parte 5

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Quei cinque giorni, passarono tutto sommato in fretta. Il segreto fu quello di non pensare all'appuntamento, quindi lavorare come avevo sempre fatto e scrivere. In quei giorni avevo visto Beatrice due volte, ovvero i primi due giorni, dopodiché non si era più fatta viva. Io non andai alla villa a trovarla, perché volevo approfittare del tempo che avevo a disposizione per scrivere dopo il lavoro.
Lunedì mattina mi svegliai, mi lavai e mi vestii in fretta, invaso da tutta l'ansia che durante quei giorni avevo abbandonato. Fu in quel momento che mi venne paura. Eh sì, perché questo presunto Enrico, dalle parole di Carlo non prometteva nulla di buono, anzi. Avrei rischiato di mettermi in pericolo. Prima non sentivo quel brivido della paura, ma quando il momento era quasi giunto a me, la paura ormai stava iniziando a divorarmi i pensieri. Ormai era tardi per decidere all'ultimo di non andare, quindi mi armai di tutto il coraggio che possedevo e uscii di casa.

La strada verso la villa la feci camminando adagio, quasi godendomi una passeggiata sotto un caldo sole. Quella mattina però il sole era nascosto da nuvole nere che, come un telo di oscurità, lo coprivano senza farsi attraversare dai raggi. "Sicuramente a breve inizierà a piovere" pensai, ma non mi importava, quindi continuai a camminare lentamente e a pensare sul come mi sarei comportato una volta di fronte a Enrico. Non passò molto però che mi venne un dubbio, che superava di netto tutti gli altri. Mi serviva una scusa per andare nella città degli anonimi se per caso Beatrice non fosse stata a casa. Fu in quel momento che rallentai il mio passo ulteriormente, per avere così più tempo per pensare.
Per ironia della sorte, anche andando a passo di lumaca, non trovai una soluzione adatta per quella mia intrusione sospetta nella città prima del mio arrivo a destinazione. Quindi non mi restava che sperare nella presenza di Beatrice alla villa.

Per fortuna la trovai a casa, ma le chiesi di accompagnarmi sulla stradina e di rimanere all'entrata della città. Le dissi di aspettarmi lì, chiedendole infine di chiamare qualcuno nel caso di un mio ritardo.
Quando m'incamminai per le viuzze della città degli anonimi, presi la foto e la guardai. Quelle case erano tutte più o meno simili tra loro, si distinguevano di poco, altre erano identiche. La casa che io cercavo era la numero 68, ed ero alla numero 10. Andavano in ordine; da una parte c'erano i numeri pari, mentre dall'altra quelli dispari. Quelli pari erano alla mia sinistra, quindi dovevo seguire quel lato.
Non ci misi tanto tempo per arrivare a quella casa, e nemmeno per riconoscerla. Era proprio la casa dove avevo sentito quella strana sensazione addosso. In quel momento quella sensazione non era presente. C'era così tanto silenzio da pensare che fosse vuota. Andai verso la porta dopo aver controllato un'altra volta il numero, sperando che fosse la casa sbagliata. Poi mi guardai a destra e a sinistra, per controllare che nessuno mi avesse visto nei paraggi di quella graziosa ma raccapricciante casetta in legno. Una volta di fronte alla porta, bussai.

Non arrivò nessuna risposta. Dall'interno non sentii alcun passo. Niente di niente. Era praticamente l'opposto da quello che si era presentata a me e a Beatrice quella sera. Bussai nuovamente, quella volta, con un po' di decisione in più. Aspettai, ma anche dopo aver bussato con più intensità non mi arrivò nessuna risposta. Mi voltai e feci per andare quando sentii qualcosa rotolare all'interno fino a sbattere contro la porta, come una palla di vetro che rotola sopra una superficie in legno. Mi fermai, continuando a dare le spalle alla casa ma ruotai quanto potei la testa verso di essa. Nulla sembrava cambiato, in fondo quel rumore era arrivato da dentro, di conseguenza mi sembrò logico che all'esterno fosse rimasto tutto invariato. Decisi di voltarmi e andare di nuovo verso la porta. Bussai per l'ultima volta e dissi ad alta voce ma non troppo, così da non rischiare di essere scoperto da qualcuno.
«Enrico, sono Stefano. Ho accettato il suo invito, mi potrebbe aprire?».
Quando mi resi conto che nessuno mi avrebbe risposto provai la maniglia della porta, pensando che lui non fosse ancora lì, quindi sarebbe stato meglio entrare dentro se fosse stata aperta, così da non farmi vedere da nessuno. Dopo aver girato la maniglia, la porta non fece alcuna resistenza, si aprì. Quando si creò una fessura tra la porta e la cornice di essa, in basso, notai un oggetto di vetro. Aprii un po' di più spingendo la porta verso l'interno della casa, di conseguenza l'oggetto, spostato dalla porta, ruotò sulla cornice e da essa, rotolò fino a sbattere contro il mio piede sinistro. Era un barattolo. Non aveva etichetta ed era pulito, come se fosse stato lavato per metterci dentro qualche alimento. Quell'oggetto fu l'intrattenimento di ciò che avrei visto in seguito, dopo aver alzato la testa. Quando lo feci, fui sul punto di gridare ma mi trattenni. Un uomo era appeso al soffitto ad un cappio che gli avvolgeva il collo. Il soffitto di quella casa era formato da travi sospese perpendicolarmente l'una rispetto all'altra. La corda era avvolta sopra uno di questi in un nodo, dal quale scendeva verso il basso fino a collegarsi al collo di quell'uomo. La testa era leggermente inclinata in avanti, come chi si addormenta da seduto. La sua faccia non era ben visibile, ma riconobbi ugualmente l'uomo che avevo avvistato fuori dalla villa e da casa mia. Le braccia e le gambe ancora dondolavano a destra e a sinistra, facendomi pensare che il suo decesso fosse avvenuto un po' prima che io arrivassi. Sotto di lui, c'era una sedia ribaltata all'indietro. Non so come, ma mi feci coraggio e andai verso il corpo appeso a mezz'aria. Quella scena mi fece ritornare alla memoria le parole di Kevin mentre parlava a Nick, "fossi in te mi farei strozzare da un cappio, così da lasciare per sempre quel corpo, che ormai è oscurato dalla mia ombra..." Mi sembrava assurdo che avesse deciso di suicidarsi. Aveva fatto in modo che ci incontrassimo per farsi trovare morto?

