Capitolo 62 - L'uomo che amo

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Roma, 31 Luglio 2000

Luca si sveglia di soprassalto. Il silenzio è assoluto, non un solo insetto ronza per la stanza. Dalla finestra entra una brezza leggerissima che prova a mitigare la calura estiva. L'uomo ci mette qualche secondo a capire da cosa è stato svegliato.

Il telefono sta squillando. Sul quadrante dell'orologio i piccoli numeri rossi segnano le 5.27 del mattino. Luca rotola giù dal letto, infastidito.

Accende la luce del salotto e rimane per qualche secondo accecato, ma solleva lo stesso la cornetta.

"Pronto?"

Una voce maschile gli chiede conferma della sua identità e poi lo avvisa che la chiamata arriva da un ospedale il cui nome Luca non conosce e che deve perciò trovarsi piuttosto lontano da casa sua. L'uomo perplesso.

"Dovrebbe venire subito qui. Un nostro paziente ci ha chiesto di chiamarla." Il tipo fa per aggiungere qualcosa, ma poi si interrompe.

Luca è allarmato, ma non intuisce quello che sta succedendo e si mostra diffidente.

"Mi scusi, ma non conosco nessuno che sia ricoverato nel vostro ospedale." E non c'è nemmeno nessuno che chiederebbe di lui se dovesse succedere qualcosa di grave, pensa Luca.

"Guardi", il centralinista fa una pausa, come se non avesse voglia di pronunciare le parole che seguono, "abbiamo ricevuto una chiamata dalla donna che ha soccorso il ferito. Quando sono arrivati sul posto hanno trovato il ragazzo privo di coscienza e senza documenti. La donna  però gli aveva parlato e lui pare aver pronunciato il suo nome. Non conosciamo l'identità del paziente, ma lei deve venire qui. È importante"

La spiegazione sembra a Luca così assurda che per un attimo pensa che sia uno scherzo telefonico. Ma la voce seria e ansiosa del centralinista lo convince a non riattaccare.

"Siete sicuri che non chiedesse di un mio omonimo? Dico davvero, non ho idea di chi possa essere questa persona."

"Io l'ho visto arrivare in pronto soccorso, glielo posso descrivere", la voce dell'uomo è incerta, come se richiamare alla mente quell'episodio lo mettesse a disagio. "Si tratta di un ragazzo sui trent'anni, ha i capelli neri con parecchie ciocche bianche. È molto magro."

Il silenzio di Luca dura così a lungo che l'uomo è costretto a chiedergli se sia ancora in linea.

"Sì, sono qui", commenta solo.

"Sa chi è?"

Non può essere davvero lui. Non ha senso: la ricostruzione dei fatti che ha dato l'uomo è al di fuori della realtà. Come sarebbe potuto finire in un ospedale, anche se gli fosse successo qualcosa? Ma Luca non può non andare a controllare. 

"Non ne sono sicuro. Arrivo subito."

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"Da questa parte, signore", dice l'infermiere guidandolo in un corridoio dalle pareti verdi su cui si aprono una serie di porte anonime. Ad ogni passo che fa a Luca sembra di perdere l'equilibrio.

Ha provato a chiedere dettagli sullo stato di salute del "paziente", ma a quanto pare sono riservate e non potrà sapere nulla fino a che non verificherà di conoscerlo. Il fatto che siano nel reparto di terapia intensiva non lascia presagire nulla di buono.

Finalmente l'uomo lo conduce in una stanzetta in fondo al corridoio. 

Luca si era aspettato di trovarsi in un tranquillo ambiente con qualche barella e alcuni feriti. Invece nella camera ci sono due persone sedute intorno ad un tavolo, alle spalle del quale è visibile una vetrata coperta dalle tapparelle abbassate e una porta con la scritta "sala operatoria".

Storia di un amore squallidoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora