Capitolo 2

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Mi fa strano svegliarmi in questa camera, che non ho mai visto e che non sento nemmeno mia. Inizialmente ci ho messo un po' a capire di non essere stata rapita ma di essere semplicemente nella mia nuova casa, a migliaia di chilometri da quella in cui ho dormito fino a due giorni fa.

Mi preparo lavandomi i denti e facendo la mia amata skin care, per poi passare al make-up, che è letteralmente la mia ossessione. Amo truccarmi, è un modo per piacermi ancora di più.

Scendo in cucina e trovo i miei genitori intenti a fare colazione.

«Buongiorno! Se vuoi ti accompagno.» si offre mio padre.

Sta leggendo un giornale con degli occhiali stupendi con delle rifiniture oro che gli donano un'aria saccente e sapiente. Da quando mio padre é così intellettuale?

«No, in realtà vorrei andarci da sola, almeno inizio ad ambientarmi un po'.» affermo addentando un biscotto.

Mi siedo a tavola con loro e mangio qualcosina repentivamente giusto per non iniziare la giornata come uno zombie senza un minimo di forze.

Dopo qualche minuto esco di casa salutando i miei genitori con un cenno.

Più cammino e più faccio passi in avanti più capisco che forse quella di andare in università da sola è stata davvero una pessima idea, dato che già mi riesce difficile essere attiva durante il giorno, figuriamoci in mattinata.

Il navigatore segna che il tragitto durerà circa mezz'ora, quindi per non passarla a imprecare e maledirmi ogni due minuti decido di aprire la mia playlist di rapper americane su Spotify e inizio a camminare sulle note delle canzoni di Megan The Stallion. Amo questa donna, mi fa letteralmente sparire ogni tipo di preoccupazione e mi fa godere le giornate in maniera serena anche quando sono la ragazza più presa male in assoluto.

Nonostante questo però, sono lo stesso un po' ansiosa e preoccupata per la nuova vita che costruirò qui, lontana migliaia di chilometri dalla mia amata Milano.

Sono sempre stata legata alla mia città, sin da piccolina.

Non mi sono mai spostata da Milano e il fatto che ora l'ho lasciata e la sto lasciando per parecchi anni mi destabilizza parecchio, mi crea nostalgia e un vuoto pieno di ripensamenti che sicuramente non se ne andrà via presto. Ciò che mi consola e che me la fa vivere più serenamente è il fatto che New York in qualche modo assomiglia alla mia città Natale; è caotica, imponente, confusionaria e rispettata.

Ho sempre preferito il caos all'ordinario.

Finalmente, dopo circa mezz'ora passata a camminare e ad ammirare tutte le villette e le strade più trafficate arrivo a destinazione. Leggo l'enorme insegna che recita "Columbia University" e già entro in soggezione iniziando a mordermi il labbro agitata. Insomma, sono solo una stupida italiana che non ha mai viaggiato e che non sa nemmeno se è all'altezza di questa università.

Mi osservo attorno ed entro nel caos più totale. È un posto colmo di stand e padiglioni diversi, ce ne sono talmente tanti che non riesco nemmeno a riconoscere l'entrata principale.

Ottimo Cleofe, davvero ottimo.

Dopo svariati minuti passati ad osservare e a cercare di capirne qualcosa mi rendo conto che forse è giunta l'ora di chiedere informazioni a qualcuno e di abbattere la mia timidezza.

Il mio sguardo cade su un ragazzo poco distante da me; catturato dalla sua imponente altezza e da dei ricci scuri che farebbero impazzire qualsiasi ragazza.

«Ehi, scusami, potresti aiutarmi a capire dov'è l'entrata per la facoltà di giurisprudenza?» chiedo al ragazzo avvicinandomi a lui.

Sono più che certa che il mio inglese non abbia fatto pena, di più.

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