parte 10

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Un'ora dopo o poco più, mi fermai, stirando la schiena con le braccia sollevate e piegandomi all'indietro. Tirai fuori l'ultimo foglio sul quale avevo scritto dalla macchina, lo guardai e lessi attentamente il mio lavoro.
Rileggendolo dall'inizio, mi accorsi che non era ciò che mi aspettavo, ma mi piaceva. Avevo colto il punto e potevo dirmi soddisfatto del lavoro fatto. Ovviamente ero solo alle prime pagine del romanzo che avevo in progetto, ma era sicuramente da reputare un buon inizio. Quella volta, come non succedeva quasi mai, fui soddisfatto di ciò che stavo creando. "Buon segno" mi ero detto. Poi mi alzai dalla poltrona, mi sgranchii le gambe passeggiando per lo studio, poi andai in bagno a farmi una doccia.

Avevo intenzione di uscire quella sera. Pensai di cenare in un ristorante in centro Ivrea. Certo, andare a mangiare senza avere nemmeno una mosca che ti faccia compagnia, non è esaltante. Ma credetemi, nemmeno mangiare tutte le volte in una casa dove, ogni minimo rumore non può che essere provocato da te. È una situazione triste, e io lo avevo provato in quel periodo, quindi ve lo posso garantire.
Quando finii di fare la doccia, uscii dal box ancora gocciolante e mi allungai verso la parete a prendere l'accappatoio. Dopo che mi asciugai, andai alla cabina armadio e mi vestii. Indossai un paio di blue jeans e una camicia bianca. La accompagnai a una leggera sciarpa nera e una giacchetta grigia. Quando sarei uscito di casa avrei indossato il cappotto nero.
Dopo che finii di vestirmi, tornai in bagno e pettinai i capelli all'indietro con un pizzico di cera. 

Uscii alle 19 in punto. Salii in macchina e andai verso il centro, viaggiando a velocità molto ridotta. Ero rilassato, non avevo fretta, nemmeno tantissima fame ma sapevo bene che una volta che mi sarei seduto al tavolo l'appetito si sarebbe acceso, come un incendio tra gli alberi, provocato accidentalmente in piena estate.
Arrivai una ventina di minuti dopo la partenza, parcheggiai la macchina nel parcheggio del ristorante e mi addentrai al suo interno.
Si chiamava "L'ostrica". Ammirai l'accoglienza di quel posto, mi piaceva. Era un ambiente tranquillo, illuminato in modo leggero da dare un'atmosfera di pura pace. I tavoli erano posti in diverse sale, arredate in stile moderno. Notai i numerosi quadri appesi ai muri, ma mi catturarono i vasi che ogni tavolo portava al suo centro, pieni di fiori freschi e profumati. Passando tra un tavolo e l'altro, riuscivo a sentirne l'odore.
Davvero incantevole. Il posto perfetto per un'uscita romantica, pensai. Un pensiero che non mi diede molta carica positiva, anzi. Intorno a me, vedevo tavoli dove: coppie, amici o comunque tavolate di molte persone, ridevano e scherzavano felici. Io che ci facevo lì? Scossi la testa, guardai in fondo e vidi un tavolino piccolo da due persone. Fu quello il posto che scelsi.

Non aspettai molto per mangiare. I camerieri erano rapidi e cortesi, pensai che anche i cuochi fossero molto rapidi nel loro lavoro, quindi il mio primo arrivò poco dopo l'ordine.
Il cibo era buono, l'accoglienza di quel posto (come già detto) anche. Mi sentii a mio agio per fortuna.
Quando mi arrivò il secondo, mi accorsi che in un tavolo poco più distante dal mio, un tizio, di tanto in tanto mi fissava con curiosità. Dopo quella volta, non feci altro che notare le sue occhiate furtive. Fu così fino quando mi arrivò il caffè, dopodiché lo vidi alzarsi e venire verso il mio tavolo.
«Mi dispiace disturbarla... ma lei è Stefano Rinaudi, lo scrittore?»
«Sì, sono io» gli risposi.
«Posso?» mi domandò mentre aveva tirato verso di sé la sedia che avevo di fronte.
«Certo, si sieda pure».
Dopo aver dato a lui il consenso, prese posto, sistemò bene la sedia sotto il tavolo e iniziò a guardarmi sorridendo.
«Ho letto entrambi i suoi libri, volevo farle i complimenti. Le parole che lei scrive, mi hanno appassionato dal primo libro e non ho potuto che aspettare l'uscita del secondo. Per fortuna non si è fatto attendere...» poi si fermò, per proseguire un attimo dopo, il terzo invece si sta facendo attendere o sbaglio?»
«Non sbaglia...» gli dissi, «ma ci sto lavorando, quindi speriamo che presto sentirà di nuovo parlare di me» gli risposi sorridendogli.

Era un tipo piuttosto magro, nonostante la sua bassa statura, che riuscii a notare nel momento in cui stava venendo incontro al mio tavolo. Doveva avere qualche anno in più di me, aveva una faccia bella sbarbata e portava degli occhialini tondi da vista alla moda. I capelli li portava all'indietro come li avevo pettinati io per quella sera. I suoi occhi erano verdi come se fossero olive. Aveva un non so ché, che mi dava l'impressione di avere già visto la sua faccia da qualche parte. Tuttavia non ne ero sicurissimo, quindi tralasciai ignorando quella sensazione.
Era vestito bene, con classe. Uno stile davvero impeccabile anche se semplice. Aveva una polo nera, coperta da una giacchetta elegante di colore beige, così come i pantaloni.
Parlava con una tonalità bassa, ma in modo veloce, scandendo comunque alla perfezione le parole.
«Me lo farebbe un autografo?» mi aveva domandato dopo aver ricambiato il mio sorriso. Sarebbe stato bello chiederle una dedica su uno dei suoi libri, ma chi avrebbe mai pensato di incontrarla qui?» disse mentre rideva divertito.
«Ma certo. La dedica gliela posso fare anche ora, non è come sulla prima pagina di un libro ma meglio di niente, giusto?»
«Giusto».
Infilò la mano destra dentro la giacchetta, estraendo dal taschino interno, un mini block notes e una penna a sfera. Me li porse. Io li presi, appoggiai il block notes sul tavolo e tolsi il tappo della penna.

Un abbraccio a...

«Il suo nome?» gli domandai, alzando gli occhi verso il suo volto.
«Oscar».

...Oscar, che spero abbia potuto cogliere il meglio dalle mie parole.
                                             
                                           Stefano Rinaudi.

«Ecco qui» gli dissi mentre riconsegnai a lui il suo block notes e la penna.
«Grazie è stato un piacere incontrarla di persona».
«Il piacere è tutto mio» gli risposi mentre osservavo il suo sorriso. Sembrava davvero contento, quindi lo fui anch'io.
«Ora vado a pagare il conto, buon proseguimento».
«Buona serata a lei».

Mentre andò via, lo vidi girarsi verso di me, con un sorriso che ricopriva la sua faccia, come con una maschera di plastica. Non più quel sorriso contento di prima. Quella curvatura delle sue labbra si fece un po' strana in quel momento, ma ancora una volta decisi di abbandonare quella curiosa sensazione.
Io rimasi ancora a tavola. Chiamai il cameriere e mi feci portare una bottiglia di vino, avevo intenzione di prolungare la mia permanenza in quel graziosissimo locale.
"Dove avevo già visto quel tizio?" Mi chiesi dopo qualche sorsata di vino. Era buono, aveva un gusto dolce e una moderata gradazione. Aveva una temperatura tiepida, e ogni sorsata la gustai con piacere.
Tornando al tizio che mi aveva chiesto l'autografo... non seppi darmi risposta, quindi pensai che fosse stata una mia semplice impressione. D'altronde non ero solito frequentare locali affollati, e tanto meno le strade della città ormai. Di conseguenza non avrei avuto tantissime occasioni per incrociarlo da qualche parte.
Avevo bevuto soltanto due bicchieri di quello squisito vino, quando decisi di alzarmi per andare a pagare il conto. Ne avrei bevuto volentieri dell'altro ma non volevo anestetizzare i miei sensi.
Uscii e andai alla macchina, poi decisi di andare in un pub. Quella sera non riuscivo proprio a decidermi di andare a casa. Che cosa stavo cercando veramente? Forse un po' di compagnia, sì, come quella di quel tizio che mi si era avvicinato per la dedica.
Forse.

Eclissati Dall'ombraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora