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Sai che c'è Laura?! Mi hai stancata: qualsiasi cosa io faccia tu la copi e questa cosa è irritante. Lo so che sei arrabbiata con me per la storia che ho Luca, non credere che non lo sappia, ma non c'è un contratto che determina che tu possegga qualcuno. E poi lo hai scaricato tu! Quindi non rompermi le scatole e pensa alla tua vita di merda. Spero davvero che tu soffra tanto quanto sto soffrendo io e che trovi qualcuno che ti ripaghi con la stessa moneta, perché non hai né avrai mai il diritto di trattare qualcuno come tratti me. E ricorda: la troia qui non sono io, bensì tu che passi da un ragazzo ad un altro nel giro di due ore come fossero cioccolatini da scartare! ".

Sì, l'ho scritto in corsivo. Quindi sì, non ho detto queste cose a parole, bensì in un messaggio. Sì, va bene, diciamolo tutti insieme: sono un'enorme testa di cazzo. Oh, là. Detto, okay?

Perché lo avevo scritto? Avrei semplicemente potuto mandarla a quel paese e invece? Avevo agito d'impulso, ancora. E avevo fatto ciò che volevano Laura e Valeria: avevo dato loro un ulteriore motivo per far emergere delle polemiche su di me ed evidenziare che la "cattiva" della situazione ero io.

Ma, andiamo, ero fuori di me quando scrissi quel messaggio e non ho pensato alle conseguenze.

"Qualsiasi cosa scrivi resta su internet!" era l'unica delle tante cose che mi stava urlando mia madre che recepii. Ah, maledizione, perché nessuno mi capisce? Avere una fotocopiatrice umana che ti segue ogni giorno non è poi così semplice. Così come non è esattamente facilissimo rilassarsi quando si soffre di attacchi di panico, colite e gastrite da stress e ci si ritrova a gestire una quasi espulsione perché due pettegole non hanno saputo stare al loro posto!

Decisi di uscire con Alice, quella che sembra essere diventata la mia migliore amica. È l'unica che non si comporta come un "paparazzo" cercando qualcosa di cui incolparmi o da mettere in mostra.

Ad un certo punto Alice iniziò a registrare un messaggio vocale, e disse: "Saluta la troia Grace". Non sapevo a chi fosse indirizzato, e per di più stavo giocando a biliardino, così mi limitai ad un semplice "ciao" assorto.

* * *

Il giorno dopo Laura nemmeno mi guardò. Mi sentivo bene dopo averle detto ciò che pensavo, o almeno così mi sembrò fino alle due del pomeriggio. All'uscita della scuola, fuori dal cancello, intravidi la sorella maggiore di Laura, Giulia. Alta si e no un metro e cinquantacinque, la vedo che mi guarda come se volesse uccidermi.

Non credo abbia mai capito veramente come fossero andate le cose. Questa mia deduzione arriva sia da quel che mi disse appena le arrivai vicino, sia dal fatto che trattava sua sorella come se l'avessi appena investita.

Appena le passai vicino, mi si parò davanti, e io mi pietrificai. Non tanto per lei, quanto perché detesto fare figuracce in pubblico.

"Mia sorella non è una troia, chiaro? Forse sei tu qui la troia. Non sai il significato delle parole, quindi non parlare". Le sue parole mi entrano in testa come dei coltelli. Facevano male, e tanto. Ma la cose che mi fece più male di tutte fu vedere tutte le mie compagne di classe che ridevano guardandomi e i genitori in silenzio, a fissare la scena, senza dire niente. E credetemi, tutti sapevano come erano andate le cose.

Fermi tutti, sul serio? Nessuno che dicesse nulla? Patetici.

Annuii a Giulia, senza dire una parola, solo perché mi lasciasse tornare a casa.

Se le avessi risposto, probabilmente avrei detto qualcosa di peggio di quel che avevo scritto a sua sorella. Chiamai mia madre strada facendo, in preda ad un attacco di panico. Quel giorno ero a piedi, quindi avevo tutto il tempo di riflettere.