"Non ci credo" pensai. Mi trovavo di fronte a lui mentre sentii la voce immaginaria che avevo dato a Kevin, risuonare nella mia testa.
Feci qualche passo verso la sedia, spostandomi attorno al corpo ormai inerte di Enrico o Roberto (ancora non sapevo la sua vera identità). La rialzai in piedi senza un motivo ben preciso, ma era come se avessi saputo che alzando quella sedia avrei scoperto qualcosa. E infatti, una scoperta la feci. Quella sedia era troppo bassa. "Non toccherebbe con i piedi nemmeno una volta appeso" pensai. Quindi ebbi da subito la certezza, che quell'uomo era stato ucciso da qualcuno che aveva tentato di inscenare un suicidio.
Per la testa rumoreggiò, come un sasso scagliato contro una vetrata, una domanda. "Come faceva quell'uomo a trovarsi lì?"
Questa domanda non me la posi nemmeno quando lessi la sua lettera di invito. Non mi ero minimamente preoccupato di quella cosa, al contrario da ciò che invece stavo facendo in quel momento. Carlo aveva raccontato di quello scrittore come di un pazzo. Dicendo che era stato cacciato dalla città, quindi ovviamente non avrebbe dovuto trovarsi in quella casa.
Il mio cervello non impiegò molto a trovare una buona risposta a quella domanda. Doveva esserci un passaggio segreto.
Mi allontanai dal corpo, guardandomi intorno. La casa era in ordine. Cioè non proprio brillante come la casa di una donna, ma comunque non mostrava segni di uno scontro fisico tra due persone. Anche perché non è proprio facile appendere per il collo una persona ancora in forze, quello fu il mio pensiero e in quel momento lo avevo ritenuto del tutto ragionevole, anzi. Sarei stato pronto a scommetterci.

Un'altra cosa che contraddiceva lo scontro fisico, la notai guardando più attentamente il volto del cadavere, quando ritornai sui miei passi nella sua direzione. Non mostrava alcun segno di violenza. "Potrebbe essere stato ferito con un'arma da taglio" pensai poi, ma eliminai in fretta quell'idea. Il pavimento era pulito, così come i suoi vestiti. Nemmeno una goccia di sangue.
Scossi la testa, mentre con il pensiero cercavo di ricostruire le dinamiche di ciò che probabilmente era successo prima che arrivassi io lì dentro. Mi sentii in dovere di capire le cause della morte di quell'uomo, come se fossi un poliziotto. Non lo ero però, quindi era più che ovvio che le mie teorie fossero errate o magari no, ma dovevo lasciar perdere sperando che chi di dovere, scoprisse la verità.
Mi allontanai nuovamente dal cadavere, che appeso come una marionetta da teatro, mi teneva compagnia in quell'abitazione. Mi guardai ancora una volta intorno. C'era un'altra porta alla mia destra, quindi andai incontro ad essa. La aprii. Quando entrai, notai che si trattava di un bagno. Un bagnetto angusto dotato di gabinetto e un box doccia minuscolo. Nulla là dentro avrebbe potuto rispondere alle mie domande con chiarezza, anzi nemmeno in modo incerto. Zero risposte. Comunque decisi di fare due passi all'interno del bagno, solo due ma questi, bastarono per farmi arrivare al box doccia che era posto al fondo. Lo guardai un attimo. Era asciutto. Il piano del box era addirittura incrostato di calcare. Qualcosa mi suggerì che quel bagno non era stato usato da tanto, tanto tempo. Quindi era più che ovvia l'idea che quell'uomo avesse trovato un modo strettamente personale per arrivare a quella casa, senza dover passare dal cancello della villa, come invece toccava fare a me. Quindi dove può essere nascosto? Mi chiesi. Certamente doveva trovarsi lì dentro, altrimenti qualcuno lo avrebbe visto. Pensai di conseguenza.
In quel momento pensai di essere uno stupido, avevo trovato un cadavere e io ero ancora intento a risolvere i miei dubbi. Quindi da persona non molto saggia, ma per fortuna ancora con un briciolo di buon senso, decisi di andare ad avvertire qualcuno.

Eclissati Dall'ombraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora