Capitolo 2

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I corridoi dell'ospedale sono ancora vuoti, l'unica cosa che si sente è il rumore dei miei passi. Seguo le frecce che indicano la direzione del mio reparto, quando entro mi ritrovo avvolta da sconosciuti, faccio un cenno imbarazzato con la mano.

Non riesco a fare in tempo a dire nulla che dietro le mie spalle appare un medico di circa sessant'anni, occhi azzurri, capelli bianchi. Ci saluta e, dicendoci di sbrigarci a cambiarci, ci accompagna verso un'aula, ci sediamo intorno e inizia a spiegarci come funzionerà il master; il nostro orario va dalle 8 del mattino alle 14, la mattinata si dividerà tra le lezioni teoriche e il tirocinio in clinica, ognuno di noi avrà un compagno, il mio è un ragazzo alto con occhiali, corpo atletico, si chiama Max.

Max sembra conoscere molto bene questo posto.

"Allora tu da dove vieni?", mi chiede incuriosito dal mio nome.

"Sono italiana ma mi sono laureata qui lo scorso luglio".

"Interessante", mi sorride, "Io gironzolo in questo reparto da circa due anni e questo era il mio anno! Finalmente mi hanno preso".

Entriamo in reparto, lui saluta tutti ma nessuno sembra fargli molto caso.

"Salve ragazzi, mi chiamo Alejandro e sono il vostro tutor, per qualsiasi cosa chiedete pure a me".

Alejandro è di altezza media, occhi azzurri e pochi capelli biondi, sembra molto alla mano e cortese mentre ci spiega come funziona il reparto. Tuttavia mantiene un atteggiamento distaccato e presuntuoso.

Veniamo assegnati ciascuno a un masterista più grande che dovremo seguire come se fossimo la sua ombra, fantastico! Sarò la schiava di qualcuno. La mia coppia grande è un ragazzo albanese.

"Ciao, io sono Sebastian", mi porge la mano.

"Ciao, io sono Maria...", non faccio in tempo a terminare la frase che mi blocca.

"Allora in laboratorio ci sono delle impronte da colare per fine mattinata, altre da squadrare entro le 13, ti dico le 13 perché io alle 13:05 devo essere fuori di qui per scappare al lavoro invece tu potrai restare tutto il pomeriggio per fare i miei casi, nulla di complicato altrimenti non te lo direi".

Rimango sconcertata dalla sfilza di ordini che mi sta impartendo ma, visto che è il primo giorno, decido di non ribattere su nulla. Ho già capito che per oggi non se ne parla di vedere pazienti, mentre vado verso il laboratorio a testa bassa, cerco di mantenere la calma.

La mia mattinata procede quindi dentro questa stanza, chiacchiero a malapena con qualche nuovo compagno di corso, sembrano abbastanza tranquilli.

Noto con piacere che alle 13 il reparto si svuota quindi ho finalmente il tempo per prendere il cellulare, concordo un appuntamento in mensa con Sam.

"Finalmente qualcuno di amico", mi abbraccia insofferente.

"Va tutto bene?", le domando preoccupata.

"Sono in una fossa di leoni", indica il suo reparto, "Sono pronti ad azzannarsi reciprocamente". Prendiamo il vassoio e ci mettiamo in fila.

"Non dirlo a me, ho una coppia grande che pensa di avere a che fare con una schiava", prendo l'insalata dal frigo.

"A proposito di schiava", mi interrompe la mia amica, "Dov'è Rafa?".

"E cosa vuoi che ne sappia? Sarà a fare il suo lavoro".

Nonostante siamo nello stesso ospedale non è detto che possa riuscire a vederlo sempre, abbiamo orari completamente diversi, inoltre lui ha anche le lezioni all'università e qualche ora nella clinica universitaria, ecco perché appena rientrati da Porto mi sono trasferita da lui, sapeva bene come sarebbero state le nostre giornate.

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