parte 6

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Quando arrivai a casa, mi sedetti sopra il divano. Avevo preso la bottiglia di Whisky dal mobiletto degli alcolici, dicendomi che me la sarei bevuta fino all'ultima goccia. La bottiglia era ancora sigillata. La aprii e mi versai il primo bicchiere.
Avevo preso un bicchiere grande, niente bicchierino. Avrei potuto anche bere attaccandomi alla bottiglia, dato che le mie intenzioni erano quelle di svuotarla.
Tirai giù un bicchiere dietro l'altro, mentre dai miei occhi, sgorgavano lacrime come se avessi iniziato a eliminare ciò che bevevo attraverso il pianto. Inizialmente mi bruciavano forte, ma poi dopo che l'alcool iniziò a fare effetto, smisi di sentire bruciore. Inoltre smisi di piangere dopo un po', come se d'un tratto mi fossi scordato il motivo per il quale un attimo prima, mi feci rigare il viso dai suoi salati rivoli.

Non so quanto durò quel momento. So solo che ci fu un periodo di standby.
Quando ripresi coscienza, per così dire, mi resi conto di essermi addormentato con la testa rovesciata all'indietro. La bottiglia era appoggiata a me, sul fianco destro. La presi la guardai, e il primo sintomo che provai fu quello della nausea. Avevo bevuto gran parte del suo contenuto.
Mi alzai. Le mie gambe stentavano a reggermi, quindi barcollando, andai su per le scale tenendomi aggrappato al corrimano. Entrai dentro il bagno dopo aver sbattuto contro entrambe le pareti del corridoio, e mi inginocchiai sul gabinetto. Mi sentivo morire.
Quando finii di vomitare, mi misi a sedere contro il muro e rimasi lì, con il puzzo che invase il bagno. Mi addormentai nuovamente.

Mi risvegliai pensando di aver dormito delle ore, la testa mi faceva male, le tempie pulsavano impazzite. Mi rialzai disgustato dalla puzza che aleggiava in quell'angusto spazio. Guardai il gabinetto, mentre la nausea si fece sentire di nuovo. Allungai la mano verso il tasto per scaricare, e fui sollevato nel sentire il profumo del detergente igienico che ripuliva il mio wc.
Reggendomi alle pareti, mi indirizzai lentamente verso la mia camera. Aprii la porta e mi precipitai a letto senza nemmeno spegnere la luce del corridoio, o chiudermi la porta dietro di me. Mi addormentai vestito. 

***

Mi svegliai il giorno seguente. Avevo la nausea e la testa mi faceva così male, che la sentivo esplodere.
Ero triste. Mi sentivo solo, abbandonato alla mia depressione. La morte di Davide per me fu uno choc indescrivibile. Sopratutto perché mi sentivo in colpa. Cercavo di allontanare quell'idea, ma alla fine lo sapevo bene che fosse colpa mia. Se io non avessi chiesto a lui di indagare su quella casa editrice non gli sarebbe successo nulla. Sapevo che non sarei riuscito a vivere con quel senso di colpa, mi avrebbe tormentato per il resto dei miei giorni. Quindi mi dissi una cosa, avrei fatto di tutto per arrivare all'assassino di Davide e vendicarlo. Ma soprattutto non avrei mai più coinvolto nessuno in quella storia, nemmeno per scovare l'assassino.
Qualcosa mi diceva che le forze dell'ordine non avrebbero scoperto proprio niente. Pensando a tutte quelle volte in cui un omicida la faceva franca, confermai quell'idea che mi girovagava per la testa. Forse da una parte speravo che la polizia non lo trovasse. Forse avrei preferito trovarlo io e fargli esattamente ciò che lui aveva fatto al mio amico.
"In fondo che cos'ho da perdere?" Mi domandai. "Niente" mi risposi. Fu in quel momento che decisi che cosa avrei fatto. Avrei atteso in silenzio, avrei aspettato il tempo necessario per scoprire l'assassino. Dopodiché avrei trovato il modo per arrivare a lui e compiere il mio obiettivo, ne ero certo, sapevo che sarebbe andata così.

Quel pensiero mi fece sentire meglio. Scesi dal letto e andai giù, in cucina. Una volta arrivato lì, presi la caffettiera, la aprii e la riempii di acqua e caffè. Infine la misi sopra la fiamma lenta del piano cottura, per farlo bollire adagio.
Aprii l'armadio della cucina, quello dove di solito tenevo i biscotti, e scoprii non con troppo entusiasmo (anche se mi sollevò un po' il morale), che il pacco che qualche giorno prima avevo comprato fosse ancora lì. "In fondo chi avrebbe dovuto prenderlo dal suo posto? Sono solo, come un cane abbandonato in una stazione di servizio", pensai tristemente.
Il pacco di biscotti era ancora chiuso, quindi lo aprii e ne mangiai uno nell'attesa del caffè. Li trovai buoni nonostante il gusto amaro che avevo in bocca. Erano tenerissimi, nel momento in cui entravano in contatto con la saliva, questi si scioglievano in bocca, così da non doversi nemmeno disturbare per masticarli più di tre o quattro volte. Cosa che trovai davvero confortante, visto lo stato in cui ero.
Mi alzai sentendo il caffè ormai pronto, bollire all'interno della caffettiera in modo rumoroso. Spensi la fiamma, presi una tazzina dal mobiletto posto all'altezza della mia testa e me ne versai un po'. Presi lo zucchero, ne misi dentro la quantità di un cucchiaino e mescolai, mentre la mia mente aveva iniziato a fantasticare. Ogni volta che giravo lo zucchero dentro il caffè, io pensavo, mentre giravo e giravo dentro la tazzina per qualche minuto. Non perché ero convinto che ci volesse tutto quel tempo affinché lo zucchero iniziasse a dissolversi, ma perché mi perdevo semplicemente nei pensieri.

Eclissati Dall'ombraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora