CAPITOLO 26 - Rissa

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Oh no.
Cazzo. Non di nuovo.
Perché sono ancora qui? Di nuovo immerso in quest'acqua, di nuovo immerso in quei ricordi che come petrolio mi si attaccano addosso. Che come la colla impediscono i movimenti, impediscono la vista, l'udito, il tatto ed ogni altro senso che abbia un senso provare.
Di nuovo in quel giorno, nell'acqua con Cassie.
Ne stiamo uscendo fuori. La guardo.
Mi sopravanza di qualche metro ed io benedico ogni secondo in cui quel corpo si imprime nei miei occhi. Le sue forme, i suoi movimenti, quel senso che cercavo. Quel poco che era rimasto di me , quel poco che mi è rimasto di lei.
Corre verso la riva. Si volta.
Ed io che penso che in fondo rimanere invischiati in certi sogni non è poi così male. Guardarla sorridere e credere che la notte non sia più tale.
Si ferma. Faccio lo stesso. Immobili con l'acqua poco sotto le ginocchia.
Torna indietro verso di me. Si avvicina.
Poi le sue labbra tra le mie. Morbide, carnose, più delle mie, come nessuna.
Ma c'è qualcosa. Si ferma di tanto in tanto per prendere aria, per respirare.
Forse perché il naso arricciato è troppo occupato a cercare di tenere negi occhi lacrime che non mi aspettavo.
Il suo viso tra le mie mani mentre le chiedo che cosa succede.
Mi risponde lapidaria. Solo due parole che avevo dimenticato.
Mi dispiace.
È come uno scemo perdo tempo a pensare ad ogni possibile sfumatura e sfaccettatura di quelle due semplicissime parole.
E continua. Continua a ripeterle, come un mantra, talmente tante volte da far loro perdere di significato.
Perdo ancora tempo ad interpretarle come una stupida volontà di prendersi la colpa di ciò che poi è accaduto.
Finalmente le rispondo che non è colpa sua, che le scelte dei genitori non dovrebbero ma spesso ricadono sui figli. Le dico che non è la fine del mondo. Che noi abbiamo mezzi per rimanere in contatto che fino a pochi anni fa non esistevano. Che soli non saremo mai.
Non risponde. Almeno non ho parole. Scuote solo la testa come da divincolarsi da tutta quella situazione, da tutte quelle parole. Comprese le mie.
E piange, piange ancora. E mi sembra sia lei che stia facendo crescere la marea. Trema. Per il freddo o forse perché qualcosa dentro di lei sta cercando il modo migliore per essere detto.
Usciamo dal mare e dalle sue lacrime. Le cingo spalle con un telo cercando di togliere via l'acqua da dosso e la tristezza dal cuore.
Riesco solo nel primo intento.
<< Molto, molto bene! >>
E la notte si fa giorno, implacabilmente, asciugandomi come chi si sveglia da un sonno durato anni. Ma qui non c'è un genitore amorevole che con gentilezza ti intima di venire a fare colazione perché è pronta in tavola.
<< L'ha fatto di nuovo signor Cobb. Mi chiedo se sia un abitudine conclamata soltanto durante le mie ora o se anche i miei colleghi hanno il piacere di sentirla russare. >>
No.
Qui c'è solo uno stronzo di professore sadico ed ignorante che mi sovrasta a braccia incrociate mentre, all'estremità opposta, batte nervosamente la punta del piede destro a terra.
<< No professore. Questa è una reazione che solo lei riesce a stimolare in me! >>
E pur sapendo di aver torto, non riesco a chiedergli scusa. Non riesco a sottomettermi una persona talmente piccola che, sono certo, se solo sapesse chi sono sarebbe molto più accomodante.
<< Molto bene! Al termine della lezione rimarrà qui e sentiremo anche il rettore cosa avrà da dirle! >>
<< Non chiedo altro! >>
E credo sia arrivato il momento di vedere se questo è vero.
Attendo con pazienza che la lezione termini senza che essa riesca minimamente ad intaccare il ricordo del sogno appena fatto. Trenta lunghi minuti in cui non faccio altro che chiedermi sei stato solo frutto della mia invenzione che avevo rimosso col tempo.
Non mi accordo comune pure che anche l'ultimo studente è uscito dalla classe lasciandomi da solo al centro di questa aula semicircolare deserta in compagnia del professore.
<< Signor Cobb! Voorei dirle due parole! >>
È arrivata l'ora di mettere le cose in chiaro. Metto il mio pesante manuale di macroeconomia ben sistemato in fondo allo zaino che tengo saldamente in mano dalla cinghia apicale.
Dieci metri.
<< Vede signor Cobb. Lei non può permettersi di rispondere così ad un professore di questa università... >>
Otto metri.
<< E non essendo la prima volta che accade... >>
Sei metri.
<< Sono stato costretto a chiamare il rettore in modo da pattuire con lui...  >>
Tre metri.
<< La modalità migliore con cui muoversi nei suoi confronti. >>
Uno.
Prima i suoi occhiali, infine tutto il corpo.
Non avrei mai pensato che uno zaino potesse essere un'arma così efficace.  Crolla a terra con un fragore amplificato dall'ampiezza dell'aula.
Tre centimetri. Tanto separa la mia bocca dal suo orecchio in modo che le mie parole seppur bisbigliate gli possano rimanere impresse.
<< Ora tu mi ascolti bene, pezzo di merda. Te lo ripeterò solo una volta per questo sarò estremamente chiaro. Io non mi chiamo Cobb. Io mi chiamo Aiden Dickerson e sono il fottuto proprietario di questo letamaio e di tutto ciò che contiene compreso il tuo schifoso culo che siede di ogni giorno dietro quello schifo di cattedra. E scommetto che ti serve questo lavoro che fa sentire una nullità con te molto potente, vero? >>
Guaisce qualcosa mentre il sangue che col naso il gilet ormai usurato.
<< Lo prenderò per un sì. Quindi d'ora in poi le cose qui cambieranno. E se pensi che dirlo al rettore possa avere qualche effetto sappi che pure lui è una nullità come te e che tiene un suo misero stipendio ma che differenza tua lui sa già tutto. E se non ti ha detto nulla fino adesso è soltanto perché anche lui è un cagnolino ben ammaestrato che fa soltanto ciò che dico io. Ed ora dimmi: se io andassi da lui e gli dicessi che tu non sei in grado di svolgere i tuoi compiti e che se non ti licenzia subito da direttore qual è verrà degradato a bidello, pensi davvero che possa mettere in pericolo il suo posto di lavoro per salvare un professorucolo da quattro soldi come te? >>
Altro guaito.
<< Lo prenderò per un no. Quindi siamo bene intesi. Mi dispiace averti destato dal tuo sonno così brutalmente ma era l'unico modo per far si che tu non mi svegliassi più dal mio, schifoso pezzo di merda! >>
Lo metto in piedi tirandolo su per il bavero della camicia sgualcita ed ora anche macchiata di rosso.
Raccatto la mia arma da terra e guadagno l'uscita.
<< Allora ci vediamo giovedì professore! >>

© Giulio Cerruti (The_last_romantic)

Angolo dell'autore:

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