parte 5

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Fuori era ormai buio da un pezzo, le strade erano invase dall'oscurità, soltanto i fari della mia Mercedes che proseguiva ad alta velocità, illuminavano la strada principale che portava verso il centro. Non ci misi molto tempo ad arrivare a destinazione, circa cinque minuti o poco più. Un tempo di gran lunga inferiore a quello al quale ero abituato a impiegare per percorrere quel percorso.
Quando fermai la macchina, aprii la portiera e scesi senza nemmeno spegnere il motore. Mi precipitai verso la porta della libreria che era spalancata, come lo sportellino della mia auto che avevo lasciato alle mie spalle. La luce all'interno della libreria era spenta, ciò faceva pensare a un tentativo di furto con scasso, ma io lo sapevo che in realtà lì dentro era successo qualcos'altro di gran lunga peggiore.
Quando entrai e accesi la luce, quella mia idea diventò la certezza che uccise ogni mia piccola speranza. Era seduto dietro il bancone, con la testa appoggiata di lato su di esso. Il suo braccio destro pendeva verso il basso. Era rigido. L'altro braccio era piegato sulla scrivania. Aveva qualcosa in mano, ma non riuscii a vederlo con chiarezza da dove mi trovavo, quindi mi avvicinai. Quando fui di fronte a lui, vidi il foro che aveva nella tempia sinistra. Da esso, aveva perso una grande quantità di sangue, che era sceso lentamente sopra il piano del banco, passando attraverso massicci rivoli scarlatti lungo la sua faccia. In quel momento riuscii a vedere anche l'oggetto che impugnava con la mano sinistra. Era una pistola.
Mi portai una mano davanti alla bocca, e non riuscii a trattenere le lacrime. Sapevo benissimo quello che era successo. Davide non si era suicidato, altrimenti non avrebbero avuto una spiegazione i passi che avevo udito attraverso la cornetta del telefono. Era stato assassinato e io ne ero convinto.

Feci il giro del bancone e vidi che accanto al suo braccio penzolante, pendeva anche la cornetta, che ancora dondolava leggermente.
«Perdonami Davide...» lui mi avrebbe anche perdonato, ma non lo avrei fatto io. Una persona aveva perso la vita per una mia curiosità. Non una persona qualunque, ma un amico. Mi aveva raccolto dalla strada dandomi nuove speranze e io avevo pensato bene di ricambiargli il favore mettendolo in pericolo di morte.
"Non può essere colpa mia..." invece era proprio così. Carlo mi aveva avvertito tempo addietro. Aveva detto di stare lontano da quella storia, ma con la mia testardaggine ero arrivato a provocare la morte a ben due persone.

Presi la cornetta del telefono tra le mani, la guardai un attimo come se mi fossi scordato ciò che avevo intenzione di fare, poi reagii. Digitai il numero delle forze dell'ordine e attesi in silenzio. Un silenzio così invasivo da farmi udire il mio stesso battito cardiaco, che suonava con battiti ripetuti.
Tum...tum tum...tum...tum tum...
«Sì?» una voce rauca coprì il suono dei battiti del mio cuore.
Rimasi zitto per un istante, rielaborando le mie idee, poi parlai.
«Mi trovo nella libreria "Lettere Viventi" in Via Arduino di Ivrea, il numero civico è il 10. Ho trovato il corpo di un cadavere».
Mentre parlavo, dall'altro capo del telefono sentivo il fruscio di qualcosa come fogli di carta. Dopo che finii di parlare, non tardò a farsi sentire la voce rauca dell'uomo che reggeva la cornetta dell'altro lato.
«D'accordo, rimanga lì, arriviamo subito». Poi sentii il bip prolungato.
Durante quell'attesa, camminai nervosamente avanti e indietro all'interno della libreria. La porta era ancora aperta e da essa, riuscivo a sentire il motore della mia macchina ancora acceso. L'impulso mi disse di andare a spegnere il motore, poi però ci ripensai dicendomi che non sarei uscito da lì dentro per nulla al mondo, quindi aspettai.
"Potrebbero benissimo sospettare di me, se dovessero arrivare proprio nel momento in cui sono intento a spegnere il motore", pensai. "Anche se la scena non è quella di un omicidio, ma di un suicidio", ribattei tra me e me. "Nah... lo sai benissimo che Davide è stato ammazzato", mi risposi mentalmente. Poi i miei pensieri furono interrotti di netto dall'ululato delle sirene.

Mi girai, e non aspettai molto prima di vedere le due volanti dei carabinieri, che si fermarono proprio davanti alla porta, mentre il suono delle loro sirene ammutolì. I lampeggianti blu rimasero accesi. Vidi gli agenti uscire dalle volanti con ordine, mentre tenevano le mani sui calci delle proprie pistole d'ordinanza senza estrarle. L'autista della volante più vicina alla porta, aveva proseguito dritto verso la porta mentre il suo collega (compagno di pattuglia), fece il giro della volante raggiungendolo da dietro. Lo stesso fecero gli altri due, superando la vettura dei colleghi. Li vidi entrare insieme, uno dietro l'altro.
Quando uno di loro parlò, riconobbi all'istante la voce rauca che mi aveva risposto al telefono.
«Lei è il signore che ci ha chiamati?» Avevano guardato tutti e quattro soltanto me, ciò mi fece pensare che nessuno di loro si fosse accorto della posizione del cadavere. Di Davide. Io feci cenno con la testa annuendo, poi inclinai il capo nella direzione della vittima.
In quel preciso istante, in sintonia, tutti e quattro guardarono in quella direzione, quindi piano piano iniziarono ad avvicinarsi al corpo inerte di Davide. Solo in tre però, il quarto, ovvero quello che aveva parlato, restò con lo sguardo fisso su di me. Io ricambiai, tornando a guardarlo, quindi lo vidi avvicinarsi a me.
Era un uomo che, sotto la sua divisa, aveva una corporatura massiccia. Era di gran lunga il più dotato fisicamente tra i suoi colleghi. Era un tipo piuttosto rossiccio, il suo naso e le sue guance mostravano in modo chiaro abbondanti spruzzi di lentiggini. Sotto il naso, portava un paio di folti baffi arancioni come il colore di un mandarino maturo. 

Eclissati Dall'ombraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora