La casa numero 68

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Dopo alcuni giorni di silenzio e isolamento, decisi di reagire. Il libro era nella mia responsabilità, quindi dovevo assolutamente ritrovarlo. Avevo bisogno di aiuto però, perciò quel giorno mi vestii e uscii per andare alla villa. Quando arrivai davanti al cancello, suonai ripetutamente la campanella color oro, finché non vidi spuntare Rosi con il suo solito sorriso accogliente.
«Ma guarda chi si rivede» disse, mentre continuava a venirmi incontro senza fermarsi.
«Buongiorno signora Rosi» le risposi, poi le chiesi. «Beatrice è a casa?»
«Ormai tu vieni a trovarci solo per vedere Beatrice, eh furbacchione?» Scherzò sorridendo quando fu ormai di fronte a me e aprì il cancello. «Entra su, sarà felice di rivederti, è un po' che non passi da queste parti giovane».
«Ho avuto qualche lavoretto da fare...» mentii prontamente, in realtà, per giorni mi rintanai in casa dopo che finivo di lavorare per paura di farmi vedere alla villa, magari rischiando così, che Carlo mi chiedesse del libro.

Mi accompagnò dentro. Quando arrivammo nel soggiorno, lì, trovai Beatrice come avrei sperato ma in compagnia di suo padre, quindi non potevo fiatare sul furto che avevo subito.
«Buongiorno giovanotto. Come stai? Stavamo per fare colazione, ti va di partecipare?» fu l'accoglienza di Carlo. Beatrice invece, si limitò solo a sorridermi, dimostrandomi tutta la felicità che stesse provando nel rivedermi dopo qualche mio giorno di assenza. In realtà ero convinto che fosse arrabbiata con me per non essermi più fatto vivo, però per fortuna non fu così.
Sorrisi anch'io quando le dedicai un'occhiata, mentre pensavo, quanto mi sei mancata Bea. Non l'avevo mai chiamata così era un abbreviativo che usavo solo mentalmente. Poi rivolsi il mio sguardo a Carlo che evidentemente, a valutare dalla sua espressione, stava attendendo una mia risposta.
«Sto bene, ultimamente sono stato preso dal lavoro e dalla scrittura. Oggi però è il mio giorno libero. Lei come sta?»
«Benone, grazie. Dai siediti con noi giovanotto».
Il posto che io occupavo sempre, ovvero la poltrona che sceglievo ogni volta che mi accomodavo in quel soggiorno, ospitava Beatrice. Carlo invece, sedeva sull'altra. Il divano era sgombero, quindi mi sedetti lì, in mezzo a loro.
«Stamattina il nostro panettiere ci manda le sue brioches» disse Carlo.
«Giuseppe» intervenne Beatrice guardandomi con la dolcezza dipinta sul volto, come le brioches del panettiere appunto, o molto, molto di più. La guardai mentre vidi le sue labbra aprirsi ancora una volta.
«Potevi almeno chiamarmi per farmi sapere che fossi vivo».
Quelle parole presero un peso di rimprovero, ma le sue labbra fletterono a forma d'arco disegnando sul suo volto un meraviglioso sorriso. Pensai che se fino a quel giorno avesse avuto qualche brutto pensiero, ora che ero lì fosse passato completamente, senza lasciare traccia alcuna.
«Mi scuso, non lo farò più» risposi.

Ci fu un silenzio in seguito, un momento vuoto, che sapeva di domande senza risposte, di pensieri fugaci. Un silenzio che infine fu interrotto.
«Che ci racconti giovanotto?» mi domandò Carlo.

“Ho perso il libro” Trasalii mentre continuai. “cioè... me lo hanno rubato”. Sentii che da lì a poco la mia fronte avrebbe iniziato a sudare per il nervosismo. Fu un pensiero così intenso che mi parve di essere riuscito ad esternarlo, così che Carlo lo potesse sentire. La sua faccia non tradì emozioni, aveva quell'espressione che indossava chiunque ti avesse fatto una domanda e nell'attesa, si recava all'ascolto. Fu quello a farmi capire di non averlo detto, quindi mi rilassai.
«Che dire? Il lavoro con il libro procede a gonfie vele» mentii mentre sorridevo. Avevo smesso di scrivere da quando quel libro mi venne rubato. Non ero più concentrato ed ero finito per smettere di metterci l'impegno che gli avrei dovuto invece dedicare. Tutta la mia euforia nei confronti del libro che stavo scrivendo, andò in frantumi dopo quell'evento. Ero troppo preoccupato per potermi concentrare sulla scrittura. Scrivere è sì, un modo di evadere, ma non se qualcosa ti tiene legato con delle cinghie ancorate al suolo di questo mondo.
«Mi piacerebbe tanto dare un'occhiata alle tue bozze, in modo da avere un'anteprima» sorrise, mentre attendeva il mio consenso.
«No. Preferisco di no. È ancora in fase di elaborazione e penso che sia meglio che lei lo legga a lavoro finito».
Era sicuramente la cosa migliore. Ora che stavo scrivendo un libro, volevo essere solamente io ad avere l'accesso alle bozze. Al lettore avrei consegnato il lavoro già pronto e confezionato.
Lui fece una specie di smorfia con la bocca, mi sembrò infastidito dal mio rifiuto ma se avesse solo saputo della sparizione del suo libro, si sarebbe limitato a una smorfia? Già. Mi consolai con quel pensiero.

Eclissati Dall'ombraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora