parte 7

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Qualche giorno dopo, decisi di ricominciare a scrivere. Mi sentivo troppo solo, e avevo due scelte. Una era bere fino a perdere la coscienza, l'altra era scrivere. Quindi scelsi la seconda. Mi mancava Bea, il mondo che avevo costruito con lei stava scomparendo con quel triste episodio del mio amico.
Lentamente mentre scrivevo, quel mondo aveva ripreso forma, e Bea era lì con me, bella e sorridente come sempre. Le avevo fatto la proposta che da molto tempo prima, mi ero imposto di farle. Quel giorno finalmente trovai il coraggio di farlo. Le chiesi di sposarmi. Mi parve di vederla davvero. Lei di fronte a me, che mi guardava con quegli occhi grandi, splendenti come stelle.
Avevo organizzato tutto nei minimi dettagli. La carrozza trainata da bianchi cavalli e la suite di lusso a Parigi per le nozze.
Nei giorni a seguire, era andata con Rosi a scegliere l'abito e i fiori, mentre io ero andato con Davide per farmi aiutare nella scelta di un completo all'altezza per quel momento così particolare.
Erano giorni speciali tutti emanavano felicità, persino Carlo, che sulle prime non era stato dalla mia parte. Rosi invece era la felicità in persona e non poteva essere altrettanto felice in quei giorni di festa. Una grande festa, la mia e di Bea.

Durante la mia scrittura mi sentii rinascere, la tristezza che prima mi tormentava era completamente scomparsa. PUF, svanita, senza lasciare traccia alcuna.
Dopo ormai tre ore di lavoro su quelle pagine, si fece sentire la fame. La ignorai, dicendomi che quella volta non mi sarei staccato dalla dolce compagnia delle parole, che dall'anima si riversavano su quei fogli di carta. Le pagine bianche prendevano vita sotto i battiti continui della mia macchina per scrivere, che mentre produceva quel suono incessante dei tasti accompagnati dalle mie dita; di fronte a me, si apriva un mondo che ai miei occhi, era tutt'altro che irreale.
Andai avanti così per ancora un po', non saprei quanto, ma ad un tratto ci fu un blocco.  Mi ero soffermato per riguardare un pezzo di ciò che avevo scritto, e questo bastò per impedirmi di proseguire. Mi sentii abbattuto, ma d'altronde non potevo prendermela. Scrivevo ormai da un po' di tempo, che come al solito quest'ultimo mi era sfuggito. "Sono stanco" mi dissi.

Mi alzai dalla poltrona, tirai fuori il foglio dalla macchina per scrivere e lo esaminai ancora un po' attentamente. Infine lo misi sopra il blocco di bozze che avevo sulla scrivania.
Andai in camera mia, portandomi con me qualcosa da stuzzicare e il volume che avevo comprato da Davide, l'ultima volta che lo avevo visto vivo.
Quando arrivai in camera, mi buttai sopra il letto, guardai il libro e sentii bruciore agli occhi e al naso. Piansi, la tristezza tornò a farmi compagnia. Quel maledetto libro, era l'ultimo suo ricordo.
Lo guardai un attimo, dopo essermi asciugato le lacrime con il dorso delle mani. Lo aprii intenzionato a cominciare ad immergermi nella lettura, alla fine però esitai. Guardai le pagine, una dietro l'altra, come se stessi leggendo, niente più.
Lo richiusi e lo poggiai accanto a me, sul letto.

"Che faccio?" Mi chiesi. Ero ancora intento di scoprire la verità su quello scrittore, anche dopo la morte di Davide. Anzi fu quello a farmi sentire ancor più determinato. Lui non è morto invano, la verità verrà a galla ma ora come ora non posso fare nulla, "dovrò attendere". Dissi tra me e me con voce bassissima. Fu un sussurro.
Ero convinto che la verità poteva trovarsi dietro l'assassinio di Davide. "Chi ha fatto questo, lo ha fatto per nascondere la verità" dissi ancora, questa volta ad alta voce.
Poi decisi.
Devo andare alla casa numero 68. Ma come? Chissà se Carlo mi accoglierebbe ancora nella sua dimora.
Fu un pensiero fugace, ma chiaro. Più valutavo quell'opzione, e più la trovavo come mia unica possibilità. In fondo di cosa avrei dovuto preoccuparmi?

***

Il giorno seguente, mi preparai per uscire. Alle 7 in punto ero già pronto.
Uscii di casa dieci minuti dopo, salii in macchina, accesi il motore e aspettai che  cominciasse a scaldarsi. Era ancora periodo di autunno, a quell'ora del mattino però sembrava quasi inverno.
Dopo cinque minuti di attesa, ingranai la marcia e mi misi in viaggio.
Fuori era già illuminato, ma il sole si nascondeva timido dietro a qualche nuvola di passaggio, sperai. Non avrei voluto vedere la pioggia anche quel giorno.
Arrivai abbastanza in fretta al mio bar preferito. Parcheggiai d'avanti e andai dentro a consumare una sostanziosa colazione. Era tanto che non mangiavo le brioches speciali "dell'ora del caffè". Le più buone in assoluto, e anche le più grandi. Mi ricordavano un po' quelle del panettiere della città degli anonimi... quindi mi correggo, erano le sue le migliori.
Dopo aver mangiato, come chi non mangia da un secolo e qualche decennio, mi alzai e andai a pagare il conto. Fatto ciò, uscii dal bar, mi accesi una sigaretta e la assaporai tirando lentamente e con calma. Era una giornata particolare. Non mi sentivo triste ma nemmeno felice, avevo una sensazione strana. Ero come rilassato, come chi ha sempre tutto sotto controllo, la cosa curiosa era che nel mio caso non si poteva dire certo altrettanto. La situazione mi era sfuggita di mano da un pezzo, ma l'idea di andare a trovare Carlo mi dava una speranza. Non grande. Molto ma molto piccola. Però c'era, era lì che mi osservava mentre fumavo, con i suoi occhi fiduciosi.
La strada davanti al bar, era deserta. Soltanto io al centro di quella città, cosa che avevo sempre amato. Mi dava un non so ché, di quiete, come se la città potesse parlarmi, sussurrandomi parole di conforto. Mi parlava sottovoce, rivelandomi tutti i suoi segreti. Questa era la sensazione, perché ovviamente io di quella città, per quanto avessi vissuto la mia vita con essa, non la conoscevo abbastanza e mai la conoscerò alla perfezione.

Eclissati Dall'ombraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora