Capitolo 48

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ANNABETH'S POV

L'amore è una ferita dolente, ci perseguita nel sonno, affligge le nostre giornate, le nostre menti.

"L'amore ha ucciso molto più di qualsiasi guerra."

Questa famosa frase ha ragione, a differenza di molti altri detti. Perché quando stai male per amore, ti senti morto dentro, anche se, purtroppo, sei ancora vivo e soffri.

E sapete una cosa? C'è differenza tra dolore e sofferenza: il dolore c'è sempre, ma la sofferenza è una scelta.

Infatti, un dolore può farti del male, ma se ti fa soffrire è una tua scelta.

Feci la mia scelta: non avrei più sofferto. Avrei sentito quel dolore, ma lo avrei sopportato, cercando di -e riuscendo a- non soffrire.

Nei giorni dopo aver sentito Percy parlare con Reyna, avevo deciso di andare oltre. Non mi doveva far soffrire più, quindi decisi di trattarlo con gentilezza e da "amica", fingendo che nulla fosse successo.

In questo modo era un po' più facile far passare il tempo ad una velocità che potesse essere minimamente decente, non lento come nei giorni precedenti e arrivò il venerdì, che significava finesettimana, in cui fortunatamente non avrei dovuto vederlo a scuola.

Mi costringevo a non pensarci, ma sapevo che quello era il giorno del lavoro di letteratura di Percy e Reyna e odiavo pensare a quello che avrebbero fatto, considerando il loro "non essere solo compagni di lavoro".


PERCY'S POV

Venerdì 22 gennaio, Manhattan (New York), ore 16:08.

Io e Reyna ci eravamo ritrovati a casa mia per il lavoro di letteratura su Oscar Wilde. Io e lei collaboravamo bene, infatti non parlavamo tanto.

Non parlavamo tanto, infatti per la maggior parte del tempo eravamo in un silenzio abbastanza imbarazzante. Avevo notato che molto spesso lei mi guardava attentamente, quasi come per analizzarmi, con occhiate dure.

Non capivo perché mi guardasse così, però mi sarebbe piaciuto che smettesse, quindi decisi di proporre una pausa, dove nella quale avrei cercato di sembrarle un po' più simpatico.

"Facciamo una pausa, non ce la faccio più" dissi, lanciando la penna sul foglio con una decina di righe sulla biografia di Oscar Wilde e spingendomi indietro con la schiena, abbastanza violentemente da spostare la sedia.

"Va bene" rispose lei, con un tono che non riuscii a decifrare.

Reyna era sempre molto rigida, con un fare aggressivo ma silenzioso e calmo. Negli occhi scuri aveva perennemente uno sguardo duro, di rimprovero, come se avessi fatto qualcosa di sbagliato.

"Senti: che problema hai con me?" chiesi diretto, senza fare giri di parole, perché una delle poche cose che avevo capito di lei era che voleva andare dritta al punto del discorso.

"Cosa? Io non ho nessun problema con te, perché lo pensi?" rispose confusa, ma mantenendo la postura rigida, non con il tono di una persona che fa la finta tonta.

"Perché mi guardi sempre male?" chiesi, come se fosse ovvio.

Anche lei rispose con il tono di chi dice una cosa ovvia: "Oh, quello è il mio modo di guardare tutti". Notai che si lasciò quasi scappare un sorrisetto ironico.

"Ah, va bene... E si può sapere perché?"

"Non sono affari tuoi"

"Okay, okay..." dissi portando le mani in alto in segno di resa. "Ti va di andare a sederci sul divano? Questa sedia mi sta facendo venire mal di schiena".

I still need you ~ PercabethDove le storie prendono vita. Scoprilo ora