Capitolo 35

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It was Calum's fault, wasn't it?

LUKE

E' inutile negarlo: l'opinione altrui si basa unicamente sulle impressioni che una persona ti da. E' tutta una questione di apparenze. Essere coraggiosi non vuol dire non avere paura di niente, così come essere dei duri non è sinonimo di avere un cuore di ghiaccio. Mostrarsi sempre allegri o sempre disponibili non implica rispettivamente l'essere felici e l'essere ingenui. A volte, o meglio dire quasi sempre, le persone si sbagliano e se ne rendono conto solo quando il diretto interessato decide di spogliarsi di quella maschera dietro la quale usava rifugiarsi, mostrando la sua natura vulnerabile agli occhi del nemico. In fin dei conti ci fingiamo predatori per apparire più forti, ma quando arriva il cacciatore ci rifugiamo dietro dei cespugli come le più piccole delle prede.

Per tutta la durata del discorso di Megan, non ho fatto altro che pensare a questo, a quanto avessi avuto torto nel pensare che le cose avessero finalmente preso una piega diversa. Credevo si fosse abituata a quella che per noi è la normalità, la nostra quotidianità insomma, ma non è mai troppo tardi per ricredersi. Qualcosa dentro di lei si è mosso dopo quella brutale notizia e non posso che sentirmi male per lei e per i miei amici che adesso si ritrovano colpiti da quella esplosione di sentimenti contrastanti. Ogni cosa sembrava differente, come se i frammenti di quelle emozioni avessero fatto breccia nei cuori di ognuno di noi, cambiandoci.

Michael, più di tutti, era rimasto ferito e glielo si leggeva negli occhi, cupi e tristi, e nelle labbra, dove non era rimasta neanche l'ombra di quel suo tipico sorriso, fuggito via con la stessa velocità che ci mise il suo cuore a spezzarsi. Sentirsi dire quelle cose non è stato piacevole per nessuno dal momento che ci tenevamo alla sua felicità, ma questo volerle bene non è bastato a farla sentire come a casa. Ashton rimase in piedi per un po' con lo sguardo fisso all'interno della scatola, mille quesiti per la testa, a giudicare dalla sua espressione interrogativa. Conoscendolo, si starà accusando di qualcosa che sicuramente non è accaduto a causa sua. E' sempre stato così, d'altronde: autocritico e schiacciato dal peso di responsabilità non sue, sensibile e sempre pronto ad aiutare il prossimo, rimproverandosi quando non riesce a dare il cento per cento a qualcuno. «Ma come hai fatto a perdere qualcosa che hai avuto sotto agli occhi per giorni interi?» chiese ad un tratto Michael, passandosi le mani fra i capelli ormai scoloriti. Il suo tono diffamatorio colpì sia me che il riccio, tanto che alzò subito lo sguardo sul mio ragazzo, guardandolo quasi con stupore misto a rabbia. «Credi che sia stata colpa mia?» rispose Ashton con un'altra domanda, posando lo scatolo sul tavolino del soggiorno. Non mi piaceva come stesse prendendo piega quella situazione. Non mi piaceva vederci così distanti.

Il tinto replicò con una risatina e scosse piano la testa, guardando altrove. «In questi giorni stai sempre per i conti tuoi, chiuso in quelle quattro mura a fare non si sa cosa. Se davvero lavoravi a quell'affare come dicevi sempre, allora di chi altro può essere la colpa?» disse infine, cercando il suo sguardo con fare spavaldo e cattivo. Per quanto potesse avere un cuore d'oro, Ashton non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, specie quando sapeva di avere ragione. Anche se dentro di sé se ne prendeva la colpa, sapeva di non essere il fautore di quel problema e non avrebbe accettato di sentirsi dire l'opposto da qualcun altro, soprattutto da uno dei suoi migliori amici. Ci si aiuta e ci si difende fra amici, non ci si infanga o accusa. «Pensi che sia stato io, ma cosa avrei dovuto farci con quel pezzo di ferro? Dove avrei mai potuto perderlo se come dici tu sono sempre stato in camera mia?» sibilò il maggiore, serrando i pugni «Sei così bravo a parlare, perché non analizzi i fatti con lo stesso impegno che ci metti ad accusare gli altri?»

La tensione fra i due era alle stelle e mi sentivo impotente di fronte a tale odio. In anni ed anni di amicizia non era mai capitato un litigio del genere e mi trovavo impreparato ad una situazione del genere. Trovai che la cosa più sensata da fare fosse alzarmi e mettermi tra i due, diretto verso Michael: cercai di ritrovare la persona che amavo dietro quegli occhi, il ragazzo dolce, solare e a volte dagli atteggiamenti infantili che dietro le apparenze mi divertivano e mi scaldavano il cuore. In quel momento sentii solo freddo. Percepii quel verde smeraldo come fosse inverno e quando mi perdevo nei suoi occhi non vedevo più una radura illuminata dai raggi del sole, ma solo un bosco di pini ricoperti da neve. Mi gelavano l'anima e il cuore e non riuscii a trattenere il mio dispiacere, che sfociò in un timido pianto «Basta fare così, ti prego. Non è colpa di Ashton, nessuno ha perso niente. Magari l'ha preso qualcuno in buona fede...» sussurrai fra le lacrime, tremendamente abbattuto dalla realtà dei fatti. Prima o poi l'avrebbero scoperto. Non era colpa mia. Michael non mi lasciò dire altro, mi tirò a sé per i fianchi, stringendomi in un gelido abbraccio che spense le mie ultime fiamme, portando l'inverno anche nel mio cuore. Almeno adesso eravamo in due ed ero certo che mi avrebbe sorretto durante la bufera.

