Capitolo 12: Momhoro alla riscossa!

35 4 5
                                    

Fudou sapeva perfettamente di essere spacciato nel momento in cui avrebbe messo piede in casa e lo si poteva dedurre dal silenzio tombale che regnava. Nemmeno la tv era stata accesa, quella sera, e l'unico rumore che si poteva sentire era qualcuno che stava cucinando, anche se con una certa calma.

Kidou che cucina calmo non è mai un buon segno, di solito tendeva ad imprecare come non mai o correre a destra e manca per prendere chissà quale utensile, perciò o stava facendo finta di cucinare o stava preparando l'unica cosa che sapeva fare senza mandare tutto a fuoco.

L'omurice, e non gli avrebbe messo un cuore di ketchup sopra.

-Ehm...sono a casa, Yuuto.- Disse titubante il ragazzo dai capelli lunghi, affacciandosi leggermente alla porta della cucina giusto in tempo per vedere il suo fidanzato girarsi verso di lui, gli occhiali dimenticati sul tavolo della cucina e i capelli sciolti.

-Bene. Prepara il tavolo, ho quasi finito.- E si girò nuovamente, intento a finire di preparare qualsiasi cosa stesse facendo, per una volta Fudou non contestò e iniziò ad apparecchiare, facendo attenzione a non fare troppo rumore per disturbarlo.

Il momento in cui si sedette con davanti il piatto, fu anche quello in cui si rese conto dello stato della sua omurice. Non solo era nera come il carbone, ma sembrava pure puzzare in una maniera tremenda, mentre quella del suo compagno era dorata al punto giusto.

-Che c'è? Non vuoi mangiare? Potevi avvisarmi mentre tornavi a casa, avrei fatto cucinato solo per me.- Disse il suo compagno, già iniziando a mangiare con una tranquillità che, onestamente, lo stava spaventando.

Perché non lo aveva ancora ripreso? Forse era stato fortunato e Akane non aveva ancora chiamato Kidou, per cui avrebbe potuto vivere in serenità quel pochi minuti prima della catastrofe.

-Un uccellino mi ha detto che non fai bene il tuo lavoro, anche se sembri essere quello con più sale in testa. Vuoi dirmi perché?- Gli chiese quasi subito dopo e tutte le speranze di Fudou crollarono come un castello di sabbia, non sapendo minimamente come e se ne sarebbe uscito integro.

-Non capisco Nosaka, ci ha dato un lavoro del genere e poi dice di fidarsi di noi. Non abbiamo mai fatto gli allenatori, fino a quattro giorni fa c'era Hiroto che ci usciva il cazzo.- Borbottò Fudou, dovendo dare qualche pacca alla schiena di Kidou quando iniziò a tossire profusamente, non aspettandosi una risposta del genere. Cinque minuti dopo e dieci bicchieri d'acqua, l'uomo con i rasta tornò a respirare normalmente, e lo ringraziò sottovoce mentre si asciugava la bocca con un tovagliolo.

-Potevi dirlo prima, ti avrei dato una mano con piacere. Nosaka ultimamente sta andando molto...fuori di testa, e questo pensiamo sia per tutte le decolorazioni che si fa ai capelli, però anche io ho appoggiato l'idea di mettervi come allenatori, specialmente se di una squadra come la Resistance Japan.- Gli disse, prendendogli una mano e guardandolo negli occhi. –Ricordati che anche io sono un allenatore, ma in primis il tuo fidanzato, puoi chiedermi qualsiasi cosa.-

Kidou non riuscì neanche a finire la frase, prima di sentire il suo fidanzato saltargli addosso e sedersi sulle sue gambe, per poi nascondere il viso nel suo collo. L'uomo, dopo averlo stretto a sé, gli sciolse i capelli e sorrise contro la sua testa.

-Non dirmi che non ci avevi nemmeno pensato?- Gli chiese sottovoce, e il silenzio di Fudou fu una risposta più che sufficiente. Kidou neanche si sorprese troppo, si appoggiò alla schiena e continuò a coccolare l'uomo su di sé.

Ormai il piano era già pronto, e Afuro era d'accordo: il giorno dopo sarebbe iniziato un nuovo metodo di allenamento per la Resistance Japan.

Kita, dopo quelle che pensava fossero ore, riuscì a trovare il coraggio per uscire dal box doccia e si guardò in giro più di una volta, per poi prendere l'asciugamano e asciugarsi mentre si dirigeva verso lo spogliatoio. Non c'era nessuno, l'unico borsone rimasto era il suo e quello lo rassicurò parecchio, perciò iniziò a vestirsi con una certa calma. Tanto nessuno lo stava aspettando, e i suoi non si preoccupavano mai, probabilmente si erano pure dimenticati della perfetta pagella posata sul tavolo della cucina.

Un lungo sospiro lasciò le sue labbra e i suoi occhi si posarono sulla fascia che avrebbe dovuto mettersi tra i capelli. Non c'era davvero modo per smuovere quella situazione così scomoda? Erano mesi che i suoi non lo calcolavano più, felici come erano di vedere suo fratello entrare in una delle università più prestigiose del Giappone.

-Kita, sei ancora qua? Scusami, ti stavi cambiando.- Sentì qualcuno dire alle sue spalle e, girandosi, incontrò il viso di Mahoro, il quale lo raggiunse dopo aver chiuso la porta. –Sei ancora a disagio per quello che ha fatto Namikawa? Mi dispiace, gli ho parlato fino ad adesso, spero abbia capito.- Continuò, prendendo un phon e asciugandogli delicatamente i capelli, provando a non tirarli troppo.

Kita restò fermo immobile, guardando il pavimento mentre il suo compagno di squadra continuava a sistemargli i capelli.

-Hai proprio dei bei capelli, sia il colore sia lo stile, secondo me te ne occupi molto.- Lo complimentò il ragazzo, e a Kita scappò un piccolo sorriso, ringraziandolo sottovoce.

-Mi piace molto prendermi cura dei miei capelli, anche a me piacciono, ho speso così tanti soldi in prodotti costosi che non funzionano nemmeno.- Gli rispose e Mahoro rise, spegnendo il phon e iniziando a sistemarli velocemente, per poi legarli nella solita coda.

-Come fai a saperne tanto? Hai i capelli corti.- Chiese Kita, girandosi verso di lui, e vide il ragazzo dai capelli rossi mettersi una mano tra i capelli un po' imbarazzato, guardando in giro, come se stesse cercando una maniera per dire quello che stava pensando.

-Beh... lo sai che ho una fidanzata, no? Ho fatto pratica con lei, tutto qua.-

-Dovete essere davvero affiatati, sono felice per te.- Gli rispose, afferrando poi il borsone e dirigendosi verso la porta, improvvisamente di nuovo giù di morale. Mahoro sembrò notarlo, e mise un braccio attorno alle sue spalle per fermarlo.

-Puoi parlare con me, quando te la senti, siamo compagni di squadra e non vorrei vederti sempre in disparte per chissà quale cosa che frulla nella tua testolina.- Gli disse quasi sottovoce, come se non volesse farsi sentire da nessun altro oltre a lui, e il ragazzino spalancò gli occhi, genuinamente sorpreso nel vedere l'espressione pacata e tranquilla del suo compagno.

Poteva fidarsi di qualcuno fino a quel punto? Fino al punto di poter raccontare tutto quello che c'era nella sua testa, quello che lo turbava e tutte le sue preoccupazioni?

-Non pensarci troppo su, non devi darmi una risposta, ma sappi solo che io ci sono, casomai volessi parlare con qualcuno.- E, detto quello, lo portò fuori mentre gli accarezzava la schiena, avendo quasi intuito la tristezza del ragazzino e le sue lacrime mal celate.

-Kita, eccoti qua! Scusami per l'altro giorno, ma dovevo assolutamente sabotare il campanello di casa Kira!- Esclamò Kishibe, raggiungendolo e stringendolo in un forte abbraccio. Non disse niente quando sentì il più piccolo soffocare un singhiozzo, gli accarezzò solo la schiena dondolando avanti e indietro sui talloni. –Susu, non è da te piangere, Namikawa non entrerà mai più nella tua doccia, ti proteggeremo io e Kurosaki! Ah sì, e ovviamente anche Mahoro!-

Kita non stava assolutamente piangendo, ma forse iniziò a farlo quando anche Kurosaki e Mahoro lo abbracciarono, consolandolo sottovoce.

Oasis - Cosa fa la Resistance quando non è in campo?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora