Conversations In The Dark

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POV DI * (boh, e chi lo sa, voi lo sapete, io non lo so, so chi lo sa? Indizio: ha qualche problema)

Hanno sbagliato. È una sensazione quasi esaltante per quanto mi faccia arrabbiare.

Hanno sbagliato!

Si aprano le tende, gli attori entrino sulla scena, che il mondo diventi palcoscenico!

Un fulmineo dubbio mi attanaglia la mente e subito prendo la mano dell'approfittatore, fredda nel gelo del suo tradimento.

"Dimmi che l'hai presa. L'hai presa, vero?". Fa un cenno d'assenso, in accordo col nostro patto. Il silenzio deve avvolgermi perché io pensi, le parole inutili taciute in gesti fin troppo rumorosi.

Bene.

Potrò nascondere l'asso nella manica, per il momento; aiutare gli altri è la sua più grande aspirazione e colpa insieme. Che fortuna!

Il mondo d'oggi sembra creato per divenire parco giochi per la mia anima. Tutti quei passati scombussolati, le scelte sbagliate, i rimorsi lasciati a prendere polvere in un angolo.

Prima ero anch'io così, credo. Ma la lettera ha cambiato tutto, ed ho scoperto come le parole siano le più gravi armi dell'uomo. Ora so come rintanarmi da esse, minacciose grida di discorsi che non voglio sentire, sentimenti cui non voglio approcciarmi.

Se le nostre anime non si fossero incontrate, sangue dello stesso sangue, non sarei così. Avrei pensieri inutili d'amori infantili e tempo perso in ascolto di amici infedeli. Invece la mia crescita è avvenuta all'insegna della buona educazione.

Ho imparato cosa è bene e cosa è male, ciò che bisogna fare per essere i distruttori e non i distrutti. Perché nessuno ti faccia abbandonare ciò che hai, per quanto povero sia.

In fondo devo molto ad entrambi. A te, zio, che hai imparato qual è il tuo posto, finalmente.

Ma anche a lui... lui che è uscito dalla sua gabbia dorata, che ha osato darle speranza, quando mai l'aveva fatto prima, nemmeno quando avrebbe dovuto.

"È la persona più importante. Perché tua, siamo legati. Non vorrei che soffrisse troppo. Una volta passato il dolore, capirà che le classi non vanno mischiate. È un destino già scritto, e noi non vogliamo che si faccia male".

Accarezzo l'aria vicino al suo viso, disegnandone i contorni appena visibili nella pallida luce della stanza.

Sento il ragazzo tossire e abbasso velocemente la mano per prendere il portafogli sul tavolo. Ho bisogno che se ne vada, che mi liberi dal peso dell'aria che respira.

Gli porgo le banconote e quando alza la sua mano bisognosa per prenderle le trattengo stringendo la presa. Che si sgualcissero pure.

"Ricorda". Sento la mia voce come un sibilo che esce da questo corpo squamato, pieno di dolori e difetti, troppi insegnamenti a dominarlo.

Ricorda cosa mi devi.

Ricorda a cosa ti sei legato.

Fa nuovamente un cenno con la testa e, appena allento la presa, è ben felice di togliere il disturbo.

Buffo a pensarci. Devo tutto a loro, ed essi devono tutto a loro stessi.

Se non avessero già commesso tutti quegli errori, se avessero mantenuto la promessa di quella notte. Ma in fondo devo l'origine di questa situazione anche a quella serata poco illuminata.

Forse è stato lì che la mente ha iniziato ad agire di spontanea volontà, a rimanere fissa nell'idea che ci dovesse essere qualcos'altro.

Affascinante il destino. E per l'ultima volta adempirò ad esso, senza incertezze o paure, in attesa della mia riposta.

L'unica che per me conti qualcosa.

La ragione che da ancora aria ai miei polmoni e risponda alla domanda più vecchia del mondo: perché?

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