Secondo capitolo

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Londra, 2005

Erano passati quasi due millenni da quando la vita di Astarte aveva subito una svolta inaspettata. Il mondo come l'aveva sempre conosciuto aveva assunto un nuovo aspetto che per quelli della sua specie poteva significare solo una cosa: era la fine della grande epoca d'oro degli dei dell'Olimpo.

Da allora non aveva fatto altro che vagare per la terra, un luogo che in fondo le era sempre piaciuto. Nei lunghi momenti di noia si era spesso soffermata ad osservare quegli strani esseri umani che nonostante la loro breve vita mortale vivevano la loro esistenza come fosse eterna, come se i giorni non dovessero finire mai. Per non parlare del fascino delle loro emozioni che talvolta rispecchiavano tanto le sue facendola sentire meno sola.

C'era chi piangeva, chi si disperava, chi amava profondamente e chi invece lo faceva con ossessione, chi gioiva, chi si arrabbiava, ed ogni sentimento racchiudeva al suo interno così tante sfaccettature che avrebbe potuto passare il resto della sua lunga vita immortale ad ammirarli.

Poi, però, il brivido del nuovo si era presto spento ed ogni giorno era diventato uguale all'altro. Cambiavano solo le mode, ma le persone rimanevano sempre le stesse. Addirittura ad un certo punto aveva deciso di usare il suo potere per scatenare due guerre mondiali per smuovere un po' le acque. Si era rivelato l'errore più grande che avesse mai commesso. L'orrore al quale fu costretta ad assistere semplicemente le dava il voltastomaco. Non poteva credere di averlo fatto solo per il gusto di provare di nuovo qualcosa.

Ma la verità era che senza Mireya non c'era motivo di provare dei sentimenti e da allora aveva vissuto nella più totale apatia. Niente amore, niente odio, niente di niente. Praticamente si era trasformata in una divinità qualunque, anonima tanto tra gli dei quanto tra i mortali. Se non fosse stato per la sua bellezza rara persino sulla terra sarebbe potuta tranquillamente passare inosservata. In parte era così, le bastava infilarsi una lunga felpa nera con il cappuccio e un paio di anfibi per sembrare una di quelle che gli umani amavano definire "strane".

Solo quando aveva fame si concedeva il lusso di togliersi quegli indumenti larghi per sostituirli con qualcosa che la sua preda del momento avrebbe sicuramente gradito.

Quella sera era una di quelle. Non si nutriva già da qualche giorno, la disgustava quel modo di vivere. Preferiva di gran lunga quando erano gli umani a sacrificarsi per lei, per darle energia vitale, ma ormai non era più così da talmente tanto tempo che quasi non ricordava cosa si provasse ad avere tutto quel potere senza il minimo sforzo.

Aveva optato per un completo nero aderente con una giacca dallo scollo pericolosamente a v che non lasciava granché all'immaginazione e dei tacchi a spillo laccati dello stesso colore. I lunghi capelli neri ricadevano morbidi sulle spalle e lasciavano scoperte le sue orecchie facendola sembrare un elfo.

I suoi occhi avevano assunto il colore dello smeraldo, verdi ed ipnotici, facevano intuire a chi li sapeva leggere che era a caccia. Doveva solo scegliere la preda perfetta e per farlo aveva adocchiato un pub non troppo lontano dal centro.

Dopo aver scrutato attentamente ogni persona all'interno del locale si era seduta al bancone e aveva ordinato un gin tonic. Quella roba faceva schifo, ma aveva bisogno di qualcosa di forte per affrontare la serata. Il bartender appoggiò il cocktail davanti a lei soffermandosi un momento di  troppo a guardarla provocando un senso di orgoglio in lei. Le era sempre piaciuto essere ammirata, soprattutto quando sapeva di aver scelto l'oufit giusto.

"Ecco a lei!", le disse appoggiando il bicchiere di vetro sul bancone.

"Grazie.", rispose lei senza rompere mai il contatto visivo.

Non sarebbe stato lui la sua prossima vittima, ma flirtare con dei perfetti sconosciuti era un passatempo che adorava, quasi lo considerava una sorta di preliminare per riscaldarsi e prepararsi al piatto forte della nottata.

God is a woman (zurena)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora