Boston a guidare una macchina. »
« Tu? In una scuola guida? »
« Sì e devo dire che tra tutti i lavori che ho fatto è quello che forse mi è piaciuto di più. Fino ad un certo punto. Comunque, per farla breve, c'era un ragazzo. Si chiamava Jack. Un bravo ragazzo, mai un problema, uno dei più bravi e più svegli a capire ed imparare. Lo sapevo nonostante non fossi io il suo istruttore. Arrivato il giorno dell'esame pratico di guida ero io il suo esaminatore però. Mezz'ora di guida. Neppure una sbavatura, neanche il minimo dubbio, una minima imprecisione. Neppure nel parcheggio, che tutti sbagliavano, davvero da manuale. Arrivati all'ultimo incrocio solo una piccola svista. Uno stop nascosto da un ramo. Non del tutto solo un po'. Lui non lo vide, o forse sì, ma sapeva che nessun esaminatore lo avrebbe mai bocciato per quella mancanza di attesa all'incrocio. Passò e si fermò davanti alla scuola guida. Ero sempre stato un esaminstore severo, giustamente severo. Quel giorno però le attenuanti c'erano tutte e conoscendo il progresso di quel ragazzo la patente gliela diedi lo stesso. »
« Beh! Da come stavi descrivendo pensavo ad un incidente quel giorno! »
Un profondo e rumoroso a respiro sento riempirgli i polmoni.
« No. Non quel giorno. Cerci due mesi dopo. Stesso ragazzo, stesso stop, stesso errore. Questa volta però in macchina non era solo. Con lui c'era anche mia figlia. »
Non si è mosso. Non si è spostato di un centimetro. Sempre appoggiato, chino sulla spillatrice di birra come incatenato a quel grosso macchinario, a quell'enorme peso.
Ed ora non so che dire perché qualunque cosa dicessi sarebbe fuori luogo e niente avrebbe un sentore lontano dall'ipocrisia.
« Fergus... credo sia inutile dirti qualunque cosa che non ti abbiano già detto. Ti avranno sicuramente rincuorato, detto che la colpa non è stata tua, che non avresti mai potuto immaginare una tale coincidenza, una tale sfortuna e sono certo che, in ogni tipo di universo alternativo, in nessun modo un tuo comportamento diverso avrebbe potuto cambiare il risultato. »
« Per questo me la ricordi. Come te faceva di tutto per nascondere la sua sensibilità. Ma alla fine è come cercare di fermare un fiume con le mani. Perfino in una bugia come quella che mi stai dicendo. »

© Giulio Cerruti (The_last_romantic)

Angolo dell'autore:

Lasciate anche solo una stella per coronare i miei sforzi o, se vi va, commentate consigliandomi costruttivamente come dovrebbe continuare o eventuali modifiche in modo da potervi offrire scritti sempre migliori. Grazie infinite a tutti!

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