Capitolo 43

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Paris' pov

Possono succedere tantissime cose in dieci anni, soprattutto considerando che io ne ho soltanto diciotto. Dieci anni fa giocavo ancora con le bambole, chiedendomi dove fosse la mia mamma e pensando che avrei avuto soltanto un fratello nella mia vita. In dieci anni sono cresciuta, sono maturata, sono diventata grande ed ho conosciuto le persone più importanti della mia vita. Sapendo comunque che, qualunque cosa fosse successa, mio padre sarebbe sempre stato lì con me a vedermi crescere.

Ma adesso? Chissà chi sarò tra dieci anni. Chi avrò conosciuto, chi sarò diventata, che lavoro farò e altre mille cambiamenti. Quando mio padre sarà fuori dal carcere e mi guarderà sarà come vedere una sconosciuta con un viso vagamente familiare, come quando si sogna qualcuno con dei tratti comuni e vedi una persona simile nella realtà.

«Non posso crederci.» William sta scuotendo la stessa, incapace di dire altro da cinque minuti buoni. Ha fatto sfogare prima me, che ho pianto come una bambina piccola, e adesso lui. Stiamo gironzolando per i corridoi di questo tribunale, senza sapere effettivamente dove stiamo andando. Credo che tornare a casa ora sia troppo per noi. Troppi ricordi, troppe emozioni. Mi ero anche abituata al calore della casa degli zii di Clyde, ma sarebbe sbagliato chiedergli di rimanere ancora qualche giorno lì. «Dieci anni? Pensavo cinque, o lì per giù qualcosa del genere, ma non dieci. Non ha ucciso nessuno, cazzo.»

«Le sue droghe sì, però.» Lo correggo, anche se con un magone alla gola. Non mi piace ricordarlo o pensarci. Perché quando penso che la mia vita stia andando per il verso giusto arriva qualcosa che rovina tutto? Andava così bene fino a quando non è arrivato Blake. Avevo una madre, un padre e due fratelli. Avevo un futuro certo, degli amici con cui lamentarmi di non aver mai avuto un ragazzo serio e sempre il sorriso sulle labbra. «Credo che il punto sia che anche se è stato costretto da Lee, comunque ha infranto la legge. Perciò lo sconto è stato minimo.»

Liam sta per ribattere, lo vedo da come corruga la fronte e apre leggermente la bocca, in cerca di parole, ma viene interrotto da una voce che ho già sentito. Nei video ricordi e qualche minuto fa davanti al giudice. «Ragazzi.»

Mia madre ci guarda dalla fine del corridoio con un debole sorriso ad incorniciarle il volto. Gli occhi uguali ai miei ci scrutano ed i capelli castani chiari sono raccolti in uno chignon ordinato. «Dorothy.» Risponde William, per entrambi.

Una volta pensavo di volerle bene lo stesso. Pensavo di capire perché mi avesse abbandonato, perché avesse lasciato papà con due figli piccoli, e so che non cambierei niente di quello che è successo fino ad ora. Non la volevo nella mia vita prima e non la voglio di certo ora. Ma sono arrabbiata per la persona che è, non perché mi ha fatto del male, ma perché ha lasciato tutti e tutto ed ha pensato soltanto a se stessa. Odio le persone egoiste. Mio padre avrà anche sbagliato, ma almeno ci ama come nessun altro al mondo.

«Siete cresciuti davvero tanto.» Osserva, non appena è a solo pochi passi da noi.

Liam assottiglia gli occhi. «Sì beh, capita dopo diciotto anni. Ma dimmi, il tuo secondo nome è Sherlock?» Gli prendo la mano per farlo calmare. Anche io sono arrabbiata e non vorrei parlarne per nulla al mondo, ma trattarla così non ci farà sentire meglio.

Dorothy si morde il labbro, a disagio. «So che siete in collera con me e ne avete tutti i diritti. Non sono stata una brava madre con te, Will, e non ci ho neanche provato con Paris. Vi chiedo scusa per questo.» Nessuno chiama così mio fratello, mio padre l'ha sempre chiamato Liam, forse proprio perché mia madre lo chiamava in quest'altro modo. «Ma vorrei davvero parlarvi. Avete qualcuno con cui stare?»

«Sì.» Le rispondo, pensando subito ad Amanda. Le credo quando dice che non ci abbandonerà, anche se probabilmente ha intenzione di lasciare mio padre.

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