CAPITOLO 5 - Profilo basso

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Non voglio pensarci.
Non voglio assolutamente pensarci adesso. Ma cazzo, dico io, possibile? Con quante ragazze? Quanti milioni di possibilità? E ora? Che cavolo devo fare? Vorrei evitare di sputtanarmi così, subito, senza neppure averci provato.
E se c'è una cosa che ho imparato nell'alta società di New York è che, nel momento in cui hai un punto debole,  tenteranno sempre di sfruttarlo a proprio favore.
E nella mia testa scorro rapidamente coloro che ho incontrato in queste poche ore e mi chiedo: da chi di loro devo guardarmi?
Francesca. Di sicuro.
EJ rimane un logorroico, petulante, ingenuo ragazzino di provincia che più conosco più ne comprendo il tradimento.
Sì, direi di sì. Francesca.
A guardare bene, non è l'ironia a darmi fastidio.
Non è questo.
È che ora non so come comportarmi. E il: "Giuro vorrei fare la cosa giusta" è una frase che mi sono ripetuto fino alla nausea per poi tradirla alla prima occasione.
Non sono neppure arrivato, neppure ho sistemato quel poco che mi sono portato da New York, che già mi vedo costretto a decidere se ne valga la pena. Fare una cosa oppure un'altra? E agire in una maniera è più conveniente che comportarsi in un altro modo?
Se mi guardo indietro raramente ne è valsa la pena. Solo una volta.
Ma non potete capire.
Salendo i gradini che mi portano al secondo piano verso la presidenza arrivo alla conclusione che nessuno in questo mondo malato, cinico e ironico potrà mai capire.
Ok, Aiden. Stai calmo! Ripassa la parte.
Il rettore è un amico di famiglia e già questo è un problema.
Probabilmente avrà già saputo i casini che hai fatto a New York. Secondo problema.
L'unica soluzione è anticiparlo, assicurargli che l'unico mio intento e mantenere un profilo basso al di fuori del cognome che porto. Rassicurarlo sul fatto che non voglio e non devono esserci favoritismi per via del mio cognome e che mia madre rimanga fuori dalla mia vita come ha sempre fatto da cinque anni a questa parte.
Adesso vediamo di non fare altri danni.
Cerco di aprire la porta ma come già successo nel dormitorio, anche questa maniglia mi sfugge aperta dall'interno. Sembrano tutti aspettare me.
« Aiden! Che piacere vederti! Quanto sei cresciuto! Quanto sarà? Forse cinque o sei anni? Non eri più alto di così! » esclama indicando con la mano un altezza pari alla sua spalla.
« Rettore Hawthorne, è un piacere anche per me rivederla! »
« "Rettore Hawthorne"? Come mi sei diventato formale Aiden! Tu, più di chiunque qua dentro, puoi chiamarmi Trevor! »
Preferirei non urlasse cosi.
Con una pacca vigorosa, che assomiglia più ad una spinta, mi invita ad entrare e chiudere la pesante porta a vetri smerigliati dietro di me.
L'interno è esattamente come mi immagino un ufficio di presidenza: moquette porpora a terra, alte librerie in legno lucido che corrono lungo l'intero perimetro della stanza e al centro una grande scrivania in radica dal piano protetto cuoio verde scuro ed una lampada appoggiata su di esso in vetro verde e ottone che lo illumina.
Il potere è simboleggiato da una grande e soffice poltrona imbottita di cuoio nero posta dietro alla scrivania. Il malcapitato, in questo caso io, deve sedere dalla parte opposta dove due scarne sedie in legno ricordano all'ospite chi comanda.
« Accomodati! »
Un ampio gesto con il braccio. Un sorriso. Cosi affabile.
Il suo tono non mi piace affatto. Saprà già tutto. Ma questo forse è un bene.
Mi siedo.
« Vedi Trevor, preferirei chiamarla "Rettore" per il semplice motivo che sono qui proprio per dirle che non voglio alcuna trattamento di favore. » vado al punto.
« E questo Aiden ti fa molto onore. » annuncia affondando nella sua poltrona. « Il fatto che tua madre appartenga alla famiglia fondatrice di questo college e sia attiva finanziatrice, sai meglio di me cosa può voler dire per uno studente trovarsi nella tua posizione. »
« Perfettamente rettore. So fin dove potrei spingermi nello stesso modo in cui lei conosce mia madre ed il rapporto, o meglio l'assenza del rapporto che ci lega.
Ma non sono qui per parlare della mia famiglia e anzi le sarei grato se parlassimo esclusivamente d'ora in poi di Aiden Cobb come matricola e non come figlio di una Dickerson.
Sono qui, invece, per ciò che penso saprà essermi accaduto negli ultimi tempi. »
« Sì, mi sono giunte alcune voci. » afferma con tono serio. Ed in effetti ma il tono che mi aspetterei da qualcuno che parla del mio passato.
« Molto bene Rettore. Questo allora semplifica le cose.
Non chiedo favoritismi o scorciatoie. Non ho mai neppure chiesto di essere qui e se non fosse stato la mancanza di alternative, sa meglio di me che non sarei mai e poi mai è venuto qui. Chiedo solo di tenere un basso profilo come qualsiasi matricola del college e non solo perché ciò che ho lasciato a New York potrebbe in seguirmi anche qui, ma semplicemente per il mio totale ed assoluto rifiuto verso tutto ciò che la mia famiglia può offrirmi.
E se faccio queste confidenze a lei non è perché mi fidi. Nel nostro ambiente fidarsi è l'ultimo passo prima della disfatta. Glielo dico perché semplicemente io non ho più nulla da perdere e se non fosse stato per il mio cognome, l'unico modo di entrare in questo college, avrei falsificato già i miei documenti e rinnegato definitavamente la mia famiglia. Quindi spero capisca il mio punto di vista e spero comprenda la mia richiesta che questa nostra conversazione possa rimanere il più confidenziale possibile. »
« Aiden, da ciò che avevo sentito di te, mi aspettavo tutt'altra conversazione. Ero già pronto al solito damerino di New York che pensa di poter comandare. Sono sinceramente spiazzato ma anche positivamente sorpreso. Per questo non vedo alcun motivo per non accettare la tua richiesta ma non posso non dirti, ed ora parlo come Trevor, che qualsiasi problema ti stia portando dietro da New York, potremmo risolverlo. »
« Non sai quanto mi piacerebbe, Trevor, non sai quanto. »

© Giulio Cerruti (The_last_romantic)

Angolo dell'autore:

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