"Cambio sezione da sola se non provvedi tu, giuro" le dissi piangendo. Spiegai velocemente a mia madre cosa stesse succedendo e, per tutta risposta, disse un semplice "ok", per poi riagganciare. Io non stavo capendo più nulla, così decisi di smettere di piangere e di farmi domande, così da arrivare a casa, sotto la doccia calda, il prima possibile.

* * *

Facevo pattinaggio sul ghiaccio in quel periodo e, andando ad allenamento, il giorno stesso dell'accaduto, mia madre chiamò quella di Laura, Francesca, e le sue parole congelarono perfino me, per un momento.

"Francy, ciao. Senti...non so se sai cosa sta succedendo tra le nostre figlie, ma a me non sta per niente bene il fatto che tua figlia più grande, senza nessuna autorità, fra l'altro, fermi mia figlia fuori da scuola per farle la predica, è chiaro? Quindi, o ne parliamo io e te, o questa storia non va a finire bene". Tutte queste parole le uscirono con una freddezza e una serietà inimmaginabile, quasi innaturale, si direbbe, guardando mia madre.

Risi dentro di me, pensando alla faccia della madre di Laura. Pensava seriamente che non dicessi niente? Patetica pure lei come sua figlia e mezzo mondo che mi circondava.

"Si, ehm...s-so cosa succede, ma...so anche...so anche cos'ha scritto tua figlia alla mia. Non sapevo di ciò che avesse fatto Giulia, e mi...mi scuso da parte sua. Quindi, proporrei che le nostre figlie cercassero di risolvere le cose anche fra di loro, perché mi sembra brutto lasciare tutto cosi...". Balbettò durante tutto il discorso. Sapeva perfettamente di essere nel torto, così come sapeva che anche le sue figlie lo erano. Solo che, come era caratteristico in quella famiglia, salvarsi in corner era una specialità, giocando a scarica barile. Se solo avesse saputo che volevo tutta la loro famiglia eclissata dalla faccia della terra...ma questa è un'altra storia.

In quel momento, mentre mi sfilavo il copri lama dai pattini, avevo chiare due cose: la prima, che sapevo già, era che da quella famiglia bisognava girarci al largo. E la seconda, che sapevo ma non avevo realizzato, era che mia madre avrebbe fatto qualsiasi cosa per me, e potevo pur star certa che saremmo sempre state inseparabili. Io e lei.

* * *

Dopo una predica di mia madre durata non so quanto, la mattina dopo io e Laura parlammo con i professori.

Ero confusa su una cosa: perché avevamo tirato in mezzo anche loro? Cioè, la cosa non riguardava noi? E allora che cosa ci facevamo lì, con i professori? Poi capii: garanzia. A quella famiglia importava solo ed esclusivamente di avere qualcuno che potesse contare dalla loro parte. Sì, insomma, in modo da fregarti ben bene, qualora ce ne fosse stato bisogno.

"Ragazze, capita di avere dei litigi a questa età, ma non potete farne un affare di stato così" disse la professoressa di matematica. Affare di stato, io? Non lei?

"Sì, diciamo che concordo. Ma tu, Laura, hai esagerato un po'. Anche tu però Grace dovresti controllare le risposte" continuò la professoressa di italiano. Con lei ho sempre avuto meno da ridire, su qualsiasi cosa. Sapeva guardare bene le persone, e sapeva chi fossero quelle a cui stare lontani.

Uscimmo dall'aula di scienze, dove avevano parlato fino a pochi minuti prima.

"Beh, a questo punto, scusami" dico, arrossendo per l'imbarazzo. Stavo davvero chiedendo scusa a quella lì? Ebbene sì amici. L'ho fatto.

"Devo chiederti scusa anche io, sono stata idiota a comportarmi così con te" mi rispose. Ci abbracciamo e scoppiamo a ridere.

Chissà, forse c'è sempre una seconda chance per tutti, forse le persone cambiano veramente... Sì, di calzini cambiano.

E questa sono ioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora