Cap.1

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Quel giorno sarei partito dal Campo Mezzosangue e sarei andato a casa di mia mamma e Paul, suo marito. Fra qualche giorno sarebbe iniziata la scuola e mi sarei dovuto preparare. Mi alzai dal letto della mia cabina, feci una doccia ed uscì per passare ancora un po' di tempo con Annabeth, la mia ragazza. 

Io e lei siamo dei semidei, cioè per metà dei e per metà mortali, io sono figlio di Poseidone, dio del mare, mentre Annabeth è figlia di Atena, dea della saggezza. I nostri genitori divini non sono in buoni rapporti e io ho ricevuto parecchie raccomandazioni da parte di Atena, ma sinceramente non me ne frega molto, perchè io amo Annabeth e sinceramente non credo di poterla lasciare. 

Chirone, direttore delle attività al campo, ci aspettava: avrei dovuto comunicargli che oggi sarei partito, ma questa informazione poteva aspettare. 

Ero con Annabeth per fare una passeggiata e un ultimo giro nel campo.

Insieme ci dirigemmo alla spiaggia, il mio posto preferito. Ci sedemmo sulla sabbia calda. Le presi la mano. Guardai l'orizzonte e il sole luminoso che faceva brillare il mare calmo. C'era una leggera arietta piacevole che mi rilassava. Chiusi gli occhi inspirando l'aria salmastra. Mi voltai a guardare la mia ragazza e anche lei come me aveva chiuso gli occhi e un sorriso rilassato le crebbe sulle labbra. I capelli biondi ricci le ricadevano sulle spalle e venivano mossi dal vento. Al collo aveva a sua collana del campo Mezzosangue con una decina di perline. Sentendosi osservata si girò verso di me e mi guardò negli occhi. I suoi occhi grigi erano luminosi. Era stupenda. Questo sentimento mi spaventava più di un'idra affamata, ma il mio coraggio prese il sopravvento: le poggiai una mano sulla guancia e mi avvicinai al suo viso e le diedi un bacio. Era dolce, delicato e racchiudeva tutto il mio amore per lei.  Avrei voluto che questo momento durasse un'eternità, ma le dovevo dire una cosa importante:

- Ti amo così tanto. Sarei morto miliardi di volte se non fosse stato per te-. Era la prima volta che glielo dicevo ed ero terrorizzato dalla sua reazione. La fissavo in attesa della sua reazione e vedendo che non rispondeva pensai: "Sei un idiota Percy Jackson". Subito dopo aver formulato il pensiero le mi disse: 

- Sei più che idiota, Perseus Jackson-. Scoppiammo entrambi a ridere e lei mi prese il viso con le mani e mi baciò. Un bacio molto più appassionante di quello precedente e molto più lungo. Le nostre lingue giocavano tra loro in una danza a noi sconosciuta.

Mezz'ora più tardi suonò il corno per il pranzo. Io e Annabeth stavamo morendo di fame, dopotutto avevamo saltato la colazione. Ci alzammo e mano nella mano andiamo al padiglione dove ci sono i nostri amici seduti al tavolo di mio padre, Poseidone. Io mi siedo tra Jason e Annabeth. Oltre a noi tre ci sono anche Piper, Leo, Nico e Grover.

Sul mio piatto comparvero della carne bianca e della verdura e nel bicchiere la mia amata bibita blu.

Finii di mangiare e andai nella capanna numero 3, ovvero la mia, per preparare le valigie. Avevo solo un borsone con dentro qualche cambio e la maglia del campo. Dopo aver finito andai da Chirone e lo avvisai della mia partenza. 

Annabeth mi venne a chiamare, era l'ora di lasciare il campo. Presi il mio borsone e andai al Pino di Talia, dove mi aspettava il mio accompagnatore Argo, che era già in macchina e altri ragazzi del campo che dovevano andare a New York. Salutai Grover, il mio migliore amico satiro, e la mia Annie. Mi diressi verso la macchina. A due metri dal mio passaggio per New York, vidi con la coda dell'occhio una ragazzina rannicchiata sul ciglio della strada. I capelli scuri le ricadevano in una massa informe sul viso, gli occhi erano chiusi, avrà avuto all'incirca quattordici o quindici anni. Presi in braccio quella ragazzina, non pesava poco, ma nemmeno tanto. Non sapevo neanche se era una mezzosangue o no. Mi chiesi se sarei riuscito a farle passare la barriera magica e se riuscirò ad entrare al campo. Arrivai all'albero di Talia e provai a varcare il confine riuscendoci, era una mezzosangue.

Mi diressi subito in infermeria, la sdraiai sulla prima brandina libera e chiamai Will, che mi disse:

-Percy vai a chiamare Chirone, deve sapere tutto-. Uscii subito, sicuro che fosse in buone mani. Andai verso la Casa Grande, Chirone stava giocando a pinnacolo con il Signor D, direttore del Campo Mezzosangue. Gridai:

-Chirone, deve subito venire in infermeria, c'è una ragazzina che non sta bene e non sappiamo chi sia-. Chirone uscii subito dalla sua sedia a rotelle e in tutto il suo splendore da centauro, mi corse incontro. Mi scansai, perché ero preoccupato che mi sarebbe venuto addosso, invece mi afferrò per il braccio e mi mise in groppa, cosa molto rara, ed insieme andammo verso l'infermeria. Chirone era preoccupatissimo, gli raccontai come l'avevo trovata, voleva vedere la ragazzina, ma prima disse: -Caro ragazzo, non potrai andare più a casa, avverti tua madre, è troppo pericoloso-. Avevo proprio voglia di riabbracciare mia madre, ma questo imprevisto me lo impedisce, ora voglio sapere qualcosa di più sulla ragazzina che ho salvato.


Spazio me:

Ehy, ciao. Ho deciso di revisionare questa storia perchè non mi piaceva molto il filo conduttore che aveva preso e soprattutto perchè avendola iniziata a scrivere quando avevo solo 13 anni il mio modo di scrivere è totalmente cambiato, ma anche perchè credo che l'Irene della fine della storia non è affatto una tredicenne, ma una quindicenne.

Grazie mille a chi ha continuato a leggere questa storia fino alla fine.  😘💙

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