•Capitolo 15•

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Alice uscì dal locale. L'aria, era, ancora, rigida, seppur meno fredda, rispetto gli altri giorni.

Stava pensando che, a breve, sarebbe stato Natale.
Quella festa le ricordava l'infanzia. Quando, con i cugini che, ora vivevano in Australia, si riunivano attorno al grande tavolo della sala hobby, in casa della zia Julie. Si mangiava tanto e di tutto. I piccoli, dopo pranzo, giocavano mentre gli adulti erano soliti trascorrere le ore, seduti, a conversare o a giocare a carte.

Ormai, quella festività non era più tanto gradita alla ragazza perché i rapporti con quei parenti, vivendo lontani, si erano, con gli anni, diradati. Infatti, si sentivano sporadicamente.

A tal riguardo, le venne in mente che, la sera prima, si era ripromessa di contattare Carlo ma che non aveva avuto l'opportunità di farlo, perché era rimasta a dormire da Tracey.
Le faceva piacere avere qualcuno su cui fare affidamento, anche se distante. Era sempre più convinta che quando si fosse presentata l'occasione, sarebbe, volentieri, partita per l'Italia, per trattenersi, almeno, un paio di mesi. Tanto non aveva, quasi, nulla che la trattenesse lì, salvo la zia, la migliore amica e il lavoro.

Quel giorno, era giu' di morale. Da quando aveva perso i suoi, si ripeteva, ogni anno, la stessa storia. In quel periodo, la pervadeva un alone di malinconia che la trascinava giù negli abissi, levandole ogni forza.
Un po' era l'atmosfera circostante che favoriva l'avversione a quella ricorrenza che, invece, quando era bambina, adorava, così tanto. Anche se non avrebbe voluto pensarci, per la strada e nei negozi c'erano luci e festoni ovunque, a ricordarle quel periodo. Si potevano udire, in lontananza, le canzoni di Natale provenire dalle scolaresche.

Londra era avvolta da quella atmosfera che rendeva tutti felici, anzi quasi tutti. Qualsiasi concittadino, tranne lei e altri disperati che avevano perso, proprio, come la ragazza, gli affetti più cari. La sua vita si era interrotta quando erano morte le persone più importanti al mondo.

"Buongiorno", salutò il collega e i proprietari della lavanderia.
Non li guardò, nemmeno, sul viso, talmente fosse scura in volto.
Non voleva si accorgessero del suo stato di animo.
Dall'altra parte, risposero così gioiosamente, che si sentì, addirittura, in colpa per quei cupi pensieri che l'avevano accompagnata quella mattina.

In silenzio, prese gli indumenti da stirare e iniziò a trafficare tra jeans e camice.
"Ce ne sono altri?" Chiese a Nick.
Argutamente, il collega rivelò ciò che, malcelatamente, la ragazza voleva nascondere, "qualcosa mi dice che oggi non è giornata. Comunque, si ci sono altri vestiti da stirare."
Glieli passò, prontamente.

Continuò, sempre in silenzio, a svolgere quella mansione, fino a che, non sentì una voce familiare. Aveva un timbro caldo e deciso, quasi inconfondibile. Era avvolgente, al pari di una carezza.

Nick era rimasto al desk, per servire, se ce ne fosse stato bisogno, i clienti, mentre Alice stazionava in un angolo della sala, per occuparsi di una moltitudine di vestiti, che avevano bisogno di essere stirati. Da quell'angolatura, non riusciva bene a scorgere chi entrasse.

Quel cliente, subito, affermò "devo ritirare degli abiti"
"Qual è il cognome?"
Sentì la ragazza domandare al collega.
"Lewis", fece lui.

Si interruppe di colpo.
Non poteva essere lui.
Però, non le sembrava affatto, la voce del padre. Parlandoci, l'aveva memorizzata. Quella, ci poteva giurare qualsiasi cosa, non era il timbro di quell'uomo conosciuto pochi giorni prima.

Prese a martellarle il cuore. Temeva le potesse prendere un coccolone. Se avesse misurato i battiti cardiaci, in quel preciso istante, avrebbe, sicuramente, mandato in tilt il macchinario. La tristezza di poco prima scomparve per lasciare spazio a un'adrenalina che le aveva reso turgidi, perfino, i capezzoli.
Questa cosa la sconvolse.
Era sicura fosse un fuoco di paglia quando, invece, solo sentirlo parlare le aveva scatenato una vera e propria crisi ormonale.

Non voleva che la vedesse spettinata e struccata. "Sono impresentabile", pensò.

Lo immaginava come quella sera, quando lo aveva conosciuto alla galleria d'arte, profumato e impeccabile nei suoi abiti di alta sartoria. Era bellissimo. Aveva uno sguardo magnetico e penetrante.

Alice, quella mattina, invece, indossava abiti del giorno prima e per sbrigarsi non si era, nemmeno, degnata di mettersi il rimmel.

Ora, pensava che l'avrebbe rivisto l'indomani, al bowling.
Non sapeva se sarebbe riuscita a sopravvivere dopo aver trascorso un'intera serata in sua compagnia.
Lo stomaco le si chiuse e la tachicardia non accennò a diminuire.
I battiti rallentarono, definitivamente, il loro corso, solo mezz'ora dopo che se ne fosse andato.

Nick la chiamò, "Alice non ti ho sentita più fiatare. Sei ancora viva?"
"Si, per tua sfortuna!" Rise.
"Oppure pensavi che fossi scappata dal retrobottega?"
Risero insieme, di buongusto.

A winning love (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora