CAPITOLO 24 - Ritorno

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Queste notti faccio un sogno ricorrente.
Sono in una grande sala circolare. Attorno a me porte rosse aperte in ogni direzione. Non appena prendo sonno mi sveglio al centro di essa.
Apro gli occhi. Guardo di fronte a me. La prima porta uguale a tutte le altre, rossa, lucida, con una boiserie doppia. Come per una folata di vento si chiude, sbattendo rumorosamente, nella sua stessa eco che rimbomba tra le pareti.
Allora guardo a sinistra. Una porta aperta identica a quella che avevo di fronte e che, nello stesso modo, si chiude sbattendo in fracasso infernale.
E poi lo stesso alla mia destra.
Porta rossa, sguardo, sbam.
Ed ogni porta così, via via, scorrendole tutte, una dopo l'altra, girando su me stesso in senso antiorario.
Ma non è solo questo.
Le stesse su cui un secondo prima  il mio sguardo si era posato, ora sono di nuovo aperte... e poi di nuovo chiuse, in quell'istante in cui penso che, sì, posso prendere quella strada, sì, posso varcare quella soglia che, unica, rimane aperta. Rimango così a guardarmi in giro mentre l'eco si sommano, una alle altre. E quando comprendo che non c'è soluzione, io lì immobile in quel salone, chiudo gli occhi e mi risveglio in questo mondo che, in fin dei conti, non è poi così diverso.
Anch'io, oggi.
Anche adesso, in macchina con Francesca, sfrecciando verso nord, su una strada per la quale stavolta non ho bisogno del navigatore. Anche questa, pensavo, l'unica porta rimasta aperta, l'unica soluzione che mi è venuta in mente per riuscire a parlare, per riuscire a capire. Adesso.
So che non dovrei varcare questa soglia, che quel luogo dovrebbe essere solo mio e di Mair, che è l'unico posto sulla faccia della terra che in qualche modo è davvero mio, è davvero nostro. Ma è anche l'unico luogo che nessuno conosce, dove occhi e orecchie che non siano i nostri non esistono, dove a nessuno verrebbe mai in mente di cercarmi.
Tocco le cinquanta miglia orarie, cercando distanza tra noi e quella vecchia macchina che ho dietro da quando siamo usciti dal paese.
E, nonostante sappia benissimo nessuno ci stia seguendo, preferisco non lasciare nulla di intentato, nessun tarlo che possa rovinarmi questo momento che, seppur con queste modalità, sono felice di avere con un paio di orecchie in più che mi ascoltano, le uniche poi che sanno tutta la verità fino in fondo.
L'auto dietro di noi svolta a destra una cinquantina di metri prima della nostra uscita.
È chiaro che non era nessuno. Ma questi giorni sento qualcosa avvicinarsi, la sento guardarmi e respirarmi sul collo.
"Welcome to the Jungle" dei Guns n' Roses attacca dalla radio proprio quando, a nostra volta, svoltiamo a destra per infilarci dentro la fitta foresta.
« Dov'è che stiamo andando? »
Bella domanda Fran. Davvero una bella domanda.
Forse la più ricorrente di tutte in questo periodo. E non so cosa rispondere.
Svicolo il discorso parlando un po' di altri posti da cui proveniamo non volendo ammettere a me stesso che sto sbagliando, che lì non dovrei portarci lei nonostante l'altra non lo saprà mai.
Non è etico, lo so. Né tanto meno giusto o corretto. Questa sì, è un qualcosa che avrebbe fatto il vecchio Aiden.
L'unica porta rossa che è rimasta aperta. Mi dico, mi giustifico, mi perdono.
Parla ancora di qualcosa che non mi interessa quando, distratto, percorro le ultime curve prima di imboccare la stradina sterrata.
Nulla delle sue parole. Solo un rumore di plastica stropicciata.
Gioca con un grosso sacchetto. Me lo agita vicino all'orecchio. All'interno di esso almeno mezzo chilo di marshmallow rosa, la maggior parte coperti dal disegno di un grosso pupazzo a forma di caramella con gli occhi più inquietanti mai visti.
« Hai visto cosa ho portato? »
« Bravissima Fran. Hai fatto bene. »
« Non sembri così entusiasta. »
« Lo sono assolutamente. Sono felice di stare qui... con te. Dico davvero. Sono solo sovrappensiero per tutto questo casino... »
« Insieme non dobbiamo preoccuparci di nulla! »
Vorrei solo fosse vero.
Parcheggio l'auto in rigoroso silenzio, calcando i segni degli pneumatici che ho lasciato nella radura una settimana fa.
« Che posto è? » mi chiede scendendo dall'auto.
« Non avere fretta! Adesso ti spiego tutto! Nel bagagliaio ci sono un po' di cose che ho portato... le vuoi prendere per favore? » le chiedo infilandomi in auto e spegnendo il motore rimasto acceso.
Un istante ed è già sul retro con due borse in mano: una più grande nera ed una più piccola. Un istante e la mia vista si annebbia. Penso di stare urlando di lasciare quella piccola lì dove l'ha trovata. Credo di aver detto così, almeno a giudicare dal suo viso, dai suoi occhi spalancati che mi guardano e dal suo gesto meticoloso e ponderato con cui, lentamente, rimette la piccola borsetta di pelle all'interno del portabagagli.
« Ok! Ok! Non ti scaldare! Perdonami! Avevo capito di prendere i bagagli! »
Troppe spiegazioni da dare ad una persona che ne ha già subite e dovute digerire tante... anzi troppe.
« Andiamo dai. » sorvolo facendole strada verso la baita.

© Giulio Cerruti (The_last_romantic)

Angolo dell'autore:

Lasciate anche solo una stella per coronare i miei sforzi o, se vi va, commentate consigliandomi costruttivamente come dovrebbe continuare o eventuali modifiche in modo da potervi offrire scritti sempre migliori. Grazie infinite a tutti!

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