«E' stato Calum, non è vero?»

«E' stato Calum a fare cosa?» disse il diretto interessato, chiudendo la porta di casa dietro le proprie spalle, mentre davanti a lui vi era Megan, ancora visibilmente scossa.

MEGAN

«Di che parlate?» chiede ancora Calum, il quale non ottiene altro che occhiatine taciturne in risposta. Sembra confuso, all'oscuro di ciò che le menti dei suoi amici stanno pensando. Nella mia di mente non può che esserci una sola risposta legata alle loro accuse, tutto in pochi secondi sembra farsi più nitido. Come ho fatto a non pensarci prima?
«L'hai preso tu.» sussurro inizialmente a sguardo basso, per poi alzarlo fulmineamente su di lui. Tutte le parole che mi aveva detto poco prima fuori casa, non potevano essere un caso. «L'hai preso tu, non è vero?» ripeto con più convinzione e fermezza stavolta, sentendo qualcosa ben diverso dalla rabbia crescere dentro di me: delusione. Eppure me lo sarei dovuto aspettare.

Calum sgrana gli occhi per un istante, schiudendo le labbra. Appare sorpreso da quell'accusa, ma ciò non lo rende meno colpevole. Non può che essere stato lui, continuo a ripetermi in testa. «Cosa? Scherzate, spero. Scherzi, vero?» chiede il moro, guardando prima i suoi due migliori amici e poi me. Catturo subito con lo sguardo il movimento del suo pomo d'Adamo. Deglutisce. Avrei scommesso qualunque cosa: il suo cuore aveva accelerato il battito. Ha paura. Ha paura perché sa di essere colpevole, di esser stato colto con le mani nel sacco. Dal mio canto, alzo gli occhi verso il tetto, tentando di trattenere le lacrime. Non ne avrei versata una. Ne valeva davvero la pena?
«Tutte quelle stronzate che mi hai detto là fuori, lo sperare in qualcosa per cui non vale la pena, qualcosa che mi porta solo malessere... credevi di convincermi a rimanere con quelle parole? Cazzo, adesso suonano più come minacce che come parole di conforto. Non ti lascerò mai andare, "minuto per minuto".» mormoro, scuotendo piano la testa, piena di consapevolezze. Ogni parola da lui detta precedentemente mi porta a pensare che sia stato lui. Che egoista. Non lasciarmi andare, volermi per sé è stato il gesto più egoista che avesse mai potuto fare. Magari avrei scelto di rimanere, o magari me ne sarei andata, ma la scelta dipende solo ed unicamente da me. Prendere questo potere decisionale sabotando le circostanze, che spreco, che errore.
«Non erano stronzate, Megan. Ti aggrappi così tanto a qualcosa di materiale che ti da solo delusioni e problemi uno dopo l'altro. È stato un errore riporre così tanta fiducia in qualcosa che difficilmente poteva funzionare sin dall'inizio!» ribatte Calum, guardandomi dritto negli occhi con sguardo da pazzo. Sputa quelle parole con tale semplicità, così di getto, che mi colpiscono nel profondo, facendomi riflettere.
«Non avrei potuto trovare parole più adatte per descrivere la nostra relazione.» mormoro acidamente, non riuscendo però a mantenere lo sguardo puntato nei suoi occhi parola dopo parola. Dentro di me, nel profondo, sapevo di provare ancora qualcosa per quel ragazzo, qualcosa che in poco tempo è cresciuto a dismisura, ma nel momento in cui faccio marcia indietro per rinchiudermi nella mia stanza, esattamente come i primi giorni della mia permanenza qui, so di aver direttamente o indirettamente chiuso qualunque cosa ci fosse fra me e Calum e non potevo che stare peggio.

***
Capitolo breve ma personalmente intenso. Vi ho fatto attendere tanto, ma ormai non avete aspettative con me insomma, sapete come sono fatta. Ciò non mi giustifica, I know, ma forse dentro di me sto tendendo a ritardare la fine di questa storia perché vi sono emotivamente troppo legata. La mia prima vera storia che sta giungendo al termine e che piace pure LOL non l'avrei mai detto.

In ogni caso, tanto drama come avevo già anticipato nel precedente. Nessuna parola, azione, scelta, va presa per casuale. Ogni cosa ha un significato ed è legata a qualcosa già precedentemente fatta o detta. Mi piace dare significati e creare legami fra le parole/azioni di un capitolo e l'altro. Mi sento tipo la sottosottosottomapropriosottomarca dei poeti che quando vengono spiegati dai prof sono tipo: potete notare come qui l'autore ha scritto che il cielo è azzurro, chiaro riferimento al suo stato d'animo dopo aver dato da mangiare ad un piccione ECC.

Vabbè lol. Buona notte, domani sveglia alle 9:30. Mi ammazzo :')

Ah comunque Merry Christmas ppl🥺🫀 passate delle belle vacanze e dormite soprattutto che poi inizia la scuola😭

-esse

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